Ero sempre stato convinto che fosse uno scherzo la storia che la nonna era stata una ballerina. In fondo era la stessa persona che ogni tanto indicava lo schermo della TV quando appariva un politico o un attore famoso, e sosteneva di averlo incontrato.(..) A ogni modo, quando raccontava della sua carriera artistica, di solito mi guardavo i piedi e lei mi tirava uno scappellotto. «Che c’è, non credi a tua nonna? Pensi che questa vecchia sia sempre stata brutta e infelice?»

La treccia della nonna, pag.78

La treccia della nonna, di Alina Bronsky, Keller editore 2022, traduzione dal tedesco di Scilla Forti, pagg. 210

Dopo avere fatto conoscere Baba Dunja –  una ultraottantenne tutta d’un pezzo, testarda, sicura di sé, sopravvissuta al disastro di Černobyl – Alina Bronsky nel suo nuovo romanzo tesse una trama accattivante attorno ad un nucleo familiare in cui spicca un’altra donna: Margarita Ivanovna. Margo – ex ballerina di una certa fama – è fuggita dalla Russia in Germania insieme al marito Čingiz in cerca di una vita migliore, soprattutto per il nipote Max – figlio di Maya, la loro figlia morta prematuramente – che vive con loro e che secondo lei necessita di cure e attenzioni particolari. La sua appare come una cura maniacale, presa com’è a disinfettare tutto ciò che Max tocca, a nutrirlo in modo salutista, ad isolarlo da amicizie che potrebbero essere deleterie per la sua salute, fisica e mentale.

Margarita Ivanovna ha un caratteraccio: è scorbutica, saccente, prepotente e presuntuosa. Sa sempre cosa bisogna fare e dire, decide tutto lei per tutta la famiglia, comanda tutti a bacchetta, non ha peli sulla lingua ma tanti pregiudizi e nel palazzone che li accoglie insieme ad altri rifugiati non è molto benvista. L’unica persona con cui fa amicizia è Nina, una giovane madre single che vive con la piccola Vera, coetanea di Max. Margo prende possesso anche delle loro vite, influenzando Nina ed esaltando Vera, che lei reputa bella e intelligente, al contrario di suo nipote, un bambino fragile e idiota, da cui non si caverà niente, secondo le sue parole.

Margarita Ivanovna è l’incarnazione del migrante tipo: non in senso caricaturale, ma semplicemente esprimendo le paure tipiche di chi è costretto a lasciarsi tutto alle spalle: è diffidente verso gli usi del nuovo paese, vuole difendere la sua storia, le sua cultura, deve fare i conti con le sue paure e il suo bisogno di sicurezza. Le è difficile persino fidarsi degli altri immigrati e si adegua allo status quo per evitare di dare nell’occhio. E nel frattempo prova a crescere suo nipote.

Mentre Margo è completamente assorbita a supervisionare le esistenze di tutti, non si accorge però – al contrario del nipote – che suo marito Čingiz si è innamorato, ricambiato, di Nina. Max inizia ad andare a scuola e la nonna pretende di assistere alle lezioni, per valutare il sistema scolastico tedesco – di cui non si fida, al pari del sistema sanitario e del tipo di alimentazione.. – e chiede a Vera di proteggere quel povero citrullo di suo nipote dagli altri bambini, di cui diffida tout court.

A ogni modo non si stancò di mettermi in guardia dai compagni di scuola. Oltre che debole fisicamente e poco dotato mentalmente, la nonna sosteneva che fossi addirittura condannato a un aspetto che istigava alla violenza. Sulla prima foto di classe contrassegnò i bambini che le erano sembrati sospetti già nelle settimane che aveva trascorso in aula. Analizzò le loro espressioni, catalogò i cognomi in base all’origine e stilò una graduatoria degli alunni particolarmente pericolosi.

La treccia della nonna, pag. 33

Mentre il marito porta avanti di nascosto da Margo la sua relazione con Nina, la nonna cerca di integrarsi in una società che la respinge: si propone a scuola come insegnante di danza ma viene rifiutata, e poi parla poco il tedesco, redarguisce grandi e bambini, insomma non è certo il tipo di persona che si fa benvolere… Il tutto viene raccontato dall’autrice in modo superbo: con ironia e tanto umorismo, i suoi ragionamenti, le sue invettive sono addirittura esilaranti, riportati attraverso la voce ingenua di Max. I dialoghi fanno trapelare, dietro tanta ostentata sicurezza, la paura di non essere all’altezza. In fondo, Margarita Ivanovna è una persona che ha avuto una vita non facile: ha perso la sua unica figlia e ha dovuto occuparsi del nipotino, è stata costretta a lasciare il suo paese, adattarsi in un luogo che sente inospitale, in cui non conosce nemmeno la lingua, e per lei l’unico modo di relazionarsi con gli altri è farsi carico di tutto e proteggere contro qualsiasi minaccia, reale o presunta, tenendo a distanza chiunque le appaia sospetto.

Ma tutto questo serviva ben poco contro la solitudine, Presa dalla disperazione, la nonna cominciò ad attaccare bottone alla gente per strada. Con la sua tuta da ginnastica, si sedeva nel parco giochi vicino alle giovani madri e cercava di far capire loro che dovevano mettere un cappellino ai loro figli. (..) Le madri cambiavano posto e dopo un po’ se ne andavano dal parco giochi, mentre la nonna gridava loro i suoi preziosi consigli in russo.

La treccia della nonna, pag. 75

Quando la storia tra Čingiz e Nina viene scoperta grazie ad un evento che non si può nascondere, Margo sceglie di tenere unita tutta la banda, facendosi carico di tutti i suoi membri. Čingiz ingrandisce la sua azienda edile fornendo sostegno economico a quella che diventa a tutti gli effetti una famiglia allargata.

Margo ottiene la sua rivincita quando riesce a mettere in piedi una scuola di danza nel quartiere, e tutti finalmente sapranno che è stata veramente una ballerina, mentre Max – tenera voce narrante – riesce in maniera brillante negli studi e finalmente conosce suo padre e le verità nascoste delle sue origini.

Tutti i personaggi sono ritratti in modo superlativo: Margo e Max in primis, ma anche il silenzioso Čingiz, capace di slanci d’amore ma remissivo di fronte alla moglie, comunque tenace nel non disperdere il suo amore per Nina; Nina, donna fragile e sensibile, prigioniera di una relazione che non le dà quello di cui avrebbe bisogno; la figlia Vera, una ragazzina difficile, costretta ad adattarsi alle scelte della madre.

Nel modo di Max di raccontare la quotidianità, troviamo la malinconia accanto al sorriso, l’orgoglio e il perdono, l’amore nei confronti di un nonno silenzioso e cortese, che se ne va come ha sempre vissuto, di una nonna dagli atteggiamenti maniacali e iperprotettivi a causa di un trauma mai superato, a cui tinge con l’henné la lunga treccia. Un bambino che pian piano si affaccia al mondo, allargando i suoi orizzonti, liberandosi dai pregiudizi della nonna pur riconoscendole la forza dei sentimenti. Un bel romanzo, divertente e capace di fare riflettere.

Qui potete leggere l’incipit.

FRANKFURT, GERMANY – OCTOBER 19: Russian born author Alina Bronsky poses at book fair on October 19, 2008 in Frankfurt, Germany. (Photo by Ulf Andersen/Getty Images)

Alina Bronsky (nome d’arte) proviene da un background scientifico, sua madre è un’astronoma e suo padre un fisico. È nata a Ekaterinburg ed è cresciuta nella parte asiatica degli Urali. A tredici anni lascia la Russia con la famiglia per stabilirsi in Germania a Marburg , poi a Darmstadt . Suo padre, di origine ebraica , è stato autorizzato ad emigrarvi secondo la politica delle quote attuata nei primi anni ’90 dallo Stato tedesco. Dopo aver interrotto gli studi di medicina, ha lavorato come scrittrice ed editrice per Darmstädter Echo . Pubblica colonne per la Berliner Zeitung e la Frankfurter Rundschau .

Alina Bronsky è madre di quattro figli. Vive a Berlino-Charlottenburg con l’attore Ulrich Noethen . La coppia ha una figlia. Il suo primo romanzo Scherbenpark suscita un grande interesse pubblico. Nel 2009 è stato nominato per il German Children’s Book Prize , poi adattato per il teatro e per il cinema. In Italia ha pubblicato L’ultimo amore di Baba Dunja (Keller), I piatti più piccanti della cucina tatara (E/O), Outcast (Corbaccio).