INCIPIT
La croce del tradimento
Jean Cottion, col bastone da compagnon in mano e il fagotto annodato “ai quattro angoli” in spalla, prima di attraversare la Chaussée de l’Est attese il passaggio di un gruppo rumoroso, preceduto e seguito da uomini armati.
— È di sicuro un principe che torna al castello di Vincennes, forse addirittura il re — pensò. Sull’altro lato della strada, tra due case basse di nuova costruzione, la pietra bianca, più solida, aveva sostituito la terra battuta, si apriva un passage che sbucava in un cortile lastricato dove stavano seccando assi di quercia e faggio impilate con cura. Il proprietario della taverna dall’insegna La Sainte Famille, nella quale Jean si era fermato a riposare, gli aveva detto che era lì, nella sua bottega, che avrebbe trovato il maestro mobiliere Pierre Thirion. Jean, seguendo il rumore e il profumo, si diresse senza esitazione verso la prima delle tre porte che si aprivano sul cortile. Aveva riconosciuto lo scricchiolìo di una sega e aveva capito subito che a utilizzarla era una mano abile. Le due sfumature sonore ben distinte, quella del movimento in avanti, deciso e penetrante, e quella del ritorno, delicato e leggero come il canto della marzaiola, gli scaldarono il cuore. Il profumo della segatura fresca e del truciolo appena asportato dalla lama della pialla, poi, lo avrebbe riconosciuto tra mille. Per lui il legno era come l’aria, il fuoco o l’acqua: un elemento vitale, un materiale carico di magia che la mano dell’artigiano rianimava, restituendo a quelle assi secche la libertà degli alberi nella luce del
mattino.
Jean Cottion, come chiunque facesse il suo mestiere, amava davvero il legno, la cui struttura carnale lo emozionava.
Durante il suo tour della Francia, che lo aveva trasformato da apprendista in compagnon, aveva viaggiato ai quattro angoli del Paese e i suoi maestri gli avevano insegnato quei gesti, non privi di voluttà, che esaltavano il lavoro quotidiano. Presto o tardi, tutti gli avevano detto “Hai fatto bene a scegliere di lavorare il legno, è un materiale vivo e nobile. Anche il ferro ha i suoi meriti, certo,
però non ha un’anima!”
Pierre Thirion vide la porta aprirsi e interruppe il lavoro. Ritirò lentamente la sega dal solco, la depose con cura sul banco da lavoro e osservò, sorpreso, il nuovo arrivato che lo salutava sollevando il bastone da compagnon all’altezza della fronte, in segno di rispetto e di ossequio, secondo le nobili usanze della strada. C’era fierezza nel suo gesto rituale e Thirion ne rimase colpito. Gli sorrise e chiese “Buongiorno amico. Cosa posso fare per te?”
Jean si sentì come investito da una folata di speranza ed ebbe il presentimento che il buon vento non lo stesse abbandonando nemmeno ora che era arrivato in porto.
Jean Diwo