INCIPIT
Pensavo che quello fosse un segno. Per un’intera estate, ogni notte serena sono uscito di casa. Prima mi fermavo a osservare il cielo dal soggiorno: quando la luce riempie i vetri delle finestre fino a dilatarli, e le ombre ondeggianti delle tende dal pavimento si arrampicano sulla parete, allora il sole si è abbassato a sufficienza. Indosso la giacca, perché mia madre mi ha proibito di uscire senza la sera, e sgattaiolo fuori casa. La porta d’ingresso si trova sul lato sbagliato – almeno per quanto mi riguarda – così non posso godere subito della scena che aspetto. Nel cortile davanti mi attendono il crepuscolo e l’aria fresca. Il buio ormai si impadronisce della siepe e riempie le concavità dei due giovani pini, piantati accanto al cancello. Le cime dei monti, per mesi ricoperte di ghiaccio e neve, ora nude e attraversate da una sottile foschia, si innalzano fiere una dietro l’altra, mentre la luna sorge subito sopra, appena visibile. Allontanandosi, le montagne assumono un colore bluastro sempre più intenso e il cielo, invece, pian piano schiarisce, così ho l’impressione che la terra e il cielo si ricongiungano prima dell’orizzonte. Poi giro intorno alla casa, sapendo che sul retro la luce del giorno resiste ancora. L’erba all’improvviso inizia a brillare; raggiungo il portico in legno e salgo i tre gradini scricchiolanti, poi mi appoggio allo steccato marrone scuro e guardo giù per il pendio. La valle sottostante è dominata da un grande lago e, sulla riva più vicina, da una città, circondata da colline boscose simili alla nostra. Nel sole basso l’acqua risplende, e così il lago sembra muoversi e non appartenere a quell’immagine in cui tutto appare immobile. Un lieve vento fresco risale il pendio e mi accarezza il viso.
Veselin Marković