INCIPIT
Ne dicono di cose.
Che bisogna imparare a stare al buio per riconoscere la luce. Stare da soli per amare. Essere tristi per capire la felicità.
Cazzate. Io sono stato al buio, da solo e triste. E non ho imparato nulla.
L’unica cosa che mi piace è stare seduto a osservare il passato: le videocassette di film in bianco e nero, le vite dei vecchi, l’autunno.
Bere il caffè della moka azzurra è l’unico momento della giornata in cui me la godo davvero, quindi deve essere fatto a regola d’arte: il bollitore va riempito fin quasi alla valvola grigia e nel filtro ci stanno giusti giusti due cucchiaini di caffè pigiati, in modo che venga nero e bello forte, non come quello di Pilar che è acqua sporca. Poi va chiusa bene, che non ne esca neanche una goccia.
Lo metto sul fuoco e, mentre aspetto che salga, entro in bagno, mi sciacquo la faccia – sempre quella: le guance coperte da una barba ispida, i capelli rasati per nascondere la pelata, le rughe intorno alle labbra – una passata sotto le ascelle, una strofinata ai denti.
Sul divano letto ci sono le mutande di ieri. Per terra è tutto un gran casino, tra rotoli di scottex, uno strofinaccio dimenticato da chissà quanto e videocassette sparse ovunque. Recupero la maglietta con il logo della cooperativa e un paio di pantaloni coi tasconi, intanto avvisto la punta di uno scarpone dietro Johnny, la poltrona in pelle che mi ha regalato Nicolini per festeggiare il primo ingaggio.
Le scarpe puzzano peggio di una discarica abusiva. Le infilo e voilà, eccomi pronto per un’altra splendida giornata di lavoro.
Lucio Aimasso