INCIPIT
Quell’uomo. Vestito dello stesso grigio dei pilastri, i bottoni come rivetti, vaga da ore in giro per la stazione. Lo noti quando si sposta, come un camaleonte che diventa visibile se cambia foglia.
Ora segue un tizio in divisa – braghe blu e scarponi da lavoro – che sale su un treno e issa sul predellino un bidone e un secchio. L’uomo osserva. La porta della carrozza si chiude con un clang. L’uomo aspetta. La luce negli scompartimenti si accende, da sotto la carrozza cola un rivo d’acqua. L’uomo prende a risalire il binario con passo misurato. Arrivato in cima al treno, si guarda attorno prima di salire. Si richiude la porta alle spalle, resta un momento immobile per poi infilarsi nel bagno gelido del treno e chiudersi a chiave. Schiena alla porta, occhi strizzati, inspira ed espira forte dal naso una volta, due, tre. Dallo zaino tira fuori un rasoio, un asciugamano che forse un tempo è stato azzurro, una saponetta consumata. Si toglie giacca, ma glia, camicia, scarpe, calze, pantaloni e mutande, piega
e appoggia tutto sopra lo zaino; in piedi davanti allo specchio si rade barba e capelli, già molto corti. Ripone il rasoio nello zaino, apre un filo d’acqua, bagna e insapona, a pezzi, ogni centimetro del corpo, magro che gli
conti le ossa: lava e sciacqua la faccia e le orecchie, lava e sciacqua il collo, lava e sciacqua le braccia segnate da un groviglio di cicatrici; lava e sciacqua le ascelle, il petto, la pancia; si dedica ai piedi, uno per volta, alle gambe, una per volta, ai genitali e alle natiche, infine alla schiena.
Per dove riesce, per come riesce. Chiude l’acqua e rimane in ascolto, nudo, la pelle d’oca anche in faccia: rumori di treni che partono, un fischio, un vociare lontano.
Si rianima, sfrega la pelle con l’asciugamano logoro, il lavandino con la carta igienica, si riveste. Quando esce dal bagno, non una goccia d’acqua, non un pelo restano a tradire la sua presenza. Solo un vago odore di canfora.
Valentina Morelli