INCIPIT
Da ciascun lato della strada stretta che serpeggia tra campi di un verde intenso, verde di tempesta e d’erba, dei fiori enormi, dai colori tenui e dagli steli tremolanti, dei fiori che sbocciano a ogni stagione. Fiori che cingono quel nastro d’asfalto fino al sentiero sul quale un cartello fissato su un palo di legno dice:
SIETE ARRIVATI AL PARADISO
Più in basso, il sentiero crivellato di pozze brune sbuca su un ampio cortile: un rettangolo di terra battuta con angoli leggermente arrotondati, mangiato dal loglio. Il fienile è tenuto con cura. Lì davanti, un trattore e una piccola auto blu sono parcheggiati vicini e lavati con regolarità. Sull’altro lato del cortile, delle galline, delle oche, un gallo e tre anatra entrano ed escono da un capanno basso punteggiato da piccoli ingressi. Dei chicchi dorati ricoprono il suolo. Il pollaio affaccia su un ripido pendio costeggiato da un ruscello che ogni anno l’estate provvede a prosciugare. All’orizzonte i Bas-Champs sono spazzati dal vento, la superficie del Sombre-Etang nella sua ansa di felci freme di aironi e di ranocchie.
Al centro del cortile un albero centenario, dai rami abbastanza alti da poterci appendere un uomo o uno pneumatico, bagna il terreno con la sua ombra, tanto che in autunno, quando Blanche esce di casa per fare il giro della proprietà, la quantità di foglie morte e la profondità del rosso che le riveste le danno l’impressione di procedere su una terra che ha sanguinato tutta la notte. Lei supera il pollaio, supera il fienile, supera il cane, forse il dodicesimo se non il tredicesimo che abbia conosciuto lì – al punto da non avere un nome, si chiama “il Cane”, come gli altri prima di lui – s’icammina fino alla fossa dei maiali, un recinto di assi con una porta a battente chiusa da un lucchetto che, d’inverno, si blocca col freddo. Lì il terreno è spoglio, è stato calpestato per anni e poi abbandonato senza che nessun piede, nessuna zampa lo toccasse. Nella fossa, piuttosto ampia per un posto che non accoglie più neanche un animale, in quella fossa, Blanche si tiene ben ritta, nonostante gli ottant’anni che le appesantiscono il petto, le sfigurano il volto e le trasformano le dita in bastoncini spezzati.
La fossa è vuota ma al centro si trova un mazzetto di quei fiori che cingono il nastro d’asfalto che conduce al Paradiso. Alcuni sono già avvizziti, altri – come Blanche – sono sul punto di perdere i loro ultimi colori. E’ un mazzolino di campagna in un grande circolo terroso. Con le spalle coperte da un maglione rosso, di un rosso più vivo di quello delle foglie morte sotto l’albero degli impiccati, lei si piega, s’inginocchia davanti al mazzolino che avrebbe potuto confezionare un bambino per la sua prima comunione e ne toglie gli steli imbruniti per buttarli via, in un gesto sorprendentemente vivace, quasi violento. Poi prende dalla tasca del maglione rosso, di un rosso più vivo del sangue del Paradiso, qualche fiore ancora giovane, sul quale soffia piano prima di deporlo insieme agli altri. Rimane lì, china davanti al mazzolino di campagna, così grazioso nel mezzo di quella fossa che sua nonna, Émilienne, ha fatto scavare per i suoi maiali. Molto tempo prima. Si ricorda tutto. Perché se più nessun animale abita quell’arena di assi e terra, una bestia ancora vi si raccoglie ogni mattina. Blanche.
Cécile Coulon