Il passato non è mai passato
Con questa frase si apre e si chiude il coinvolgente romanzo della scrittrice turca Elif Shafak, “La bastarda di Istanbul”. E’ una lettura di quelle che quando inizi, devi arrivare fino alla fine, precipiti dentro alla storia e non smetti di leggere finché non arrivi all’ultima pagina e devi prendere atto che sì, è proprio finito. E’ un romanzo con diversi piani di lettura perché ci sono diverse storie che partendo da un passato remoto, si intersecano nel presente, perché ci sono le vicende personali che diventano Storia, perché ci sono diverse culture che si mescolano. E poi c’è Istanbul: “Istanbul è un libro aperto con scarabocchiati dieci milioni di storie“, “è un miscuglio di odori, alcuni rancidi e acri, altri dolci e carezzevoli, è contorta e multiforme“, “Istanbul non è una città. E’ una città-nave“, è la città dove vive Asya, la bastarda. “A Istanbul un bambino senza padre è solo un altro bastardo, e un bastardo non è che un dente che dondola nelle gengive della città, pronto a cadere da un momento all’altro.” E’ anche la città dove Armanoush va a cercare le radici del suo passato.
Asya e Armanoush, una turca, l’altra armeno-americana, incrociano le loro vite nel presente ma il legame tra loro ha radici nel passato, quel passato che Armanoush vuole lucidamente mantenere vivo, tanto da fare pensare ad Asya di aver mai “conosciuto una persona così giovane dalla memoria così lunga“, e che invece Asya vede come “un circolo vizioso, che ci risucchia e ci fa correre come criceti dentro la ruota“. Forse perché Armanoush sa qual’è la storia della sua famiglia, o almeno ne conosce buona parte, quella ufficiale, mentre Asya ha un grande vuoto alle spalle, che riuscirà a riempire solo alla fine del romanzo, e fino ad allora non può che pensarla così: “Non puoi provare attaccamento per i tuoi antenati, se non sai chi è tuo padre”.
Le due ragazze dominano la narrazione con le loro vite intricate, fatte di diversità e somiglianze, di paradossi, di famiglie allargate che pullulano di personalità insolite. Hanno dei retaggi culturali comuni, una base di vita vissuta, per esempio attraverso il cibo e i piatti di due cucine così simili che quando si conosceranno, le aiuteranno a creare immediatamente un ponte che le unisce.
Hanno entrambe un forte attaccamento alla cultura. Armanoush ce lo dice a pagina 112, con i titoli dei libri che ha acquistato e che sa di non dovere utilizzare come argomento negli appuntamenti con i ragazzi, per non farli scappare. In realtà non sbandierare la propria cultura ha anche un significato più sinistro, legato alla storia del suo popolo. Riporto per intero uno stralcio molto significativo:
“I libri erano pericolosi in generale, ma i romanzi lo erano ancora di più. Il sentiero della narrazione ti poteva facilmente condurre a un universo in cui tutto era fluido, imprevedibile e ignoto come una notte senza luna nel deserto. Prima ancora di rendertene conto, rischiavi di lasciarti trasportare fino a perdere ogni contatto con la realtà,, con quella solida e stringente verità dalla quale nessuna minoranza dovrebbe mai staccarsi, per non trovarsi indifesa quando cambia il vento e arrivano i tempi duri. Perché era da ingenui credere che i tempi duri non sarebbero tornati: prima o poi tornavano sempre. L’immaginazione era un incantesimo affascinante ma rischioso per chi nella vita era obbligato a essere realista, e le parole potevano diventare un veleno, quando si era destinati a essere ridotti al silenzio.”
Armanoush frequenta il Café Constantinopolis, una chat room, “un cybercafé, fondato da un gruppo di americani di origine greca, sefardita e armena”, e lo fa col nickname Madame Anima Esiliata, “in omaggio a Zabel Yessaian, l’unica scrittrice donna che i Giovani Turchi avessero inserito nella lista nera del 1915″. Vediamo come, attraverso i protagonisti del romanzo, l’autrice provi a raccontarci il genocidio degli armeni, perpetrato e tuttora negato dai turchi ultranazionalisti e la diaspora di quel popolo soprattutto verso gli Stati Uniti. Armanoush, sebbene nella complessa posizione di figlia di un armeno e di una americana, conosce molto bene quel dramma, i lutti che causò, e fa di tutto per non dimenticare; a Istanbul trova atteggiamenti diversi: sia a casa KazancΙ che al Café Kundera, c’è chi non ne sa niente, chi nega decisamente che tutto ciò possa essere accaduto, chi non prende posizione. Asya stessa, pur colpita nel profondo dai racconti della nuova amica, preferisce allontanarsi dalle tragedie passate: “Perché dovrei preoccuparmi del passato? I ricordi pesano troppo.”
Asya ha una visione negativa dell’esistenza e dei rapporti tra le persone, tanto da arrivare a creare un suo personale manifesto del Nichilismo:
“Articolo uno. Se non riesci a trovare una ragione per amare la vita che fai, non fingere di amarla.
Articolo due. La stragrande maggioranza delle persone non pensa, e quelli che pensano non diventeranno mai una stragrande maggioranza. Decidi da che parte stare.”
Ed solo un assaggio. E’ ben evidente la sua formazione culturale, ma lei la spiega precisamente, in un dialogo con Armanoush: “Leggo testi di filosofia, soprattutto filosofia politica, tipo Benjamin, Adorno, Gramsci, un po’ di Zizek … molto Deleuze. Roba così. Mi piacciono le astrazioni (…) I miei preferiti sono gli esistenzialisti.”
Anche lei frequenta un circolo culturale, ma lo fa di persona, al Café Kundera, “un confortevole e noioso ritrovo di intellettuali, dove il ritmo dell’esistenza, nel bene o nel male, non veniva mai turbato.”
A pagina 91: ” Il Café Kundera era un piccolo locale in una stradina stretta e tortuosa della parte europea di Istanbul. Era l’unico bistrot della città in cui non era necessario sprecare energie nella conversazione, e si davano le mance ai camerieri per farsi trattare male. Come e perché avesse preso il nome del famoso scrittore, nessuno lo sapeva con precisione, dal momento che nel locale non c’era niente, assolutamente niente, che facesse pensare a Milan Kundera o a qualcuno dei suoi romanzi.”
Sembra che l’autrice abbia sparso un po’ di sé e della propria formazione, su entrambe le protagoniste: è difficile percorrere con tanta sicurezza una strada senza conoscerla in profondità. Così come Elif Shafak conosce bene e affronta con decisione la questione armena; lo fa noncurante dei pericoli ai quali ciò la espone, andando incontro ad un arresto, che per fortuna si è risolto positivamente. La Turchia ha perseguitato, in tempi recenti così come in passato, molti intellettuali, a cominciare dal poeta Nazim Hikmet che morì in esilio in Russia, passando per lo scrittore premio Nobel (unico turco) Orhan Pamuk, amico e sostenitore di Elif Shafak, così come Shafak stessa, i cui libri sono anche stati bruciati sulla pubblica piazza proprio per quello che ha scritto e che è stato ritenuto contro l’identità turca.
Le due protagoniste spiccano all’interno di un complesso affresco familiare, speculare nel mettere in comune le famiglie allargate, dense di personaggi ognuno reso con precisione e singolarità, facendoci “vedere” gli interni delle case, la preparazione di cibi, il modo di vestirsi, gli arredi. E’ un romanzo quasi tutto dominato dalle figure femminili, dalla ribelle Zeliha, mamma di Asya, e dalle sue sorelle, da sua madre e da sua nonna; così come dalla madre, dalla nonna e dalle zie di Armanoush. I maschi della famiglia KazancΙ hanno un destino particolare, da scoprire leggendo il romanzo.
Non ultimo, leggendo questa storia si impara molto sulla cultura del cibo e sulle ricette turche e armene; i capitoli sono tutti identificati con i cibi: cannella, ceci, zucchero, nocciole tostate ecc. Che altro non sono che gli ingredienti per preparare l’ ashure, il dessert preferito di Mustafa, unico fratello maschio della famiglia KazancΙ.
Ci sono molte descrizioni poetiche; ne riporto tre sul momento dell’alba.
“E’ quasi l’alba, a Istanbul. La città è appena a un passo da quella soglia misteriosa che separa la notte dal giorno. E’ l’unico momento in cui è ancora possibile trovare conforto nei sogni ma troppo tardi per costruirne di nuovi.”
“Ormai l’alba è arrivata. In questo momento la città è un’entità informe, quasi gelatinosa, come in bilico tra il liquido e il solido. Allo Sguardo Celeste nell’alto dei cieli, casa KazancΙ deve apparire come un altro fuoco d’artificio, una scintillante girandola che s’illumina nel buio.”
“Ormai l’alba è arrivata. Appena un passo dopo quella soglia misteriosa che separa la notte dal giorno. E’ l’unico momento della giornata in cui è ancora abbastanza presto per sperare di realizzare i propri sogni, ma troppo tardi per sognarli”.
Alla fine dico grazie Elif Shafak di averci regalato queste pagine e come Salinger, per bocca di Holden, penso che:
“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”.
Potete leggere l’incipit Qui
l’ho letto a istanbul, mangiando proprio quel dolce lì composto dagli ingredienti dei capitoli…grazie di averne parlato…stasera è di nuovo successo il casino in quella bellissima città in cui non so se potremo mai ritornare con la pace nel cuore. <3<3
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Hai ragione…. prima sono andata sul sito del corriere e mi si è spento il sorriso….
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