Dunque era questo, il diventare definitivamente adulte, se non vecchie, mi disse mia cugina una sera che eravamo andate a guardare il tramonto dal belvedere di Montedinove. Disperarsi per una lettera di esproprio invece che per una lettera d’amore finito. Farsi battere il cuore per un pagamento andato a incasso invece che per la voce di quel tipo così affascinante. Piangere per colpa di uno sconosciuto geometra di Collesailcavolo invece che per la partenza di un fidanzato. Stare sveglie la notte per il terrore di avere sbagliato a mettere una firma su un pezzo di carta e non per quella telefonata dall’amato attesa per ore e mai arrivata. (pag. 199)

 

La nuova stagione, di Silvia Ballestra, Bompiani 2019, candidato al Premio Strega 2020

Le prime immagini evocate nel romanzo si rifanno ad una terra martoriata dal terremoto, un territorio che si muove e che trascina a terra case e macigni, portando distruzione e morte. La leggenda vuole che le pietre siano fatte rotolare dalla Sibilla, mitica abitatrice di una caverna del Monte Sibilla, che sfoga così le sue ire.

Monte Sibilla

La voce narrante del romanzo ci parla come una voce fuori campo seppure sia partecipe delle vicende narrate in quanto cugina delle due protagoniste. Il racconto si apre sul presente, con le tre donne ormai in età matura alle prese con un trekking che culmina con l’ascensione al Monte Sibilla, ma soprattutto con molti pensieri legati alla vendita di certi terreni di proprietà delle due sorelle Olga e Nadia, e di tutti i mal di pancia legati alla faccenda.

Come spesso accade nell’impianto narrativo, per comprendere le istanze del presente, bisogna rifarsi al passato, ripercorrere le vicende che hanno contribuito a formare le persone, e ripercorrere anche le strade e i paesi di un territorio in cui si sono mosse. Territorio che, tranne la parentesi londinese di Nadia, è tutto compreso nei confini di una regione, le Marche, in cui le donne vivono.

Veniamo alle due sorelle.

Nadia si era iscritta alla facoltà di Storia ,ma aveva una passione per la musica e aveva militato per un periodo in una band locale legandosi al front man. Allo scioglimento della band, aveva raggiunto il fidanzato che l’aveva preceduta di poco a Londra, a cercare fortuna e ispirazione. Ma tra loro la storia era presto naufragata, in seguito alla scoperta di un tradimento. Nadia se ne era così tornata in Italia; terminati gli studi, aveva aperto una scuola di musica e trovato un nuovo amore. Anche in questo caso, però, aveva dovuto fare i conti con un tradimento, non amoroso ma legato agli azzardi economici del marito.

Olga, dopo qualche esame in Architettura aveva deciso di iscriversi ad un’accademia di grafica e disegno. Anche lei si era innamorata e sposata con un uomo che, però, dopo due figli l’aveva tradita con la segretaria.

In questa parte il racconto si snoda lungo le fantasie di un ambiente effervescente, pieno di aspiranti artisti, musicisti, teatranti. Uno spaccato della gioventù a cavallo tra gli anni ottanta e novanta tra Marche, Umbria e dintorni.

Il destino delle due donne corre su binari paralleli, per quanto riguarda i legami affettivi. Ad accomunarle, c’è anche l’ambito familiare, che le vede in contrasto con la madre anziana e un po’ rimbambita, spendacciona e dunque in bisogno di denaro, da realizzare con la vendita dei benedetti terreni che costituivano dai tempi dei tempi il possedimento delle loro famiglie di origine. Terreni che il padre aveva coltivato con dedizione, guadagnandosi il rispetto delle comunità contadine.

Ora che però tutto è cambiato, che la gente vuole mangiare fragole e susine in pieno inverno, anche l’agricoltura ha un volto diverso, è entrata in logiche completamente diverse. L’onestà va poco di moda e lo sfruttamento è diventato la via maestra da seguire.

Anche per questo, Olga e Nadia vogliono tagliare definitivamente i ponti col passato, tanto né loro né i loro figli vogliono dedicarsi alla gestione della tenuta. Però vendere non è facile, i terreni  sono valutati poco, e poi si presenta una ridda di trafficoni poco affidabili con le proposte più improbabili.

Il racconto si sposta dunque sulla questione della vendita e, nel farlo, apre una pagina sulla peculiarità di questi luoghi, descrivendone le caratteristiche, le bellezze così come le asperità; la narratrice ci accompagna per campi e sentieri, ci presenta contadini e loschi figuri, ex mezzadri arricchiti e galoppini delle multinazionali della frutta, ci racconta vecchie storie ed episodi violenti. Ne esce un ritratto ampio, della varia umanità con cui devono confrontarsi e, a volte scontrarsi, dandosi man forte l’una con l’altra.

Così come all’inizio l’autrice punta l’attenzione su una terra che è stata scossa da un violento sisma, narrando le vite di Nadia e Olga dà conto del terremoto emotivo che le colpisce nel dovere accettare che vendere i terreni è come tagliare le loro radici, come staccarsi dal passato e avviarsi verso una nuova stagione. Con un latente sentimento di nostalgia, nel privato e nel pubblico, nel guardare a ciò che simboleggia il taglio col passato nelle cose vicine e in quelle comunitarie. L’abbattimento di vecchia quercia,il destino delle palme piantate dal padre, l’annacquamento della lingua e del dialetto. Per contro però, anche una presa di distanza da una certa mentalità e da usanze oppressive.

Il racconto scorre fluido, sorretto da una vena ironica che ben mette in risalto certe storture e certi atteggiamenti – come il convincimento patriarcale che le donne non possono occuparsi della vendita di terreni, affari da uomini. Il linguaggio è spesso colorito, con qualche espressione dialettale sparsa qua e là che fa sorridere.

Mi rimane però, alla fine della lettura, un senso di leggera insoddisfazione. Mi sono tenuta attaccata alla lettura a volte un po’ forzatamente, perché ho sentito venire meno quella forza coinvolgente che non ti fa lasciare le pagine.

Qui potete leggere l’incipit.