Senza ritorno, di Carmen Yáñez, Guanda 2020, traduzione di Roberta Bovaia, testo originale a fronte, pagg. 128
Carmen Yáñez (il mio post) torna in questa raccolta alle tematiche che le sono più care – l’amore, la memoria, l’esilio e la poesia stessa –, un mondo denso di ideali e di battaglie civili e politiche. La sua è una scrittura che colpisce, quasi ferisce il lettore, frutto di un dolore che in qualche modo l’autrice ha saputo addomesticare. E la sua parola è sempre esatta, spoglia di ogni fronzolo retorico per cercare, e cogliere, il nucleo del senso. Un nucleo che gravita intorno ad alcuni cardini: il Cile, il forte senso di appartenenza alla terra; e la casa, origine e allegoria di ciò che vorremmo forte e duraturo, ma che sappiamo essere evanescente e fragile. Per questo, chi è costretto a lasciare il proprio paese impara in modo brutale a non sentirsi mai al centro di niente, a sentirsi, semmai, alla periferia anche di se stesso. In questa poesia della perdita e della vita nostalgica c’è spazio anche per la morte. Non importa che i versi si rivolgano alle persone amate – come nella prima, struggente poesia dedicata al compagno della sua vita, Luis Sepúlveda – o ad altri personaggi che vanno e vengono come ombre: la voce di Carmen Yáñez si fa voce di tutti noi e, attraverso la parola e il ricordo, apre uno spiraglio di salvezza.
mi piace moltissimo lei, la leggo da tempo e ho già letto questo libro e devo dire che come apri il libro ti trovi di fronta a dei versi straordinari dedicati a Luis Sepúlveda, il suo compagno che sono così potenti che a me è venuto un groppo alla gola! brava!
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Io invece non l’ho ancora letto, ma l’ho subito prenotato in libreria, non voglio proprio perdermelo!
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E fai bene!
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ho già letto poesie della Yanez una ventina di anni fa, e mi sono piaciute, mi procurerò la raccolta
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