Bernardo Atxaga è uno dei più noti autori baschi: si esprime in una lingua minoritaria, l’Euskera, un patrimonio culturale e linguistico. L’Euskera è una lingua che è rimasta pressoché immutata nei secoli e di cui Atxaga ci offre una scherzosa – ma veritiera – descrizione nella poesia con cui si apre questo volume.
Scrivo in una lingua strana… Nata, dicono, all’epoca dei megaliti… lingua ostinata…. Di una nazione molto piccola…
Atxaga racconta la difficoltà di scrivere in basco, a causa dei limiti della lingua poco conosciuta, a causa della limitata tradizione letteraria che i narratori contemporanei hanno incontrato in quella lingua. Il libro che oggi vi presento, Obabakoak (originariamente pubblicato da Einaudi nel 1988), ci aiuta a conoscere un po’ di più la storia di quella letteratura, apparentemente esigua. Insieme a questo volume, per la riedizione del quale il merito va alla casa editrice 21 Lettere, vi suggerisco anche di leggere il romanzo Il libro di mio fratello.
Obabakoak, di Bernardo Atxaga, 21 Lettere 2020, traduzione rivista di Sonia Piloto Di Castri, pagg. 446
Nonostante la diversità esteriore dei racconti che compongono questo volume, l’unità dello spazio mentale in cui si svolge la sua azione li può unire tra loro a formare un romanzo, più che una semplice raccolta di racconti. Nell’opera si distinguono tre parti. Nella prima, Infanzie, ci immergiamo in Obaba attraverso tre storie: in tutte e tre si evidenzia come l’atteggiamento degli abitanti di Obaba contrasta con quello delle persone che vengono da fuori e trovano una società molto tradizionale, molto chiusa, in cui l’individuo è solo, soprattutto se cerca di agire o di pensare al di fuori del gruppo.
In questa sezione, una storia mi ha colpita in modo particolare, Lettera del canonico Lizardi. La lettera è nata per concedere una licenza di veridicità a una storia accaduta a un ragazzo diventato un cinghiale bianco a causa dell’infinita solitudine che lo affliggeva. Questa storia eredita l’inizio della letteratura basca, il libro di Mosen Bernat Etxepare, un sacerdote di Eiheralarre, vicino a Donibane Garazi (St Jean Pied de Port), autore del primo libro stampato in basco nel 1545, una splendida raccolta di poesie d’amore, religioso e patriottico. Atxaga difende la necessità di conoscere a fondo la tradizione per sapere come uscirne o estenderla verso l’universale, motivo per cui sostiene che scrivere in basco dovrebbe essere una voce in più nella letteratura universale e questo è uno dei valori dell’opera: Atxaga parla di cose che sono molto sue, molto locali e che, però, riesce a trascendere.
Nella seconda parte, Nove parole in onore del paese di Villamediana, il narratore si reca in Castiglia. Forse la parte più luminosa del libro, sembra simboleggiare un viaggio di apertura, un viaggio alla scoperta di un’altra realtà, e su un piano vitale, giovinezza e maturità.
Nella terza parte dell’opera, il narratore va In cerca dell’ultima parola. Il viaggio, partito da Obaba, termina anche a Obaba. In questa parte, la storia principale del narratore che torna a Obaba per celebrare una serata letteraria con lo zio e un amico, è intervallata da storie e racconti veri che i protagonisti scrivono e leggono agli altri. Mentre nella storia principale il narratore finisce per diventare pazzo, nelle storie che i protagonisti scrivono i temi principali sono l’odio e la morte (morte sempre più aspra, brusca, più brutale).
Nel racconto Giovani e verdi esce il tema del ramarro: cosa simboleggia questo ramarro che appare nella foto di classe, in mano al compagno Ismael? I bambini di Obaba erano terrorizzati da questo lucertolone che si diceva potesse entrare nella testa di una persona – attraverso l’orecchio – e mangiarsi il cervello
Come la letteratura, come la letteratura basca, che nasce da una tradizione orale che ha passato secoli senza conoscere la lettera scritta, dal passaparola, da voce a voce, viaggiando nelle vite di persone che conoscevano quella storia, viaggiando in migliaia di versioni … Come quei ramarri che scivolano nell’orecchio dello spettatore… Atxaga sembra chiedersi: cosa distingue la realtà dalla finzione a livello narrativo? Qual è la differenza tra la narrazione di un evento, una leggenda o una storia? Come in tutti i luoghi mitici, epici, come in tutte le geografie vissute e intessute di storie, non c’è una ragione logica a tenere i fili degli avvenimenti, ma bensì la magia, quella di un mondo antico, un mondo che la modernità non ha ancora raggiunto del tutto, e dove gli animali – come il cinghiale bianco in cui si incarna il piccolo Javier – sono usati per spiegare eventi inspiegabili agli occhi umani.
Obabakoak è un ciclo di racconti, e allo stesso tempo un libro in cui una serie di racconti si intrecciano attorno ad una storia comune – un po’ come nella tradizione dei racconti di Le mille e una notte (vedi il racconto Il servo del ricco mercante e la rielaborazione in Dayoub, il servo del ricco mercante), o de I racconti di Canterbury. Un po’ come nella vita, dove le storie intersecano altre storie, per innescare nuove narrazioni. Gli esiti della finzione, come quelli della vita, sono molteplici, e tutto dipende dal valore assegnato al caso.
Uno degli aspetti più sottolineati di questo libro è il suo rapporto con la meta-letteratura– e mi viene in mente Italo Calvino… Infatti, nell’ultima parte troviamo una riflessione sulla originalità e l’intertestualità, e sui meccanismi narrativi. Atxaga prende per mano il lettore e con levità e ironia, affronta però nodi cruciali dell’arte affabulatoria. Lo fa quasi scherzando, come nell’esempio qui sotto.
Apriamo il libro in corrispondenza di Come scrivere un racconto in cinque minuti ; una serie di consigli, tra il serio e il faceto, che inizia così:
Per scrivere un racconto in soli cinque minuti è necessario che si procuri – oltre alla penna e al foglio bianco tradizionali, naturalmente – una piccola clessidra, la quale la terrà puntualmente informato tanto del trascorrere del tempo, quanto della vanità e dell’inutilità delle cose di questo mondo; pertanto, anche dell’effettivo sforzo che ora sta per compiere. (pag. 299)
Arriviamo a Breve esposizione sul metodo per plagiare bene . In esso Atxaga dialoga in sogno con Axular, il grande scrittore basco del XVII secolo, scrittore canonico di letteratura basca.
Questa è la storia chiave che si riferisce alla questione dell’identità, della memoria e della rivendicazione della letteratura basca. La storia racconta di un narratore (Atxaga) che ha un incubo di notte ed è solo nel mezzo di una giungla selvaggia nella completa oscurità. Cerca una via d’uscita, ma non la trova. Nel momento in cui inizia a scoraggiarsi, Axular arriva e lui gli chiede di indicargli la via d’uscita. Axular promette di mostrargli la via d’uscita se il narratore lo accompagna prima in cima a una montagna. Là Axular spiega che la terra arida in cui si trovano è un’isola e rappresenta la lingua basca. Spiega anche che una nave nera sta navigando verso l’isola e che ci sono persone molto cattive che danneggeranno l’isola più di quanto non sia già danneggiata. Prima di lasciarlo tornare alla realtà, Axular chiede al narratore di fare qualcosa per proteggere l’isola e gli affida il plagio per scrivere più libri in basco in breve tempo. Quando il narratore si sveglia, inizia a mantenere la sua promessa e stabilisce le regole per il plagio professionale. E’ così che si può creare un canone pregresso?
E ne fornisce un esempio col racconto successivo, Un crepaccio nelle neve gelata. E come non pensare a Borges… a quello che Borges pensava, cioè che “tutte le poesie del passato, del presente e del futuro, sono episodi o frammenti di un’unica infinita poesia, eretta da tutti i poeti del mondo”.
Atxaga in Obabakoak, come altrove, sviluppa profonde riflessioni meta-letterarie sull’Euskara, la lingua basca. Come egli stesso ci dice nella ironica poesia di apertura, la lingua di questa “nazione molto piccola (..) non ha prodotto, in quattro secoli, più di cento libri”. E badate che usa il termine nazione. Costruire una tradizione letteraria a Euskal Herria (letteralmente “il popolo che parla la lingua basca”) è anche una posizione politica, e la politica linguistica di Atxaga si basa su un’abile discussione di plagio, originalità, status linguistico e tradizione letteraria. In Una sorta di autobiografia, che chiude il volume, Atxaga ci mostra la sua parabola letteraria attraverso la metafora del gioco dell’oca e propone il suo punto di vista sul fatto che agli scrittori baschi non sia mancata tanto una tradizione, quanto la consuetudine della lingua scritta.
Ho sentito dire che il Gioco dell’Oca rappresenta, come i racconti tradizionali, un determinato modo di intendere la vita; che è la descrizione delle opere e dei giorni, e di tutto quello che dobbiamo superare in questo mondo; che è insomma una descrizione e una metafora. Quanto ci sia di vero in questa teoria, lo può constatare chiunque abbia presente la tavola e le regole del gioco, poiché sia la tavola, sia le regole dimostrano che la vita è essenzialmente un viaggio pieno di ostacoli, e sempre che i dadi – il fato – ci siano favorevoli, è possibile avanzare e raggiungere la casella finale dove ci attende la Grande Oca Madre.
Bernardo Atxaga è considerato il maggior scrittore basco vivente, ha vinto numerosi premi letterari, tra cui gli italiani Grinzane Cavour e Mondello.
Nel 2019 gli è stato conferito il Premio Nazionale delle Lettere dal Ministero della Cultura spagnolo per l’importanza delle sue opere nella letteratura contemporanea.
Articolo molto interessante, sicuramente è un autore che non mancherà nella mia biblioteca. Grazie
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Lo conobbi tanti anni fa e mi fa molto piacere che una giovane casa editrice decida di proporsi al pubblico ri-pubblicando questo libro. Spero che sia lo stimolo per fare conoscere questo magnifico scrittore nel nostro paese.
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Ecco, ora mi dedicherò con maggior interesse a giocare all’oca o similari con i nipotini (mai piaciuto, perché si fatica a farli vincere; il gioco è poco controllabile: come la vita, per l’appunto, non ci avevo mai fatto caso).
LIbro da recuperare subito.
A parte gli scherzi, il libro, e la tua recensione, sono davvero accattivanti.
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Il libro è un grande gioco, pieni di imprevisti, di scoperte, con ironia e raffinatezza. Buona domenica!!
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