Come dicevo nel post precedente, Douglas Stuart è il vincitore dell’edizione 2020 del Booker Prize e Mondadori lo ha appena pubblicato in Italia. Con Avni Doshi, una delle finaliste, condivide il fatto che il romanzo sia il suo esordio letterario.
Storia di Shuggie Bain, di Douglas Stuart, Mondadori gennaio 2021, traduzione di Carlo Prosperi, pagg. 528
Il ritratto indimenticabile di una città, di una famiglia e di una donna in difficoltà. Ma soprattutto una struggente, straordinaria storia d’amore, di quel sentimento fortissimo che solo un figlio può nutrire.
«Da un bozzolo di umane amarezze, Douglas Stuart costruisce un romanzo carico di ironia, gioia e speranza» – Enrico Franceschini, la Repubblica
«Un talento letterario fuori del comune per raccontare un’adolescenza ampiamente autobiografica, segnata dall’abbandono del padre e dalla dipendenza dell’alcool della madre» – Antonio Monda, la Stampa
È il 1981: Glasgow, un tempo fiorente città mineraria, sta morendo sotto i colpi del thatcherismo e i suoi abitanti lottano per sopravvivere. Agnes Bain si aspettava di più dalla vita, ha sempre sognato e desiderato una casa tutta sua e un’esistenza che non fosse precaria. Lei, che un tempo è stata bellissima, è ormai una donna delusa avvolta in una pelliccia di visone spelacchiata. Quando il marito, tassista e donnaiolo impenitente, la abbandona, si ritrova con i suoi tre figli in balia di una città devastata dalla crisi economica. Mentre la donna si rifugia sempre più spesso nell’alcol, i figli fanno del loro meglio per prendersene cura, ma a uno a uno sono costretti ad abbandonarla, per riuscire quantomeno a salvare se stessi. A non perdere la speranza rimane solo Shuggie, il figlio minore, da sempre protettore e vittima di Agnes, che si muove circospetto in mezzo ai deliri etilici della madre. Ma anche Shuggie ha i suoi problemi: nonostante si sforzi di essere come gli altri, lui è diverso: ben educato, esigente, pignolo e un po’ snob, è una creatura completamente fuori luogo nello squallore disperato della Glasgow di quegli anni, uno strano bambino che parla come un principe. I figli dei minatori lo prendono di mira perché gay, gli adulti lo rimproverano e ne sono infastiditi, e lui finisce per convincersi che se farà del suo meglio per essere “normale” potrà aiutare Agnes a fuggire da questa città senza più speranza. Shuggie e Agnes si ritrovano entrambi messi ai margini: lei ostracizzata dalle altre donne e usata dagli uomini, lui vittima del bullismo e del machismo.
Margaret Busby, presidente della giuria 2020, editor, critico letterario ed ex editore, ha dichiarato:
Shuggie Bain è destinato a essere un classico: un ritratto in movimento, coinvolgente e ricco di sfumature di un mondo sociale, delle sue persone e dei suoi valori. La storia straziante racconta l’amore incondizionato tra Agnes Bain – avviata alla discesa nell’alcolismo a causa delle difficili circostanze che la vita le ha messo di fronte – e il figlio più giovane. Shuggie lotta con responsabilità che vanno oltre i suoi anni per salvare sua madre da se stessa, allo stesso tempo affronta i crescenti sentimenti e le domande sulla propria alterità. Scritto con grazia e forza, questo è un romanzo che ha un impatto a causa dei suoi numerosi registri emotivi e dei suoi personaggi realizzati con compassione. La poesia nelle descrizioni di Douglas Stuart e la precisione delle sue osservazioni spiccano: niente è sprecato.
Douglas Stuart è nato nel 1976 a Sighthill, un complesso residenziale di Glasgow, in Scozia. Ha conseguito un Master of Arts alla Royal College of Art di Londra nel 2000 in moda maschile. Nel 2000 si è trasferito a New York dove ha iniziato a lavorare nel design della moda per Calvin Klein, Ralph Lauren e Banana Republic.
È uno dei migliori stilisti di moda ed ora è diventato il secondo autore scozzese a vincere il Booker Prize, vincendo un premio di £ 50.000 per il suo romanzo d’esordio Shuggie Bain. Ma Douglas Stuart ha avuto un’educazione dura a Glasgow che lo ha visto vittima di bullismo per essere gay e vivere con una madre single alcolizzata morta quando aveva sedici anni.
Molti critici hanno evidenziato paralleli tra il suo libro, che segue la storia straziante di un ragazzo cresciuto da una madre alcolizzata nella stessa città e l’apprendimento della sua omosessualità in una società piena di uomini della classe operaia, e la sua stessa biografia. Stuart ha insistito sul fatto che Shuggie Bain è “decisamente un’opera di finzione“, ma ha anche ammesso di essere “il figlio queer di una madre single che ha perso la sua battaglia per la dipendenza“. È stato riluttante a rivelare il nome di sua madre nelle interviste per proteggere la sua memoria (però ha pubblicato una sua foto sui social…), ma ha dichiarato di essersene preso cura dall’età di soli otto anni.
Inoltre, Stuart deve molto alla vita vivace del playboy del calcio scozzese Frank McAvennie, l’ex attaccante del Celtic, del West Ham United e della Scozia, che ha in parte ispirato uno dei suoi personaggi.