Le erano bastati pochi secondi per riuscire a leggere nei suoi occhi che stava giocando al gatto e al topo e si godeva la situazione. Satake era un uomo finito. E solo Masako riusciva a eccitarlo e a farlo andare in bestia. Ma anche in lei c’era qualcosa di oscuro, sensibile alle provocazioni di Satake, qualcosa che gli avrebbe permesso di ucciderla. Mai e poi mai si sarebbe immaginata un simile destino. Ma poi aveva fatto a pezzi il cadavere di Kenji. Masako diede uno sguardo allo stabilimento dismesso che si ergeva cupo davanti a lei. Guardava l’edificio vuoto e le sembrava il simbolo delle tenebre del suo animo, della sua stessa rovina. Aveva dovuto vivere quarantatré anni per riuscire ad accorgersi di quanto era corrotta? (pag. 610)

Le quattro casalinghe di Tokyo, di Natsuo Kirino, Neri Pozza editore 2003, traduzione di Lydia Origlia, pagg. 652

Questo romanzo è arrivato sul mio tavolo qualche mese fa e in più occasioni ho deciso di leggerlo, salvo poi rimandare la lettura. Ne ho letto qualche capitolo mentre preparavo il post Viaggio letterario in Giappone, ma il mio entusiasmo si è un po’ raffreddato…. Finché, con l’inizio del nuovo anno, ho deciso di leggere, tra i tanti, anche qualche libro che esuli dalla mia comfort zone e così ecco che finalmente mi sono messa di buzzo buono ad affrontare le oltre seicento pagine della acclamata scrittrice giapponese.

Il romanzo di oggi – che in originale porta il titolo Out (che secondo me è molto più coerente del titolo in traduzione), e che risale al 1997 – come stile e temi è un thriller che si rifà alla tradizione americana dell’hard boiled, ma in questo romanzo protagoniste sono le donne, e una in particolare, Masako, a cui si contrappone (e in un certo senso, si rispecchia) il protagonista maschile Satake. Per certi versi c’è anche una forte vena horror e tanto, tanto splatter, perché, signori, se volete sapere come si smembra un cadavere e come lo si può impacchettare, beh, qui trovate molte spiegazioni.

Se in certi punti può risultare un po’ disturbante per chi non è esattamente un estimatore del genere, vi assicuro che il romanzo ha da offrire un contraltare molto apprezzabile in quella che è la resa della società giapponese. Dunque, scordatevi le atmosfere oniriche di Murakami e preparatevi ad una rappresentazione cruda e sincera di come sia la vita delle donne nel Giappone contemporaneo.

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Il ruolo della donna in una società che da sempre è stata patriarcale e maschilista è fortemente legato al concetto di sottomissione; concetto che si declina in una serie di corollari, tipo la donna-oggetto il cui destino è quello di soddisfare gli appetiti sessuali maschili, la donna di casa che deve essere una moglie e madre perfetta e senza macchia, totalmente decisa a soddisfare il marito, anche se fedifrago e con le mani bucate, la donna che se è costretta – e lo è sempre più nella società del post consumismo e del post boom economico – a lavorare, e dico costretta perché pare strano che voglia lavorare per sua spontanea volontà, o che, peggio ancora, lo faccia per personale emancipazione, deve lavorare per contribuire al bilancio familiare anche quando dei soldi che guadagna non può disporre.

Tutto questo lo troviamo perfettamente delineato nel romanzo attraverso i protagonisti, in primis le donne, e poi gli uomini che le circondano; lo sfondo è una città dove convivono le zone scintillanti degli uffici, i quartieri a luci rosse e pullulanti di case da gioco, le periferie povere e squallide, i grandi centri commerciali che acuiscono lo smarrimento, il senso di vuoto di valori e il materialismo che vivono i giovani.

Tokyo periferia

I soldi sono uno dei grandi problemi: ce ne sono pochi, perché gli stipendi sono bassi e la vita è cara; lo stile di vita spinge ai consumi a costo di indebitarsi; la necessità di sentirsi omologati attraverso codici di riconoscimento come l’abbigliamento firmato o i capelli alla moda sono prioritari; il gioco d’azzardo e la prostituzione sono il perfetto anestetico per addormentare le coscienze maschili e farle sognare per qualche minuto di vana gloria.

Le quattro casalinghe di Tokyo in realtà sono delle operaie che lavorano in uno stabilimento dove si confeziona il cibo precotto e fanno il turno di notte, quello più faticoso, retribuito leggermente meglio, e che lascia spazio durante il giorno all’adempimento dei doveri familiari.

Masako è la protagonista principale, un personaggio ambiguo e inquietante. In realtà è quella più agiata, arrivata a scegliersi questo lavoro dopo una delusione nell’attività che svolgeva prima, in cui è stata oggetto di mobbing perché voleva essere considerata al pari dei colleghi maschi; ha un marito con cui non condivide più niente, un uomo che si è auto isolato dalla vita coniugale e con cui il dialogo è inesistente; il figlio non le rivolge la parola, ha abbondonato gli studi e si fa i fatti suoi. Dunque un ménage familiare a cui non sente più di appartenere e col quale, tuttavia, non riesce a tagliare i ponti.

Era come se Masako fosse circondata da una barriera che impediva alla gente di avvicinarla, come se portasse una specie di “sigillo” che contraddistingue chi lotta da solo contro il mondo intero.

Kuniko si cruccia per il suo aspetto fisico che non le permette di ottenere lavori nei locali notturni; è rotondetta e bruttina, schiava del consumismo e dello shopping, cerca di migliorare il suo aspetto con abiti firmati (in realtà taroccati) e con il trucco, per questo è sempre a corto di denaro e si va a impelagare con gli usurai. Dal comportamento risulta una donna vuota e sciocca, abbandonata dal compagno, indebitata fino al collo. Per i soldi è disposta a tutto, e sa bene usare l’arma del ricatto. Eppure è talmente ingenua da cadere nelle trappole più evidenti.

Yoshie, detta la maestra. Donna di mezza età, grande e precisa lavoratrice, è quella che vive la situazione familiare più complicata. La vecchia suocera inferma in casa, bisognosa di cure e inacidita, una figlia adolescente egoista e irriconoscente, che spende troppo per essere alla moda come le sue amiche e un’altra che se ne è andata di casa salvo riapparire e mollarle il figlioletto. Tutti da lei pretendono cure e soldi, e se nelle prime certo non si si sottrae, per i soldi la coperta è sempre troppo corta.

Yayoi, donna schiva, ingenua, di grande bellezza, mamma di due bambini piccoli, costretta a lavorare di notte perché i soldi non sono mai abbastanza. Le spese sono tante ma il problema più grosso è che il marito sperpera i risparmi che dovevano assicurare un po’ di stabilità alla famigliola in alcol, gioco d’azzardo e prostitute. Yaoyoi sopporta, tiene duro e continua a inscatolare cibo di notte fino a quando il marito, alle sue rimostranze, le mette le mani addosso. La goccia che fa traboccare il vaso; esasperata e preoccupata per la situazione economica, Yayoi strangola il marito sulla porta di casa senza battere ciglio. E soprattutto senza alcun rimorso, convinta che quell’estremo atto fosse solo la conseguenza della cattiva condotta del marito. Insomma, se l’è meritato.

Tokyo insegne

L’omicidio commesso da Yayoi è ciò che scatena tutta la concatenazione di eventi in cui le quattro donne pian piano si trovano invischiate e che le porteranno ad un finale inquietante. Se il gesto di Yayoi appare quasi come una catarsi, una liberazione dalla schiavitù a cui il marito la costringe, quello che le tre colleghe decideranno di fare affinché lei non venga incriminata, appare coma una cinica e cosciente perdita dell’innocenza. Chi per soldi – Kuniko e Yoshie – chi invece – Masako – per un oscuro richiamo interiore, chi – Yayoi – per un atto di ribellione al sistema, tutte comunque decidono di intraprendere la strada del male. Ecco che, così come fanno a pezzi il cibo e lo inscatolano di notte alla catena di montaggio della fabbrica, così di giorno fanno a pezzi e distribuiscono in sacchetti da smaltire nei rifiuti il cadavere di Kenji, il marito di Yayoi.

Se uno non ha legami personali con il morto, togliere di mezzo un cadavere non è molto diverso dall’eliminare la spazzatura. Nella vita quotidiana si accumula inevitabilmente della spazzatura. Che cosa interessa sapere chi l’ha gettata, e di che cosa si tratta? E d’altronde lei stessa, prima o poi, sarebbe stata abbandonata come immondizia. pag. 462 

Mentre le quattro donne cercano di uscire dalla situazione, la polizia indaga e arresta il proprietario della casa da gioco in cui Kenji era solito dilapidare i soldi e correre dietro ad una hostess, divenendo così assillante da essere ritenuto indesiderabile. La sera del suo omicidio, proprio davanti alla sala, il proprietario Satake, lo aveva conciato per le feste, visto da parecchie persone. Dunque testimoni e movente ma nessuna prova concreta.

Apro qui il capitolo uomini nel romanzo. Anche tra loro non ci sono buoni (o meglio, ce n’è uno e non a caso è giapponese solo a metà): né il marito dilapidatore Kenji, né l’usuraio Jumonji, né il sadico Satake, ma nemmeno il poliziotto Imai, si salvano. Un quadro davvero desolante…

Il romanzo ha un ritmo notevole e una tensione narrativa che non molla mai la presa: la narrazione procede in modo incalzante, come è giusto che sia nel canone scelto, nonostante ci sia molta profondità nello scavare tra le varie personalità, nello scoperchiare i mali della società, e nel descrivere una città livida e alienante, soffocata e soffocante nel caldo umido estivo, gelida e spettrale nel freddo invernale. Paesaggi e abitazioni perlustrati nel dettaglio, a restituire un habitat – naturale e umano – che ha perso qualsiasi connotato di protezione, dove pur vivendo accalcati si è chiusi in una solitudine disperante. Ci vuole grande maestria nel tenere tutto in bolla, incalzando il lettore e allo stesso tempo facendolo riflettere, mantenendo perfettamente in equilibrio azione e pensiero. E il lettore non può che andare dietro al precipitare degli eventi, constatando come sia facile sprofondare verso l’inferno.

“Com’è facile cadere per un essere umano, non trovi?” mormorò, e Masako le rivolse uno sguardo pieno di compassione.
“Sì. Poi è come scendere precipitosamente per una china con una bicicletta senza freni.”
“Vuoi dire che niente e nessuno riesce più a fermarti?”
“Sì. A meno che non si vada a sbattere contro qualcosa”. pag. 208

Dunque il noir di Natsuo Kirino è soprattutto uno straordinario racconto della società giapponese, una lucida critica sociale e una narrazione corale; quando si addentra nell’indagine psicologica riesce a mettere in luce, in modo spietato e senza buonismi, il lato oscuro dell’animo umano, che riesce a prevalere anche laddove sembra meno possibile, purché le circostanze siano così portate agli estremi da togliere ogni speranza nel bene.

Tokyo città sovraffollata

In questo romanzo tutti i personaggi hanno un tratto in comune: anelano alla libertà, cercano disperatamente una via d’uscita da vite che li soffocano; vorrebbero liberarsi dai legami familiari, da un lavoro alienante e che non produce benessere, da una vita che appare senza scopo. Vorrebbero fuggire, essere Out da una vita in cui non si riconoscono. Ma la libertà ha un prezzo, e loro sanno che senza soldi non si può essere liberi di andarsene, di rifarsi una vita.

Adesso anche gli occhi di Kazuo erano colmi di lacrime che cadevano a grosse gocce sul tatami Quindi essere soli vuol dire essere liberi? Pag. 617

Out è da interpretare anche come l’emergere di qualcosa che Satake e Masako hanno in comune; il loro lato oscuro che a poco a poco si manifesta, prende sempre più corpo fino all’epilogo, in cui non è più chiaro quale sia il predatore e quale la vittima.

Natsuo Kirino foto

Natsuo Kirino, pseudonimo di Mariko Hashioka, è nata a Kanazawa, in Giappone. Nel 1993 si è aggiudicata il premio Edogawa Ranpo con il romanzo Pioggia sul viso. Con Le quattro casalinghe di Tokyo (Neri Pozza 2003) ha raggiunto una notorietà internazionale e ha vinto il prestigioso premio dell’Associazione giapponese degli autori di romanzi polizieschi. Morbide guance (Neri Pozza 2004) ha vinto il premio Naoki. Nel 2008 è stato pubblicato con grande successo Grotesque. La fama mondiale della scrittrice è in costante ascesa, e viene ormai considerata un’autrice capace di innovare la lezione di autori come Chuck Palahniuk e Murakami Haruki. Nel 2016 con Neri Pozza ha pubblicato La notte dimenticata dagli angeli.

Qui potete leggere l’incipit.