Venire quassù era stata un’idea di mia madre. Sentiva il bisogno di tornare a casa dopo tutti quei funerali, aveva detto. Tutti quegli addii. Potevamo fare una vacanza insieme. Andare a trovare i parenti. Sapeva benissimo che il bisogno era mio. Lo avevo espresso. «Non so nemmeno pronunciare il mio nome.»
Isola, di Siri Ranva Hjelm Jacobsen, Iperborea 2018, ed. orig 2016, traduzione di Maria Valeria D’Avino, illustrazione in copertina di Federica Bordoni, la mia recensione

La terza generazione è una coperta troppo corta: è totalmente disinvolta e libera da condizionamenti culturali oppure è a casa solo per metà, padroneggia a metà la lingua, si costruisce un’identità nel solco dell’aratro sulla roccia, porta la data d’arrivo del suo sangue impressa sulla fronte come un tatuaggio, ma è un tatuaggio che si è fatta da sé con la biro, e pronuncia il proprio nome con orgoglio tra gli stranieri, a mezza voce tra i compatrioti.
INCIPIT
Volge le spalle agli alberi bassi del bosco artificiale e guarda giù dalla montagna, verso il villaggio, che è azzurro nella notte d’agosto, e le pecore, simili a pietre nell’erba mossa dal vento. Più in là dorme il mare. Il fiordo di Vág è calmo, l’azzurro si confonde con quello del cielo sull’orizzonte dritto, teso tra le terre emerse, un filo su cui possono camminare solo creature mitiche e fantasmi. Chiude gli occhi. Con tutta la sua giovane volontà segue la strada azzurra: supera le isole Shetland e i massicci montuosi della Norvegia, attraversa il Kattegat e s’inoltra nel paese piatto, il paese del burro, dei campi e delle fattorie, fino alla cittadina dello Sjælland dove Fritz, ora starà dormendo come un sasso. Marita, si chiama. Presto si metterà in viaggio e questo è il punto di partenza: Suðuroy, la più meridionale delle isole Faroe. Qui i fiordi sono profondi e le montagne impervie. Il paesaggio è più scabro e ripido che nel posto dove è nata, l’isola di Vágar, ma è il primo che s’incontra arrivando dal resto del mondo. Nel paese in cui è diretta c’è una ferrovia. Marita immagina i binari che tagliano la terra abitata come un fiume. Le persone trascinate dalla corrente. Prendere un treno. Si può scendere dove si vuole. In una città, forse. In un’altra città. In un bosco.
Ho letto la tua recensione, sembra molto bello!
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Ho trovato molto coinvolgente la sua ricerca intima dell’identità, attraverso le vite passate e i luoghi. Buona giornata 🌷
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