Marion si alzò una mattina e si ritrovò davanti una donna nera, con i capelli grigi tagliati corti, un seno quasi inesistente e un girovita sottilissimo, che dirigeva un’orchestra di traslocatori con elaborati gesti delle mani. (..) Era un insulto, all’improvviso una donna nera si insediava nella casa che per decenni Marion aveva sognato di possedere; una casa che era sua di diritto e che altri continuavano a portarle via.

La signora della porta accanto, di Yewande Omotoso, 66th and 2nd editore 2018, traduzione di Natalia Stabilini, pagg 249, la mia recensione

Cape Town, credits Lonely Planet Italia

«Perciò vedi, Hortensia, qui non ti puoi giocare la carta del razzismo, il tuo argomento preferito. Per una volta siamo dalla stessa parte». Il sorriso di Marion sembrava pronto a esplodere e incendiare il mondo intero.

«Ti sbagli».

«Scusa?».

«Ti sbagli, Marion. Non siamo dalla stessa parte. Dovresti saperlo ormai. Qualunque cosa tu dica, io non sono d’accordo. Qualunque cosa provi, io provo l’opposto. Mai e poi mai io e te saremo dalla stessa parte. Non mi schiero con gli ipocriti».

INCIPIT

Fu quando Peter si ammalò che Hortensia prese l’abitudine di camminare. Non all’inizio, ma dopo, quando le sue condizioni si aggravarono e lui fu costretto a letto. Era un mercoledì. Se lo ricordava perché il mercoledì era il giorno libero di Bassey, il cuoco, e in frigorifero c’erano dei medaglioni di agnello in un contenitore ermetico, pronti per essere riscaldati nel forno ventilato e serviti con un contorno di tuberi arrosto spennellati con l’olio d’oliva. Ma non aveva fame. La casa le andava stretta, cosa che sembrava impossibile visto che c’erano sei camere da letto. Eppure era così. «Sto uscendo» aveva gridato Hortensia dalle scale. Secondo gli infermieri, non avrebbe mai dovuto lasciarlo da solo, ma Hortensia disprezzava gli infermieri e le loro opinioni. Non vedeva nemmeno la necessità di bussare alla sua porta per avvertirlo che stava andando via. Si era convinta che l’udito di Peter, a differenza del corpo che si stava deteriorando, fosse intatto. Che fosse in grado di sentire perfino quando era sepolto sotto le coperte, perfino attraverso la porta chiusa di quella che lei chiamava infermeria, di sentire i rumori dal fondo delle scale, di sentire la porta d’ingresso che si chiudeva dietro di lei. Era uscita passando dal cancello pedonale, aveva guardato da una parte e dall’altra di Ketterijn Avenue e aveva svoltato a destra, verso il Koppie.