Mayya si limitava ad ascoltare divertita, e taceva. Tacere, secondo lei, era l’azione più grandiosa che un essere umano possa compiere. Tacendo, ascoltava bene cosa dicevano gli altri e quando i loro discorsi l’annoiavano, ascoltava se stessa. Non dicendo niente, niente le si ritorceva contro. Molto spesso non aveva nulla da dire e a volte preferiva non parlare. (..) Più tardi Mayya avrebbe fatto una nuova scoperta: il sonno. (..) Non avrebbe parlato e nessuno le avrebbe parlato. Non avrebbe neppure sognato. (..) Quando dormiva cadeva in un confortevole abisso che pian piano la faceva scivolare nel nulla.
Corpi celesti, pag. 58
Corpi celesti, di Jokha Alharthi, Bompiani editore 2022, traduzione dall’arabo di Giacomo Longhi, grafica di copertina Francesco Zucchi, pagg. 258
Il romanzo di Jokha Alharthi è il primo libro in arabo a ricevere il Man Booker International Prize per la narrativa, nel 2019. È anche il primo romanzo scritto da una donna dell’Oman ad essere tradotto in inglese e in altre lingue. E per molti lettori, il suo libro offre il primo sguardo alla vita domestica quotidiana nella nazione in rapida evoluzione dell’Oman, una delle mete preferite del turismo internazionale. Dunque, un romanzo che consiglio a tutti, sia per la qualità e il valore letterario che possiede, sia per la possibilità che ci offre di conoscere una società di cui poco sappiamo. Un viaggio letterario unico, valorizzato da un punto di vista locale.

La scrittrice omanita Jokha Alharthi in questo romanzo corale segue tre generazioni di due famiglie, che cercano di farsi strada mentre i ruoli e le aspettative tradizionali si trasformano. Attraverso le vicende familiari dei protagonisti, il racconto parte dall’inizio del XX secolo e si estende fino ai tempi contemporanei, densi di straordinari cambiamenti sociali e geopolitici. Mentre il paese si evolve da una nazione chiusa sotto il governo del sultano a uno stato moderno che vanta ospedali all’avanguardia, università di prestigio, centri commerciali di moda di lusso, splendidi resort, sia gli uomini che le donne dell’Oman sono protagonisti di questi cambiamenti.
L’organizzazione narrativa scelta dall’autrice è il flusso di coscienza dal punto di vista di Abdallah, che si alterna a capitoli scritti in terza persona incentrati su uno dei personaggi principali, di cui conosciamo gli avvenimenti e gli stati d’animo che li hanno accompagnati. Grazie ai flash back, ciascun personaggio contribuisce a delineare il passato della nazione, o almeno quello che loro e i loro parenti hanno vissuto sulla propria pelle – come ad esempio la schiavitù o la carestia. Attraverso le vite che si incrociano in questi racconti, veniamo anche a conoscere fatti storici e tradizioni, così come i cambiamenti avvenuti nella società omanita.

L’albero genealogico fornito in apertura aiuta a districarsi nella saga familiare, soprattutto all’inizio, ma poi il racconto è fluido e dettagliato e le voci si alternano e ricorrono più volte, quindi si impara a riconoscerle e a tenere il filo del racconto. La generazione di Salima è molto legata alle tradizioni, alla saggezza popolare cristallizzata nei proverbi che cita in continuazione, lei come le altre donne con cui trascorre il tempo libero: Zarifa – la domestica di Sulayman-, la moglie del giudice e tutte le altre vicine. La generazione di Mayya, sua figlia, accetta la tradizione, sa che deve accettarla, ma certo questo non le basta per essere felice, e lo sanno bene sia sua figlia London che – soprattutto – suo marito Abdallah che si è innamorato di lei appena l’ha vista e non ha smesso di amarla per tutta la vita, pur sapendo quanto lei non lo amasse.
London sa di sicuro cos’è l’amore. Mi ha impressionato la tenacia con cui sopportava le sferzate di sua madre, ci soffrivo talmente tanto che, per mettere fine a quelle scenate, le ho dato il permesso di sposarlo. “Che ne sai tu dell’amore?” ha rinfacciato London a Mayya. “In vita tua hai visto soltanto mio padre. Quanti anni avevi quando te l’hanno fatto sposare?” Credeva che non fossi a casa, e invece ero lì e ho sentito. Mayya ha riso. Una risata violenta, inquietante. Ma non ha risposto. Non ha detto che mi amava. Non l’ha mai detto.
Corpi celesti, pag. 31
E se Abdallah – un giovane sensibile, introverso, ossessionato dal padre dispotico – ha seguito il suo cuore quando ha chiesto in sposa Mayya, lei non ha potuto farlo perché il suo cuore era votato ad un altro uomo, che appena conosciuto se ne era andato a studiare in Inghilterra. Il suo unico atto di ribellione è stato chiamare sua figlia London, un nome che ha suscitato scandalo, e che suo marito ha però accettato, quasi come un risarcimento. London, che ha potuto studiare, è diventata medico e ha vissuto nella capitale, ha fatto anche lei un atto di ribellione, quello di scegliersi il fidanzato che voleva, eppure nemmeno la sua scelta l’ha preservata dall’essere infelice.

Al centro della narrazione sono le tre sorelle figlie di Salima e ‘Azzan. Mayya che si sposa con l’uomo scelto dalla madre, Abdallah, rampollo di un ricco mercante e marito fedele; Asma’ che sposa per senso del dovere un artista sensibile e visionario, per il quale la moglie ideale è qualcuno che cadrà “nell’orbita che lui aveva tracciato”; e Khawla, la più bella, che non accetta il pretendente proposto dalla madre, e dopo molti anni di leale pazienza, sposa Nasir, il suo amore d’infanzia, la cui idea di matrimonio prevede di trascorrere la maggior parte del suo tempo in Canada con un’altra ragazza, tornando ogni due anni per mettere incinta sua moglie. Ognuna di loro è alle prese con la vita e con ciò che riserva, nel bene e nel male, muovendosi tra la tradizione e le libertà emergenti della cultura dell’Oman. Le loro esperienze offrono tre diverse prospettive su questi cambiamenti e sottolineano il fatto che le decisioni individuali, collettivamente, aiutano a far avanzare il paese.
“Perché dipingi, Khalid?” gli aveva chiesto Asma’. “Dipingo per evadere dalla vita rinchiusa nei confini fissati dalle fantasie di mio padre e per rimodellarla seguendo la mia immaginazione. (..) Era lui a sapere e a decidere chi dovevo essere. Ero il carburante delle sue aspirazioni. (..) Da quando ho capito che per vivere non avrei mai potuto rinunciare alla fantasia, l’arte è diventata per me una cosa necessaria. Non importa quanto la realtà possa essere bella e piacevole: la vita, senza la libertà di inventare, diventa semplicemente insopportabile.
Corpi celesti, pag.223
Al fianco delle tre sorelle ci sono tanti altri personaggi che attribuiscono così al romanzo la dimensione corale, permettendogli di esplorare un quadro più generale della vita domestica delle famiglie omanite, compresi i ricchi dettagli delle usanze tradizionali, dei cibi, dei rimedi naturali per la salute e della letteratura. L’autrice approfondisce i caratteri dei personaggi attraverso uno scavo psicologico profondo, che esplora i tormenti, le infelicità, i desideri e le gioie; man mano che si leggono i capitoli, i ritratti si fanno sempre più vividi. Ogni breve capitolo fornisce un tassello che va a comporre un’immagine d’insieme. L’autrice lascia al lettore la libertà di comporre questi tasselli e di farsi un’opinione personale su ciò che vede davanti a sé.

Nel seguire le vite delle tre generazioni si vede il cambiamento che attraversa la società, una società che diviene sempre più aperta e tollerante, che investe nella cultura e nella formazione delle nuove generazioni per creare una solida classe media in grado di fare progredire il paese. Tradotto letteralmente, il titolo del romanzo è “Signore della luna“, che per certi versi riflette meglio il suo contenuto: le storie qui sono principalmente storie di donne. In una cultura patriarcale che spesso sopprime tali storie, l’atto di raccontarle da parte dei personaggi sembra eversivo. Tuttavia, colpiscono molto anche le storie degli uomini che affiancano le donne; se le generazioni passate di uomini sembrano più granitiche e attaccate alla tradizione, le presenti sono più tormentate e decise a perseguire la propria idea di vita, anche laddove essa non coincide con la visione patriarcale.

Jokha Alharthi è nata nel 1978 e ha studiato nell’Oman e a Edimburgo. Autrice di romanzi, storie per ragazzi e saggi, insegna letteratura araba alla Sultan Qaboos University, non lontano dalla capitale omanita, Mascate. Nel 2019 Corpi celesti ha vinto il Man Booker International Prize.
Le foto inserite nel post provengono dal sito ufficiale del Turismo Oman.
Che bella recensione, Pina! Ci offri sempre letture capaci di offrirci uno sguardo su paesi di cui non sappiamo abbastanza (o almeno di cui io, nella mia ignoranza, non so praticamente nulla).
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Quando l’ho visto nelle nuove uscite di Bompiani l’ho subito ordinato. Il premio, il fatto che sia scritto da una donna, il fascino del paese in cui è ambientato…. tanti gli elementi che mi attiravano verso questo romanzo. E le promesse sono state mantenute. Lo consiglio a tutti, in particolare a chi decide di fare una vacanza in Oman, per avvicinarsi a quella cultura con qualche elemento vero, e non solo con i resoconti turistici. E poi è ben scritto e avvincente, una saga multicolore.
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Quindi progetti una vacanza in Oman 😉?
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magari……
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Grazie Pina per quest’articolo così approfondito. Anch’io l’ho inserito nella mia wish list quando ho letto che sarebbe uscito in Italia per Bompiani. Pur non progettando un viaggio in Oman, finirò per acquistarlo. Ti auguro un sereno weekend.
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Ricambio l’augurio, con tante buone letture, come questo bel romanzo. In effetti, credo che sia un’ottima lettura sia che si decida di andare in Oman, sia no. Almeno si può fare un bel viaggio con la fantasia…
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