Il Premio Pulitzer viene assegnato negli Stati Uniti dal 1917 ed è stato istituito da Joseph Pulitzer, emblema del giornalismo americano che, oltre a volere fortemente questo riconoscimento, lasciò tutti i suoi averi – e di conseguenza la gestione del premio – alla Columbia University. Il Premio Pulitzer si distingue in due grandi categorie con le rispettive sottocategorie: assegnazione per il Giornalismo e per le Arti e lettere.

Ieri è avvenuta l’assegnazione del premio Pulitzer 2023: tra i lavori premiati, come riportato dal New York Times, uno speciale sulla città assediata di Mariupol e l’invasione ucraina con le morti a Bucha; un lavoro sulle conseguenze sulla vita quotidiana della sentenza Roe vs Wade del 1973 e ancora un reportage sulla vita delle persone durante la pandemia e un’analisi delle questioni sociali analizzate.

Per quanto riguarda la narrativa, per la prima volta in 105 anni di storia, il premio Pulitzer per la fiction è stato vinto da due romanzi: la vittoria è andata a Hernan Diaz con il romanzo Trust (edito in Italia da Feltrinelli), a ex aequo con Demon Copperhead, scritto da Barbara Kingsolver (non ancora edito in Italia).
Quest’ultimo è una rivisitazione di “David Copperfield”, narrata da un ragazzo degli Appalachi la cui voce saggia e incrollabile racconta i suoi incontri con la povertà, la dipendenza, i fallimenti istituzionali e il collasso morale e i suoi sforzi per superarli.
Quello di Diaz è invece un romanzo avvincente ambientato in un’America ormai passata che esplora la famiglia, la ricchezza e l’ambizione attraverso narrazioni collegate rese in diversi stili letterari, un complesso esame dell’amore e del potere in un paese dove il capitalismo è il re.

L’altro libro nominato era The Immortal King Row di Vauhini Vara.

New York, anni cinquanta. Dopo la pubblicazione di un romanzo mendace e offensivo sulla sua vita, il ricchissimo finanziere Andrew Bevel, diventato milionario dopo alcune speculazioni seguite al crollo in Borsa del ’29, assume la giovane Ida Partenza, figlia di un anarchico italiano, perché lo aiuti a scrivere un’autobiografia in grado di raccontare finalmente la verità sui suoi successi e sulla sua defunta moglie, Mildred. Ida intuisce presto che nemmeno dalla sua penna, strettamente controllata dal committente, uscirà il ritratto fedele di una donna complessa la cui reale personalità continua a sfuggirle, e la morte improvvisa di Bevel la costringe infine a lasciare incompleto il lavoro. Soltanto trent’anni dopo ha la possibilità di accedere agli archivi della Fondazione Bevel, dove trova finalmente il diario di Mildred, prezioso tassello mancante all’enigma che ha lasciato nella sua vita un’impronta indelebile. Quattro testi, quattro generi letterari, quattro voci, quattro punti di vista compongono un raffinato gioco di specchi in cui dietro le scelte di un leggendario uomo d’affari americano si intravede la figura polimorfa e affascinante di una moglie, artefice misconosciuta della sua fortuna.

COME COMINCIA
Avendo fin dalla nascita goduto quasi di ogni vantaggio, uno dei pochi privilegi negati a Benjamin Rask fu quello di un’ascesa eroica: la sua non fu una storia di tenacia e perseveranza, o l’epopea di una volontà inscalfibile capace di forgiare per sé un destino aureo pur partendo da una manciata di scorie. Secondo il risguardo posteriore della Bibbia della famiglia Rask, nel 1662 gli antenati di suo padre erano emigrati da Copenaghen a Glasgow, dove avevano iniziato a commerciare nel tabacco proveniente dalle colonie. Nel corso del secolo successivo, i loro affari prosperarono e si ingrandirono al punto che una parte della famiglia si trasferì in America, in modo da poter sorvegliare meglio i fornitori e controllare ogni aspetto della produzione. Tre generazioni dopo, il padre di Benjamin, Solomon, acquistò tutte le quote di parenti e investitori esterni. Sotto la sua direzione l’azienda continuò a fiorire, e non gli ci volle molto per diventare uno dei più rinomati commercianti di tabacco del litorale orientale. Si può affermare con certezza che la sua merce provenisse dai migliori fornitori del continente, ma più che nella qualità della materia prima, la chiave del successo di Solomon stava nella sua capacità di trarre vantaggio da un dato scontato: certo, nel tabacco c’era un aspetto di epicureismo, ma la maggior parte degli uomini fumava per poter parlare con altri uomini. Solomon Rask era quindi un procacciatore non solo dei migliori sigari, cigarillos e miscele di trinciato da pipa, ma anche (e soprattutto) di eccellenti conversazioni e contatti politici. Riuscì a raggiungere il gradino più alto della sua scala professionale e si garantì di restarvi grazie alla sua affabilità e alle amicizie coltivate nei fumoir, dove lo si vedeva spesso condividere uno dei suoi figurado con alcuni illustri clienti, tra i quali annoverava Grover Cleveland, William Zachary Irving e John Pierpont Morgan.

In un’intervista a El País, Diaz ha raccontato di aver deciso di scrivere Trust dopo aver scoperto che «nonostante i soldi ricoprano negli Stati Uniti un ruolo quasi mistico, non ci sono romanzi che parlino davvero di loro. Mi viene difficile farmi venire in mente degli esempi. I romanzi che di solito inseriamo in questa categoria in realtà sono romanzi che parlano delle differenze di classe». Nato a Buenos Aires, Diaz – da alcuni definito il fondatore e principale interprete del “realismo capitalista” – vive a New York da venticinque anni e ha scelto l’inglese come lingua dei suoi romanzi. «Prima di arrivare a New York, ho vissuto a Londra per due anni. Ho iniziato a leggere letteratura in lingua inglese quando da ragazzino, e questa tradizione letteraria, per qualche ragione, ha sempre esercitato su di me un grandissimo fascino. Mi sono innamorato di questa lingua. Sembra una cosa stucchevole, ma non ho un’altra spiegazione».

Diaz ha spiegato che con Trust voleva parlare «del processo di accumulo della ricchezza. Volevo parlare di classe e di soldi, e di come si fanno davvero i soldi». La differenza tra Demon Copperhead Trust sta nel fatto che il primo racconta la vita dei più poveri, di chi sta alla base della piramide della ricchezza, mentre il secondo racconta le persone che sono riuscite ad arrivare, o hanno avuto la fortuna di nascere, in cima a quella stessa piramide.

Nella categoria “History” a trionfare è Freedom’s Dominion: A Saga of White Resistance to Federal Power“, di Jefferson Cowie. Un resoconto risonante di una contea dell’Alabama nei secoli XIX e XX plasmata dal colonialismo e dalla schiavitù dei coloni, un ritratto che illustra l’evoluzione della supremazia bianca tracciando potenti connessioni tra ideologie antigovernative e razziste.

Significativo, sempre in tema razzismo, è il Pulitzer assegnato a Robert Samuels and Toluse Olorunnipa per il loro “His Name Is George Floyd: One Man’s Life and the Struggle for Racial Justice“. Un ritratto intimo e avvincente di un uomo comune il cui incontro fatale con gli agenti di polizia nel 2020 ha scatenato un movimento internazionale per il cambiamento sociale, ma la cui umanità e la complicata storia personale erano sconosciute.

Nella categoria “Drama“, ha vinto English di Sanaz Toossi, un’opera teatrale silenziosamente potente su quattro adulti iraniani che si preparano per un esame di lingua inglese in una scuola vicino a Teheran, dove le separazioni familiari e le restrizioni di viaggio li spingono a imparare una nuova lingua che potrebbe alterare le loro identità e rappresentare anche una nuova vita.

Sul sito del Premio Pulitzer trovate tutti i vincitori per categoria.