Voi due siete dall’altra parte del confine furono le sue prime parole mentre entrava. Come se qualcuno mi avesse tracciato la linea di confine attraverso il corpo. Ci hanno divisi, ci hanno divisi tutti. Hanno tracciato una linea di confine tra me, mia madre e mio padre. Ora c’è qualcuno che decide se posso vedere i miei genitori.
All’ombra del fico, pag. 403
All’ombra del fico, di Goran Vojnović, Keller editore 2023, traduzione dallo sloveno di Patrizia Raveggi, pp. 480
Il romanzo dello scrittore sloveno Goran Vojnović colpisce per la profondità e delicatezza con cui riesce a raccontare temi complessi: nato nel 1980, subito dopo la morte di Tito, appartiene e rappresenta una generazione che si è ritrovata priva di identità in un Paese che all’improvviso cessò di esistere. Ed è proprio questo il nucleo centrale che sottende alle vicende narrate: cioè come la pluralità di identità, ovvero la loro pacifica coesistenza all’interno dello stesso territorio – che era stato un valore positivo nella Jugoslavia, di cui forse non si era nemmeno capito fino in fondo l’importanza – dopo la disgregazione della federazione, sia diventata un fattore da eliminare, per erigere di nuovo divisioni e chiusure.
Come afferma lo stesso autore in una intervista, “l’identità jugoslava (era) un qualcosa in via di costruzione. Il nazionalismo è sempre stato forte nel corso degli anni e anche Tito ne era molto cosciente, perciò non ha mai imposto un’identità jugoslava. C’erano repubbliche separate, cittadinanze separate, anche la lingua si chiamava serbo-croato e non jugoslavo, perché Tito temeva il nazionalismo e, come abbiamo visto poi, ne aveva tutte le ragioni.” Ma se questa identità in via di costruzione si stava imponendo nelle città – nelle aree più sviluppate socio-culturalmente – nelle zone rurali dove resistevano le tradizioni e l’isolamento, il processo di unificazione identitaria avrebbe avuto bisogno di più tempo, avrebbe potuto consolidarsi attraverso le nuove generazioni.
L’autore sviluppa tali tematiche in un affresco multi-generazionale ambientato nell’ultimo mezzo secolo di storia dei Balcani. Una saga familiare in cui si rispecchia l’intera società, in cui spiccano tratti comuni, in cui la perdita dei legami personali assurge a metafora della disgregazione della Jugoslavia e del processo di trasformazione che ne fu il prodotto. Una disgregazione di cui hanno fatto le spese soprattutto le nuove generazioni, soprattutto i figli delle famiglie multietniche, coloro che sono cresciuti in una società che dava valore alle differenze e che d’un tratto hanno visto cancellare tali valori. Una generazione in bilico su un precipizio che ha quasi inghiottito tutto, una deriva di violenza e di frantumazione, in cui non era più possibile essere “solo” jugoslavi, ma in cui ogni gruppo doveva attenersi alla propria identità: bisognava essere ciò che il passato generazionale comportava, serbi, croati, sloveni. Divisi.
L’autore attinge molto alla sua storia personale per ricreare un mondo che è stato cancellato dalle guerre balcaniche degli anni Novanta. Lui stesso vive in Slovenia ma la sua lingua madre è il serbo-croato, non lo sloveno, perché i suoi genitori sono originari della Bosnia. La guerra ha cambiato tutto, ha costretto le persone a sentirsi straniere nel paese in cui avevano vissuto fino a quel momento e a cui avevano sentito di appartenere.
Il protagonista del romanzo è Jadran Dizdar, un uomo sulla trentina che viene abbandonato dalla moglie mentre sta elaborando il lutto per la morte di suo nonno Aleksandar, una morte che lascia molte domande senza risposte. Questi due eventi innescano dentro di lui un flusso di ricordi che lo porta a ricostruire la storia della sua famiglia nel disperato tentativo di dare una spiegazione razionale al presente.
Jadran è un personaggio con un carattere introverso, riflessivo, e spesso appare immobilizzato dai dubbi, continua a sviscerare gli eventi, i comportamenti, cerca, in questo modo di avvicinarsi alla comprensione dei comportamenti dei suoi familiari. Perciò, nel procedere del racconto, troviamo molti monologhi interiori che offrono al lettore la possibilità di entrare nel suo modo di vedere le cose. Proprio attraverso il suo punto di vista emergono i fatti che hanno segnato la sua vita. Primo fra tutti l’abbandono da parte di suo padre Safet, un evento traumatico per lui e sua madre che – volutamente – all’inizio appare inspiegabile, ma che col procedere della narrazione, si rivelerà come la conseguenza della guerra che porterà alla disgregazione della federazione.
Così come l’assenza di Safet determina una frattura familiare insanabile, anche il periodo che il nonno Aleksandar trascorse in Egitto per lavoro – un periodo di circa un anno – aveva a sua volta prodotto una frattura familiare con conseguenze impreviste e drammatiche. Quando Anja abbandona Jadran – anche se poi ritornerà a casa – tutto il vissuto sulle spalle dell’uomo si coagula in un fardello che pesa sulla sua possibilità di essere felice; ma quanto di tutto ciò che è accaduto nel passato è reale e quanto è una costruzione mentale di Jadran per costruire un passato che lo giustifichi, che dia un senso alle sue inquietudini, ai dubbi, alle insicurezze, alla tentazione della fuga?
Forse siamo tutti fatalmente attratti dalla libertà ed è per questo che scappiamo continuamente dalle persone che amiamo, e forse è per questo che l’amore non è mai solo amore, perché l’amore è bello ma non libero, dal momento che ci lega ai nostri amati, ed è per questo che a volte in amore ci sentiamo ancorati a terra, sentiamo le ali che muoiono.
All’ombra del fico, pag. 448
La questione identitaria si pone attraverso la sua famiglia, a partire dal nonno Aleksandar, – stabilistosi in Istria dalla Slovenia all’inizio del secolo Ventesimo, dopo la fuga degli italiani -, la cui madre aveva origini ebree, era bosniaca e – in tempi pericolosi – si era creata una nuova identità serba, andando poi a vivere in Slovenia. Aleksandar aveva sposato Jana, slovena. Anche il padre di Jadran, Safet è di origini bosniache, anche se ha poi vissuto in Slovenia, sposando Vesna, la figlia di Aleksandar. Jadran ha sposato Anja, slovena, e hanno un figlio, Marko. Dunque una genealogia familiare a forma di mosaico, dove le unioni tra etnie diverse erano molto comuni e – prima dello scoppio del conflitto – non costituivano un problema.
L’elaborazione sulla questione dell’identità passa attraverso le vicende di questi nuclei familiari: le loro vite scorrono cercando di rimanere unite, ma le fratture che si vengono a creare generano un processo di progressivo allontanamento. La crisi di identità, sia nell’ambito privato che in quello pubblico, influisce sui rapporti tra le persone, ma in una realtà come quella della ex Jugoslavia, assume una complessità maggiore. Le identità represse non lo sono mai del tutto, e continuano ad elaborare pensieri anche a livello inconscio, e a volte erompono con una forza devastante, creando fratture irresolvibili. Ecco come l’autore spiega il processo verso una nuova consapevolezza, necessaria per voltare pagina e andare avanti:
Molti della mia generazione hanno avuto lo stesso problema: come comprimere loro stessi in queste nuove identità più piccole? C’è voluto molto tempo per arrivare al punto di dire: “Io ho la mia identità, so chi sono, non ho bisogno di una parola per definirla perché è per me, io spiego me stesso a me stesso e non ho bisogno di un nome”. Il mondo mi può chiamare come vuole, bosniaco, jugoslavo, cefur, ma non è importante perché io sono conscio di cosa sono, chi sono e da dove vengo.
Intervista
Il crollo della federazione jugoslava e i suoi nuovi confini hanno non solo prodotto una divisione geografica e sociale, ma hanno reciso anche i legami famigliari. Solo il fico nel giardino del nonno sembra essere sopravvissuto indenne a tutte le tempeste. Ed è proprio alla casa del nonno che Jadran rimane legato ed è lì che cerca le risposte per ricomporre la sua storia familiare, così come aveva fatto sua madre Vesna.
Appoggiò la mano sul tronco dell’albero e fece scivolare le dita sulle ammaccature e sui rigonfiamenti come per verificare se il mondo intorno a lei fosse ancora reale. Era grata a questo albero dalla folta chioma per aver mantenuto il suo aspetto e il suo odore ed essersi ribellato alla follia che in pochi anni aveva cambiato tutto, dal paesaggio alla gente. Principalmente la gente.
All’ombra del fico, pag. 404
All’ombra del fico è un romanzo coinvolgente, che cattura il lettore con una saga familiare che si dipana lungo anni cruciali per la storia dei Balcani e offre molti spunti di riflessione.
L’autore e regista Goran Vojnović (1980) è esploso sulla scena letteraria slovena nel 2008 con il suo romanzo d’esordio Cefurji Raus! (Forum) grazie al quale ha vinto il premio Kresnik.
Anche il suo secondo romanzo, Jugoslavia, terra mia (Forum) ha ricevuto il Premio Kresnik. Il terzo premio Kresnik – caso quasi unico – lo ha ottenuto con All’ombra del fico.