L’amore era. Non è più? Sì, che è, non muore con l’uomo, ma per quanto tempo potrà svolazzare per conto suo, tendersi nella stanza vuota cercando di acchiappare i granelli di polvere in un raggio di sole? A che punto si trasforma nel ricordo di un sentimento, e non è più il sentimento stesso? Ti amavo, Anna, e il mio amore era più grande della mia rabbia. Non potevamo saperlo, né io né tu. Finii con l’amare Georg al posto tuo, e non avrei mai immaginato neanche questo.
Spesso sono felice, di Jens Christian Grøndahl, Feltrinelli editore 2017, traduzione di Eva Kampmann
Questo libro è una lunga lettera, un collage di ricordi che, unendo tra loro passato e presente, accostandoli e creando effetti di rimando, come in una galleria di specchi, ammanta il lettore di malinconia e di appagamento. Si rimane soddisfatti da questa lettura, breve, concentrata, senza inutili lungaggini, scritta sotto una calda luce poetica che scava senza risparmio ma senza neanche compiacersi.
È la settantenne Ellinor – una donna schiva, che trattiene le emozioni dentro di sé – che scrive. Ha una vita complessa alle spalle, punteggiata da poche gioie e molte amarezze; tuttavia, arrivata alla sua età, riesce a fare un bilancio e a guardare con distacco e una certa serenità alla sua vita.
Spesso sono felice, come dice la canzone, felice dentro, anche se non sempre riesco a mostrarlo.
E si rivolge all’amica che ha ammirato, amato e sostituito. Si sono conosciute da giovani, Anna già sposata con Georg, Ellinor appena fidanzata con Henning. Due donne e due uomini diversissimi tra loro, che coltivano un’amicizia a quattro nutrita dallo stare insieme ad ogni occasione, e dalla condivisione di interessi. La vitale e bella Anna, figlia di un immigrato italiano, di umili origini ma decisa a risalire nella scala sociale, sposata al mite Georg, capace di lasciarla brillare come mai Ellinor potrà fare, messa in ombra dal suo esuberante fidanzato e da un passato difficile.
Fin dalle prime pagine appare chiaro che i rapporti tra i quattro personaggi hanno subito uno slittamento:
La vita, qualunque vita, si riduce a una manciata di fatti, quando finisce. Fu. È successo questo e quest’altro, e si è liberi di giudicarla come si vuole. Andavi a letto con il marito della tua migliore amica e gli permettesti di trascinarti con sé nella morte. Ovviamente, nessuno di voi due si aspettava che sarebbe finita così. (..) No, non ti eri immaginata niente, né sul mio conto né su quello di Georg, né tantomeno che un giorno mi sarei fermata davanti alla tua tomba insieme a tuo marito e ai vostri gemelli.
Anna e Henning, divenuti amanti, perdono insieme la vita lasciando Ellinor da una parte, e Georg con i due figli gemelli di sette anni dall’altra. Cos’altro può fare Ellinor se non aiutare questo spezzone di famiglia, a cui è fortemente legata, ad andare avanti, prendendo il posto della moglie/madre? Lo farà, costruendo un amore attraverso la consuetudine, giorno dopo giorno, mettendoci tutta se stessa, sempre sul filo del rasoio per l’antico senso di inadeguatezza che la accompagna fin da ragazzina.
Il suo passato familiare, la scoperta del segreto della madre, le umili origini, il senso di peccato rimangono incancellabili, e con loro Ellinor continua a fare i conti, anche dopo l’improvvisa morte di Georg. È come se, alla morte di Georg, il suo compito si esaurisse e lei potesse liberarsi dalle apparenze sotto cui ha continuato a nascondere se stessa, fino a sentirsi un’impostora; e finalmente ritornare nel suo guscio protettivo, il quartiere periferico di Copenhagen in cui è cresciuta, invisibile allora tanto quanto vuole esserlo ora. Contro il volere dei figli di Georg che non approvano la sua scelta.
Lui mi ha domandato se non volevo rifletterci un po’, “Non l’ho mai fatto in vita mia,” gli ho risposto, “almeno, non per le questioni importanti.”
Ellinor parla a ruota libera, attraverso una lunga confessione, all’amica e alla sé stessa che si ricompone, pezzo dopo pezzo, ripercorrendo il passato e gli eventi che lo hanno scandito, per costruirsi un ponte con il quale attraversare la terra di nessuno che potrebbe diventare la sua vita senza Georg e della quale invece lei vuole riappropriarsi, per darle la sua direzione.
Georg non avrebbe mai immaginato che mi sarei ritrovata seduta qui, in un posto come questo, né tantomeno che ci avrei abitato. Mi sono detta che quel pensiero mi avrebbe fatto star male, quando mi fossi trasferita, ma sarei stata male in un altro modo se fossi rimasta a vivere nell’altra casa che lui conosceva centimetro per centimetro. Bisogna scegliere il dolore che ti si addice, e io non sono mai stata il tipo che si guarda indietro. Non è assolutamente da me. Non ho mai rimuginato sulla morte né sul fatto che stessi invecchiando. Perché avrei dovuto farlo? C’era forse un’alternativa?
Un romanzo che consiglio di leggere a chi pensa che sia troppo tardi per dare una svolta alla propria vita.
Qui potete leggere l’incipit.
quasi quasi..
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lo leggerò!
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Facci poi sapere se ti è piaciuto!!
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ma certamente
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