Ho sempre evitato la parola amore. Un sostantivo svalutato, una moneta tanto usata che ha perso il rilievo, (..) una moneta con cui non oserei pagare per paura di essere guardato come un truffatore. Mi mettono a disagio le poesie che hanno bisogno di usare questa parola per produrre emozione. (..) Non pronuncio mai la parola amore. Non sono mai stato innamorato, tranne di una donna che non ho mai conosciuto.

L’invenzione dell’amore, di José Ovejero, Voland editore 2018, pagg 253, traduzione di Bruno Arpaia

Verso la fine del romanzo, l’autore, tramite il suo personaggio, ci butta lì, strizzando l’occhio, una “captatio benevolentiae”, asserendo che tutto quello che si poteva dire sull’amore è già stato scritto, che tutte le storie d’amore in fondo non sono che una, declinata in milioni di possibilità, tutte già ampiamente esplorate. Quasi un po’ a schermirsi per avere osato raccontarne un’altra. Ed è perfettamente coerente con il protagonista, ironico e autocritico, che, in questa originale e accattivante storia, svela quali possano essere le imposture dell’amore e al tempo stesso la sua assoluta necessità.

Madrid

Samuel, il protagonista quarantenne, guarda la sua città, Madrid, dalla terrazza del suo attico: un punto di vista privilegiato – come lo è la sua vita, abbastanza agiata da poterlo sollevare da impellenti preoccupazioni economiche – e distaccato, da cui può osservare il brulichio della vita senza esserne risucchiato. Vuole percorrere quell’anelito di libertà che tanto lo affascina nel volo degli uccelli che sorvolano la terrazza, e come loro, sentirsi svincolato da obblighi. Gli piace stare al margine e osservare; preferisce ascoltare – i suoi amici, il suo socio in affari, le sue donne – piuttosto che parlare; tende a non prendere posizioni definite, nei rapporti soprattutto con l’altro sesso e quando una relazione inizia ad assumere una certa solidità, scappa.

Questo fino ad un’alba raggiunta dopo una serata alcolica trascorsa in terrazza con gli amici di sempre, quando in casa risuona lo squillo del telefono fisso: uno squillo dal quale non ci si può che aspettare – data l’ora – che qualcosa di dirompente, capace di ribaltare la sua vita. Uno sconosciuto gli annuncia che Clara è morta in un incidente stradale e lo informa che il giorno dopo sarà celebrato il funerale. E lui decide di prendervi parte, anche se non sa chi sia questa Clara. Anzi, proprio perché non lo sa, perché non la conosce affatto – conclude dopo aver passato in rassegna le sue relazioni – sente che il destino gli ha combinato un appuntamento. È affascinato dall’idea di dissimulare un rapporto con la sconosciuta Clara e di provare a mettersi nei panni della persona che avrebbe dovuto ricevere il messaggio; se per uno scambio di persona è chiamato ad entrare nella vita della defunta, non vale forse la pena di provare a conoscerla? E di conoscere le persone che popolavano la sua vita? Di vivere una vita – quella dell’uomo che con lei aveva una relazione – anziché la sua; o meglio la sua sovrapposta all’altra, diventando così una cosa totalmente nuova, sconosciuta, dagli esiti imprevedibili.

Al funerale conosce la sorella di Clara, Carina, e con lei intesse una relazione di dipendenza reciproca: lui vuole conoscere i dettagli della vita di Clara, vuole sapere chi era e che tipo di vita ha vissuto, mentre la sorella vuole conoscere la persona che ha fatto soffrire Clara, l’uomo con cui aveva una relazione clandestina, cioè Samuel.

Mentre Carina racconta le esperienze della sorella disegnandone un profilo ritagliato sul loro rapporto di amore e conflitto, Samuel, carpendo dettagli dal racconto, inventa la “sua” Clara, una ragazza diversa da come la vedeva la sorella, una personalità complessa e combattuta che solo a lui aveva mostrato certi lati del suo carattere. Man mano che la storia va avanti, la finzione diventa sempre più realistica e Samuel pensa sempre di più quanto avrebbe voluto conoscere Clara, quanto, se l’avesse conosciuta, avrebbe potuto innamorarsi di lei, veramente.

Mi manca come si sente la mancanza di un’infanzia felice che non si è avuta, con la nostalgia di ciò che non è mai stato, una lieve intuizione di come sarebbe potuta essere la nostra vita, di ciò che non sarà.

Ma lui non è il vero Samuel con cui Clara aveva una relazione, e la finzione diventa sempre più ingombrante anche perché, nel frattempo, Samuel inizia ad approfondire il rapporto con Carina, sentendosi attratto da lei e intuendo una reciprocità in questo sentimento.

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Non racconterò oltre della trama, ma voglio fare qualche riflessione sul protagonista Samuel. Come dicevo sopra, a lui piace mantenere una certa distanza: con la vita, con gli impegni che comporta, col lavoro, con gli amici, con le donne. Fatica a passare all’azione, è una persona molto riflessiva, che passa al setaccio ogni umore, ogni comportamento e che, nel farlo, resta intrappolato nell’immobilismo. Ha avuto tante storie brevi, tirandosi indietro quando diventavano impegnative. La storia di Clara, la menzogna dietro la quale si trincera, gli permette di esporre non se stesso, ma il Samuel che lui finge di essere, quello che con Clara ha sì avuto una relazione, ma che al momento è impersonato da lui.

È noto che vogliamo che gli occhi dell’altro riflettano non ciò che siamo, bensì la persona che ci piacerebbe essere, anche se per questo dobbiamo sopportare la sensazione di inadeguatezza nel tentare di adattarci a quell’immagine ideale, o meglio a quella deformazione di noi stessi che ci favorisce.

Eppure, è proprio grazie a questa menzogna che finalmente Samuel riesce a mettere a fuoco se stesso; guardandosi con gli occhi di chi lo giudica in funzione della relazione con Clara e interagendo con gli altri protagonisti, Samuel compie dei passi di avvicinamento a se stesso.

Samuel ha una magnifica capacità speculativa grazie alla quale si interroga incessantemente sui rapporti umani e sulle persone, sulla loro possibilità di conoscersi veramente, concludendo:

È impossibile conoscere l’altra persona (..) C’è sempre un angolo oscuro, quella parte che perfino dopo molti anni continuerebbe a sorprenderci, forse a terrorizzarci se la scoprissimo. In qualche posto di noi stessi siamo soli, nessuno può venire con noi, ma non abbiamo motivo di rifiutare o di sottovalutare quel territorio in cui è possibile addentrarsi per mano a qualcuno, magari allargandolo, strappando alle erbacce zone in cui poter seminare.

La storia è ambientata in una Madrid contemporanea, ben descritta e vivida, come una presenza reale: la città che si è allargata a dismisura, fino a perderne i contorni pur osservandola da un attico; la crisi delle aziende che da un lato provano a stare a galla facendo magheggi con i contratti, dall’altro si vedono costrette a svendere a russi e kosovari (col dubbio che si tratti di operazioni di riciclaggio). Una città multietnica, dove l’immigrazione si concentra soprattutto nelle maestranze – come nel settore edile in cui Samuel lavora – o nel commercio – i tanti negozi cinesi all’ingrosso.

Samuel espone in prima persona la storia, in una costruzione narrativa che funziona molto bene perché è lui a generare, con la sua impostura, la trama ed è attraverso il suo punto di vista autorevole che il lettore può muoversi tra i personaggi, andando a cercare le verità nascoste dietro le menzogne, per scoprire le mille sfaccettature di cui ogni personaggio è composto, come nella vita reale ciascuno ha volti diversi, a seconda di chi lo osserva. Il racconto, via via, si arricchisce di altri punti vista, come quello di Carina, la sorella, o di Alejandro, il marito di Clara, e di altri personaggi di cui non parlo per non svelare troppo. Tutte le versioni si incastrano e si completano, per certi aspetti, mentre per altri si contraddicono, creando così un gioco di specchi dove le immagini riflesse non risultano mai le stesse.

L’invenzione dell’amore”, dunque, parla di una storia d’amore inventata, della menzogna e di come essa modifica la realtà fino a costruirne una fittizia; parla di crisi generazionale, di crisi di identità, di difficoltà nei rapporti sentimentali. Attraverso le meditazioni del protagonista, introduce il tema della difficoltà a conoscere veramente le persone con le quali viviamo e delle quali pensiamo di sapere tutto. Quello di Ovejero è uno stile ricco, teso, ironico – a volte di humor nero. Non è un romanzo romantico o sentimentale, ma una riflessione sulla materia dei rapporti umani.

Jose-Ovejero Pisa Book FestivalJosé Ovejero è nato a Madrid nel 1958; è vissuto in Germania e poi a Bruxelles, conciliando per lungo tempo il lavoro di interprete con quello di scrittore. La sua produzione letteraria comprende vari generi: sia racconti, Come sono strani gli uomini (Voland 2003 e 2012) e Donne che viaggiano da sole (2006), che romanzi, fra cui Nostalgia dell’eroe (Voland 2005). Vanno menzionati anche i libri di viaggio, come Cina per ipocondriaci, insignito del Premio Grandes Viajeros nel 1998 (uscito in italiano per Feltrinelli). Con la raccolta di poesie Biografía del explorador ha vinto il Premio Ciudad de Irún nel 1993. È stato anche insignito del Premio Primavera per il romanzo La vita degli altri (Voland 2008) e del prestigioso Premio Alfaguara de Novela 2013 per L’invenzione dell’amore. I suoi libri sono tradotti in francese, tedesco, portoghese e olandese.

foto: José Ovejero, Pisa Book Festival

Potete leggere l’incipit qui.