Maddalena accosta l’imbuto di ferro alla bocca e ce lo legge lei. C’è scritto che noi siamo i bambini del Mezzogiorno e che il Settentrione ci aspetta per aiutarci, e questa è la solidarietà. Le vorrei chiedere che cosa significa la solidarietà, ma arriva un ragazzo con la giacca e i pantaloni grigi un poco consumati e ci dice di metterci in posa per la foto. Mia mamma Antonietta mi poggia le mani sulle spalle. Mi giro a guardarla, pare che sta per sorridere, ma all’ultimo momento ci ripensa e quando quello scatta le viene la faccia sua solita di sempre. (pag. 33)
Il treno dei bambini, di Viola Ardone, Einaudi Stile Libero Big 2019
Quando un libro diventa immediatamente “un caso letterario” e colleziona giudizi esaltanti da ogni dove, di solito mi scatta la molla del sospetto. Dato che, però, tra i tanti giudizi lusinghieri, ce ne sono di persone che stimo (nomi famosi ma anche amici giornalisti e/o professori), ho comprato il libro e me lo sono tenuto da parte per qualche settimana.
Dopo averlo letto, devo riconoscere che questo romanzo merita tutto l’apprezzamento che gli è stato tributato. Brava l’autrice a portare alla luce un episodio vero accaduto nel 1946, nell’immediato dopo guerra, in una realtà come quella di Napoli, già provata da una situazione difficile che, a causa della guerra, era divenuta drammatica. Viola Ardone costruisce la sua storia basandosi su un’operazione illuminata, di grande umanità e di coesione nazionale, organizzata dal Partito comunista italiano insieme all’Unione donne italiane. I bambini dai 4 ai 12 anni poveri, (senza genitori, ma anche con famiglia o un solo genitore) furono portati per un periodo di alcuni mesi nelle regioni del Centro Nord: Marche, Emilia Romagna, Toscana. Qui venivano affidati ad altre famiglie in modo che potessero superare l’inverno. Alla fine del periodo, venivano ricongiunti ai loro familiari; molti furono invece adottati dalle famiglie affidatarie. Questa esperienza andò avanti fino ai primi anni Cinquanta, a testimonianza dell’umanità e della solidarietà che alcune regioni furono capaci di esprimere in un momento così difficile.
Ora, la bravura dell’autrice sta tutta nel trasformare questa storia reale in un’opera narrativa di valore letterario, dando voce ad uno dei piccoli protagonisti tra le migliaia di “bambini dei treni”. Una voce che conquista subito il lettore, per la sua spontaneità ed ingenuità, per le espressioni tipiche del parlato napoletano usate con accortezza, per il peso delle emozioni che è chiamato a vivere e dei sentimenti che vengono toccati dal distacco dalla madre e dal vicolo in cui ha vissuto fino a quel momento, e dall’inserimento in un’altra famiglia. Così come dal secondo distacco, quello dalla famiglia a cui è stato affidato e con la quale si è stabilito un profondo legame affettivo. Una doppia separazione, un doppio legame che è difficile da tenere in equilibrio.
Il protagonista è Amerigo Speranza, un bambino di sette anni che vive in un vicolo nel quartiere più povero di Napoli; con lui la mamma Antonietta, una donna bella ma indurita dalle difficoltà della vita, che ha perso il primo figlio e che non ha a fianco a sé un uomo, costretta a tirare avanti con qualche lavoretto saltuario. Amerigo è un ragazzino sveglio, già “scafato” dalla vita per strada, intelligente e capace di trasformare in un gioco anche il fatto di non avere mai posseduto un paio di scarpe sue, ma solo quelle riciclate. Antonietta si convince che l’opportunità di aderire all’iniziativa organizzata dal Partito comunista sia l’unica alternativa praticabile al freddo e alla fame, anche se questo significa il distacco dal figlio; si fida però di Maddalena, una partigiana che è tra gli organizzatori, e, noncurante delle dicerie (si dice che verranno mandati in Siberia, che i comunisti gli taglieranno mani e gambe…. un campionario davvero fantasioso!), decide di mettere Amerigo su quel treno.
Il lettore vive questa decisione attraverso la voce di Amerigo, che parla in prima persona e trasmette le sue emozioni e paure con la freschezza della sua età. Sebbene sfoggi una spavalderia di circostanza, è molto combattuto: da un lato lo spirito avventuriero, la curiosità di vedere come sarà la vita al Nord, dall’altro il lasciarsi alle spalle l’affetto della mamma e delle vicine di casa, gli amici del vicolo. Il viaggio in treno è un’avventura carica di aspettative, ma anche di incertezze e di domande sul futuro.
A Modena, Amerigo viene accolto da Derna, una donna sola, sindacalista, che abita di fronte alla cugina Rosa e a suo marito Alcide; in casa ci sono anche i loro tre figli e la chiassosa famiglia diviene il centro della nuova vita. Amerigo pian piano riesce a conquistare tutti; ricomincia ad andare a scuola, dove si distingue in matematica, coltiva la sua passione per la musica grazie ad Alcide. Per lui le condizioni di vita nella nuova famiglia – che vive sul lavoro di accordatore di Alcide, sull’orto e qualche animale – sono il lusso più incredibile, inimmaginabile nella sua città. L’affetto che riceve da Derna e dagli altri lo scalda e lo aiuta a non sentire la mancanza della madre.
I mesi passano e quando arriva il momento di tornare a Napoli, Amerigo è combattuto: da un lato vuole ritrovare ciò che ha lasciato, dall’altro capisce che lui non è più lo stesso, questa esperienza lo ha cambiato, lo ha fatto crescere e gli ha fatto capire cosa significhi avere una famiglia unita, delle certezze e soprattutto delle possibilità per il proprio futuro. Possibilità che al rientro a Napoli sembrano del tutto impossibili. E allora Amerigo si trova di fronte ad una scelta, che questa volta deve prendere da solo.
Nella seconda parte del romanzo ritroviamo Amerigo cinquantenne, che torna a Napoli alla morte della madre, e che deve fare definitivamente i conti col passato e con le questioni di esso rimaste irrisolte.
Di questo romanzo mi è piaciuto tutto. Innanzitutto la capacità di rendere credibile la voce del protagonista, sia nella prima parte, quando è bambino, che nella seconda quando è un uomo maturo. Di Amerigo bambino, l’autrice riesce a riprodurre il linguaggio, lo stupore, l’ingenuità, le paure, senza forzature, e senza indulgere in compiacimenti ruffiani. Dell’adulto, il travaglio che deriva dalle scelte sofferte, quelle che incidono su tutta una vita.
Così come riesce a dare consistenza al carattere di Antonietta, la mamma di Amerigo: un personaggio che all’inizio appare sfuggente, ma che pian piano si delinea e acquista profondità. L’autrice riesce a farci capire bene da dove vengono la sua incapacità di indulgere in gesti affettuosi, la sua durezza.
Infine, scegliendo questo episodio storico, Viola Ardone pone anche delle questioni sociali e politiche di grande rilevanza: ad esempio la capacità di fare sistema per risolvere i problemi del sociale, un aspetto della politica che oggi appare troppo trascurato. Ma anche i temi legati alla solidarietà, al concetto di famiglia allargata, all’importanza di costruire prospettive per il futuro soprattutto nelle zone più disagiate.
Io sono figlio unico, dato che con mio fratello maggiore Luigi non abbiamo fatto in tempo a conoscerci. Non abbiamo fatto in tempo neppure con mio padre, sono nato in ritardo con tutti.
Un romanzo che, ne sono più che certa, approderà presto al cinema….
Vi segnalo anche un altro libro che parla della questione dei treni dei bambini:
Il Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli 1946-1954, di Giulia Buffardi, Editori Riuniti 2016
Date un’occhiata anche a questa vicenda, che ha molto in comune con quella narrata nel romanzo di Ardone (e da cui ho ripreso la foto presente nel post).
Dubito sempre dei casi editoriali, ma mi fido del tuo giudizio: vedrò se dargli una chance.
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In effetti anch’io sono molto cauta in genere. Penso di essere l’unica in Italia a non avere letto la serie de L’amica geniale… Però questo mi incuriosiva soprattutto per l’aspetto storico, che non conoscevo. Temevo un romanzo troppo sentimentale strappalacrime, invece c’è molta umanità, quella sì, e molto realismo. Un giusto mix di leggerezza e ironia, insieme a profondità rispetto ad aspetti di disagio sociale e alle soluzioni che furono prese in quel delicato periodo storico. E buona scrittura, quella davvero sì.
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Siamo in due a non aver letto “L’amica geniale” e questo perché anche io diffido dei casi letterari. Però questa tua recensione mi ha molto incuriosito e il tema è tra quelli che ancora non ho mai esplorato, per cui credo che potrei fare uno strappo alla mia regola di tenermi lontana da tutto quanto suscita troppo scalpore…
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Meno male che non sono l’unica! magari mi sono persa dei libri che mi sarebbero piaciuti, e non voglio neanche giudicare senza avere letto… è solo una specie di orticaria …. Con questo sono riuscita a superarla solo in virtù del tema e del fatto che mi sia stato raccomandato da due persone che stimo molto. Se lo leggerai, poi fammi sapere cosa ne pensi.
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Non mancherò 😉
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l’ho qui sul tavolo, prestatomi qualche giorno fa e non ancora aperto.
lo affronterò presto, confortato dalla tua segnalazione.
ml
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Sono curiosa di sapere cosa ne penserai. A me è piaciuto molto.
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piaciuto molto anche a me, soprattutto la prima parte, in cui la voce narrante è un bambino assolutamente credibile nel linguaggio scelto e negli eventi narrati. poi da adulto si perde quella magia.
ciao
ml
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Certo, l’impatto emotivo che suscita la prima parte è maggiore; nella seconda, è più il momento delle riflessioni.
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Grazie per aver suggerito, in calce alla recensione, di dare un’occhiata “a questa vicenda” (e alle cose in comune con il libro della Ardone): https://giorinaldi.wordpress.com/2019/10/05/treni-della-felicita-storie-vere/
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Buonasera, e benvenuto! Grazie per avere fatto sentire la sua presenza qui. Ricordo a chi ci legge il titolo del libro da lei scritto, e che consiglio per una lettura a completamento del tema:
I treni della felicità
Storie di bambini in viaggio tra due Italie
prefazione di Miriam Mafai
Edizioni Ediesse
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