Lui e Gertie avevano provato, sfacciati, a entrare a far parte del fior fiore della società americana. Avevano osato trasferirsi a Garden City, e per questo l’intera Maple Street aveva voluto punirli. Distruggere la loro famiglia. Cancellarli. E ora avevano vinto. Arlo era pronto ad arrendersi. Se era questo che volevano, se ne sarebbe andato in silenzio. Avrebbe venduto la casa senza neanche recuperare l’investimento, poi avrebbe portato via la sua famiglia per non tornare mai più. Adesso però che li avevano in pugno volevano fare ben più che cancellarli. (pag. 329)

I buoni vicini, di Sarah Langan, SEM Libri 2021, traduzione di Leonardo Taiuti, pagg. 392

Il romanzo di Sarah Langan si rivela un’affascinante thriller, un noir letterario tagliente e spietato, capace di mettere a nudo l’ipocrisia di facciata di un quartiere bene dei sobborghi americani, dove la comparsa di una massiccia dolina accelera le tensioni locali e sociali. Un’opera costruita con la sapiente capacità di creare tensione lungo tutto il racconto, con una progressione che porta ad un finale sorprendente, e affatto scontato.

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Maple Street è una mezzaluna di perfezione nella periferia di Long Island. Tutti vivono in  bellissime case con l’aria condizionata, pulite, arredate con lusso sobrio, hanno un giardino perfettamente in ordine, con l’erbetta rasata di fresco; hanno un lavoro solido, non devono preoccuparsi del mutuo e dei pagamenti delle rate dell’auto; i loro figli frequentano scuole di lustro, corsi sportivi al top. Insomma, siamo nel regno dell’upper class bianca. Ma c’è qualcosa di oscuro e malvagio che ribolle sotto le belle macchine e i sorrisi luminosi, e quando la famiglia Wilde si trasferisce nel quartiere da Brooklyn, tutto cambia. I Wilde sono degli outsider, sono dirompenti in quel contesto borghese perché non si adattano alle regole tacite ma ferree. Papà Arlo è una rock star in declino, con le braccia ricoperte di tatuaggi di demoni che nascondono le tracce di un passato da eroinomane. Mamma Gertie, con un passato travagliato di abusi sessuali subiti, è una statuaria bionda che è stata reginetta di bellezza quando era giovane. I figli, Julia (12 anni) e Larry (8 anni), sono strani, rumorosi e sboccati. Il loro giardino è sciatto, la casa un disordine senza pari.

(Gertie) Era stata lei a insistere per Long Island. Si era fatta un viaggio tutto suo, immaginava che sarebbero stati una specie di agenti sotto copertura e avrebbero imparato ogni cosa sulla vita segreta della borghesia dei quartieri residenziali. Avrebbero acquisito le stesse abitudini, e avrebbero trovato lavori all’altezza. Si era detta che, se anche lei e Arlo non si fossero sentiti a loro agio in Maple Street, i loro figli avrebbero imparato a integrarsi. L’unica cosa che contava era progredire. (pag. 222)

Nonostante la loro evidente diversità, Rhea Schroeder, la regina di Maple Street – una professoressa universitaria incapace di far fronte al suo passato oscuro – accoglie i Wilde e fa amicizia con Gertie, con l’intento di dimostrare a tutta la comunità la sua apertura mentale. Ma quando Rhea, ubriaca, confessa i suoi segreti pensieri alla nuova amica, – e questa ne rimane turbata intravedendo un abisso pericoloso -, si rende conto di avere oltrepassato un limite, di essersi messa in una posizione di debolezza nei suoi confronti. Ecco allora che Gertie diventa la sua nemica, e inizia l’azione di ostracismo sistematico.

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(Foto: Holly Andres)

Tutta l’azione del romanzo si svolge in un’estate molto calda del futuro – siamo nel 2027 – in cui il cambiamento climatico ha portato il termometro a sfiorare i quaranta gradi per più giorni consecutivi. Prima che il dramma inizi davvero, qualcosa non va in Maple Street. Gertie Wilde si rende conto che la sua famiglia è l’unica che Rhea Schroeder non ha invitato al picnic della comunità del 4 luglio nel vicino Sterling Park. Mentre Gertie chiede spiegazioni a Rhea ottenendo un secco allontanamento e le loro figlie Julia e Shelly sono nel bel mezzo della loro faida, una voragine si apre nel parco, seminando il panico.

La dolina, un microcosmo della più ampia crisi climatica, si apre come uno squarcio foriero di brutti presagi: di lì a poco la crisi economica dilagherà e in quell’estate afosa se ne potevano già cogliere i prodromi. La voragine “è una metafora perfetta: una voragine che non fa che ingrandirsi. Puoi provare a ignorarla, ma prima o poi vieni inghiottito. Quella gente stava per perdere il lavoro e la casa. Stava per diventare i Wilde.”(pag.209) E il bitume nero che continua ad affiorare e a ricoprire i prati, i giardini e ad entrare nelle case lasciando impronte di scarpe untuose e iridescenti è un’ulteriore espansione della metafora. 

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Shelly, la figlia di Rhea, si comporta in modo strano, cercando di mettere tutti i ragazzini del vicinato contro Julia e suo fratello Larry, preso pesantemente in giro per le sue stranezze. Julia non si capacita del comportamento della sua ex migliore amica ma, dopo un drammatico chiarimento, le due rinsaldano il loro rapporto. La tensione aumenta ancora di più quando Shelly cade nella voragine. La facciata di buonismo dietro cui tutti gli abitanti si nascondono alla fine crolla e il veleno inizia a circolare. Durante la ricerca della bambina, le accuse contro i Wilde volano: Rhea accusa Arlo di aver violentato sua figlia e nessuno si muove in sua difesa. Anzi, il sospetto che Arlo sia un predatore e che abbia molestato altri bambini prende piede. Da lì diventa solo peggio, scoppiano alterchi e aggressioni, verbali e fisiche e le bugie alla fine portano ad un tragico epilogo.

Nonostante riguardi principalmente gli americani bianchi della classe medio-alta, I buoni vicini è ancorato al concetto di alterità. I Wilde sanno di non appartenere a quell’ambiente, capiscono che stanno costantemente “infrangendo regole tacite”, ma non sanno quali siano queste regole. E quando Rhea si rivolta contro di loro, sa esattamente dove affondare il pugnale, perché sa che il resto dei vicini li considera “feccia da ghetto”. Se l’odio non è scatenato da questioni di colore della pelle, la classe sociale è una scusa perfetta per disprezzare i vicini e addossare loro la colpa di qualsiasi cosa accada. I Wilde non si vestono bene, la loro macchina è vecchia e non sono nati nel denaro come tutti gli altri, vengono da un passato sordido di droga e di squallidi concorsi, quindi sono perpetui outsider le cui differenze li rendono, agli occhi dei vicini, inferiori e potenzialmente capaci di qualsiasi azione spregevole.

Il clima di odio e di caccia alle streghe continua ad aumentare come una marea e travolge progressivamente i membri della famiglia Wilde; ad orchestrare il tutto è Rhea, subdola e frustrata regista di una vendetta che dovrebbe restituirle una seconda chance, e che invece la rende sempre più malvagia. Finché, con le spalle al muro, sarà costretta a guardare in faccia la realtà.

Langan, all’interno del romanzo, crea un intero mito sugli “omicidi di Maple Street”, disseminando lungo la narrazione articoli di giornali, articoli accademici, spezzoni di romanzi di fantasia e interviste fatte a distanza di quindici anni agli allora abitanti di Maple Street. Questi scritti cambiano di tono e autore e offrono prospettive diverse sugli omicidi e talvolta perpetuano bugie.

Leggiamo le prospettive di molti personaggi, ma principalmente di Rhea e Gertie. Entrambi hanno un passato estremamente oscuro che non riescono a scrollarsi di dosso. Ma è qui che finiscono le somiglianze. Rhea ha una personalità molto complessa, decisamente patologica, ma ha anche una grande capacità di dissimulazione e di convincimento; l’autorevolezza derivante dalla sua posizione la pongono nella posizione vincente rispetto a Gertie, che, avendo alle spalle un passato in cui per fare carriera è stata spinta dalla matrigna a vendere i suoi favori sessuali, cerca l’approvazione degli altri, ed è in soggezione rispetto a chi ha una posizione socio-culturale elevata. Insomma, la vittima perfetta della spietata Rhea.

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(Foto: Holly Andres)

I buoni vicini di Sarah Langan è un duro e avvincente tentativo – decisamente ben riuscito – di decostruzionismo, il più lucido e spietato sguardo alla periferia alto-borghese americana che abbia mai letto. Con una mano precisa, chirurgica, Langan disseziona il corpo di un malato terminale, e il risultato è orribilmente plausibile e disturbante.

La prosa tesa e incalzante cancella la patina lucida dei sobborghi e rende I buoni vicini una lettura scomoda. Tuttavia l’autrice affida ai bambini-ragazzi il compito più eroico in questa storia dai contorni thriller/noir: solo loro hanno il coraggio di sfidare il pregiudizio e il pericolo, in nome di una verità che, sola, può smascherare le ipocrisie e le malvagità. Mentre alcune famiglie lasciano queste case agiate man mano che gli sviluppi assumono tinte sempre più fosche, assistiamo a matrimoni senza amore, spionaggio tra vicini, bugie, abusi fisici e psicologici, crimini nascosti, dipendenze da psicofarmaci, frustrazione crescente e insoddisfazione che si scatenano a porte chiuse.

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(Foto: Holly Andres)

Ma il romanzo di Langan ha anche ulteriori piani di lettura, legati ai traumi del passato dei protagonisti: Rhea, Gertie e Arlo, ma non solo. Questa è anche una narrazione sul trauma infantile e sulla maternità/paternità e su come entrambi modellano le persone e si ripercuotono sul loro futuro.

Langan fa un lavoro fantastico nell’evidenziare le questioni sociali contemporanee che risuoneranno negli anni a venire: mutamento dei paradigmi culturali, razzismo e discriminazione dei disabili, abuso e identità, reputazione, uguaglianza contro altri – tutti questi temi sono esplorati attraverso le interazioni e le osservazioni di questa “illustre” comunità. Una delle questioni più importanti che vediamo è il cambiamento climatico e il suo effetto sui vicini. Il caldo crescente, la continua insorgenza di doline, il collasso di alcune industrie mentre le aziende si spostano verso capacità più remote. È uno studio affascinante e inquietante su dove siamo diretti.

Da un’autrice mito, le cui atmosfere ricordano il mondo alienato e crudele di Shirley Jackson, un ritratto avvincente e spietato della periferia americana. Un incalzante noir letterario, un’esplorazione dissacrante dei rapporti tra vicini in un quartiere bene, dove, dietro una facciata di finta disponibilità, si celano inganni e sopraffazioni.

Qui potete leggere l’incipit (notevole!!).

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Sarah Langan, laureata con un Master of Fine Arts alla Columbia University, ha esordito nel 2006 con il romanzo horror The Keeper; è autrice di tre romanzi pluripremiati e vincitrice per ben tre volte del Bram Stoker Award. È cresciuta a Long Island e attualmente vive a Los Angeles con il marito e le figlie. Questa è la sua prima opera tradotta in Italia.