Nessuno qui ha voglia di morire, si affrettò ad aggiungere Charlie, ma nessuno ha voglia di una vita che non è più la sua. Marie-Desneige chiuse gli occhi. Quanto tempo aveva passato rinchiusa in una vita che non era la sua, quanti anni le erano stati rubati? (..) E questo, disse (Charlie, ndr) indicando il barattolino di latta, è quello che dà valore a un tramonto quando fanno male le ossa, che dà sapore alla vita, perché si sa di avere una scelta. La libertà di vivere o di morire, non c’è niente di meglio per scegliere la vita. (pag. 116)
Piovevano uccelli, di Jocelyne Saucier, Iperborea 2021, traduzione di Luciana Cisbani, copertina di Davide Bonazzi, pagg. 211
Iperborea, casa editrice che tutti conosciamo per il suo nutrito catalogo orientato verso i paesi scandinavi, porta per la prima volta alle stampe un bellissimo romanzo che racconta un altro nord, quello del continente americano, grazie alla storia narrata da Jocelyne Saucier: catapultati nell’Ontario settentrionale, quello delle grandi foreste e delle cittadine pionieristiche devastate dai grandi incendi boschivi dei primi del Novecento, ci troviamo in compagnia di una combriccola fuori dal comune.
Quello di cui vi parlo oggi – in realtà ve lo avevo già segnalato tra le letture di giugno – è romanzo che davvero riesce ad entrare nel cuore del lettore, raccontando una storia incredibile, extra-ordinaria, con uno stile brillante e una capacità affabulatoria capace di irretire il lettore dalla prima all’ultima pagina. A partire dalle introduzioni ai capitoli che sono un perfetto invito ad addentrarsi tra le righe e tra le emozioni che sono capaci di destare (vedi incipit).

Protagonisti del romanzo sono un trio di “diversamente giovani”, cioè di anziani – molto anziani, sì, ma molto giovani nella concezione della vita –; tipi eccentrici, a cui si aggiungerà nel prosieguo una loro coetanea con una storia incredibilmente dolorosa alle spalle: Boychuck, Charlie e Tom, si sono addentrati tra gli alberi nel folto della foresta e lì hanno deciso di stabilire la loro dimora, costruendosi delle baracche a debita distanza l’uno dall’altro, vicini ma con la dovuta privacy. Hanno mollato il passato per rifarsi una nuova vita libera da tutto e da tutti, fuggendo chi da malattie – vere o presunte -, chi da alcolismo, e tutti e tre, dagli spettri del passato. Le loro date di nascita risalgono ai primi del Novecento, anche se oggi esibiscono documenti “ritoccati”, a tal punto che nemmeno sui loro nomi ci sono certezze. Ma, del resto, se uno vuole cancellare le proprie tracce, sparire per non essere più ritrovato, non può che inventare un nuovo se stesso.
Avvezzi ad incontrare solo le loro facce, più un altro paio che vi dico dopo, un bel giorno del Ventunesimo secolo, ecco che Charlie si trova sulla porta di casa una fotografa senza nome che sta cercando Boychuck:
Gli occhi di Charlie, appena mi hanno avvistata nella radura che circonda il suo gruppetto di baracche, mi hanno lanciato un avvertimento. Non si entra nel suo territorio senza essere stati invitati. (pag.12)
La donna sta facendo delle ricerche relative ai grandi incendi boschivi, vere e proprie tempeste di fuoco che all’inizio del Ventesimo secolo distrussero ettari di foresta, inghiottirono intere città e le famiglie che ci vivevano. Per caso un giorno al parco incontra una donna anziana, che aveva vissuto proprio una di quelle tragedie. La fotografa ancora non sa che proprio il passato di questa donna ha un ruolo nella sua ricerca. Talmente ammaliata dalla sua presenza e dal suo sguardo, si dimentica perfino di fotografarla.
La vecchietta era una superstite del Grande Incendio di Matheson. Le aveva parlato di un cielo buio come la notte e di uccelli che cadevano come mosche. Piovevano uccelli, le aveva detto. Quando si è alzato il vento e ha coperto il cielo con una cappa di fumo nero, l’aria si è rarefatta, calore e fumo la rendevano irrespirabile per noi come per gli uccelli, che cadevano a pioggia ai nostri piedi. (Pag. 91)
In particolare, la fotografa è sulle tracce di Boychuck, un uomo entrato nel mito, la persona che compare in tutti i racconti e le leggende che ruotano intorno a quegli avvenimenti. Ai tanti volti che ha fotografato manca solo questo, il più emblematico di tutti. All’epoca un adolescente, Ted o Ed o Edward Boychuck, nell’incendio di Matheson del 1916 vide morire genitori e fratelli nell’apoteosi delle fiamme; quei fatti segnarono per sempre la sua esistenza, si dice che divenne cieco e che vagò per anni da una città all’altra senza darsi pace. Mettendo insieme racconti raccolti da persone diverse, sempre emergeva il ragazzo mezzo cieco che camminava tra le fiamme, un quattordicenne eroe che aveva perso tutto nell’incendio ma che, innamorato di due gemelle, tentò di salvarle dal fuoco e nessuno sa se ci riuscì. La fotografa è sicura che fosse lui, ed è venuta fin qui a cercarlo, mettendo insieme le tracce raccolte. Purtroppo non fa in tempo a conoscerlo, perché a quel punto Boychuck è “morto di morte naturale”, nella pace del bosco, andandosene con serenità, un sorriso sulle labbra da regalare al suo cadavere. E centinaia di tele dipinte, chiuse a chiave in una delle sue baracche.
Nessuno si stupì che un ragazzo da tutti ritenuto cieco fosse riuscito a dipingere ottant’anni dopo la scena che Marie-Desneige aveva fatto emergere. Solo Charlie manifestò dello stupore, ma era per Marie-Desneige, un lungo sguardo di ammirazione che notarono tutti. (Pag. 131)
Sul posto, la fotografa incontra i suoi amici Tom e Charlie e rimane affascinata dalle loro storie e, soprattutto, dalla loro determinazione a difendere la loro scelta di libertà. Scelta non negoziabile con nulla, pronti anche a rispettarla fino alle più estreme decisioni. Finché un avvenimento impensabile entra in scena e i due orsi solitari Tom e Charlie si trovano a diventare una piccola comunità tenuta insieme dall’amore.
I vecchietti tengono i contatti col mondo attraverso Bruno e Steve, due contrabbandieri che, con l’assenso di Charlie, hanno piantato qualche ettaro di maijuana nel folto della foresta. Un modo redditizio per tutti di sbarcare il lunario…
Quello che va capito di Steve e Bruno è che amano l’illegalità. La loro amicizia si basa sul bisogno di entrambi di sentirsi dall’altro lato delle cose, su un versante un po’ scosceso, un po’ scivoloso, che solo loro conoscono, e questo dà loro la sensazione di una straordinaria libertà. (Pag. 55)
Steve gestisce l’albergo fantasma di un libanese sparito da anni e un bel giorno si vede arrivare Bruno e, seduta sul sedile del passeggero, una nuvola vaporosa di capelli bianchi, appartenenti ad un’esile vecchietta che si dà il caso sia la zia del ragazzo. La delicata figura scende dall’auto e da quel momento niente sarà più come prima. Dopo essere stata rinchiusa in un manicomio da quando aveva sedici anni, trova nel nipote l’anima gemella amante della libertà capace di strapparla al suo destino e offrirle una nuova chance di avere una vita tutta sua. La rapisce, o meglio, non la riporta più all’ospedale psichiatrico; lì non è certo felice e lui, invece, sa che è venuto il momento per lei per esserlo. E dove, se non in compagnia di altri due outsider che come lei vogliono lasciarsi tutto alle spalle?
Tutto il prevedibile e l’imprevedibile che accadrà dovrete scoprirlo leggendo il romanzo. Quello che vi posso dire è che raramente capita di imbattersi in un libro così bello: scritto con grande sapienza, poesia e originalità, mette in scena una storia senza confini, né di età, né di latitudine, una storia che afferma con forza che si può avere la forza di scegliersi la propria vita fino alla fine, “no matter who, no matter how”, scegliendo anche quando e come dire basta, che se si ama la libertà si è disposti a difenderla con le unghie e con i denti, e che l’amore arriva in modi misteriosi e per vie che nessuno può prevedere.

Jocelyne Saucier (1948) è una delle più note scrittrici canadesi di lingua francese. Nata nella provincia di New Brunswick, ha lavorato a lungo come giornalista prima di dedicarsi alla scrittura. Ha scritto romanzi tradotti in tutto il mondo. Piovevano uccelli è stato un best seller internazionale ed è anche diventato un film. Jocelyne Saucier oggi vive in un paese di quattro anime in un bosco del Québec.
Che bello che deve essere! Messo subito in wishlist! Tra l’altro proprio per merito tuo ho letto l’altro libro tanto amato, con protagoniste anziane, The weekend, e mi è rimasto nel cuore!
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Hanno molto in comune, questo però ha uno stile più brillante. Sono due bellissimi romanzi. Ciao!!
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Un libro molto bello, sia per come racconta la storia dei grandi incendi di cui non sapevo nulla sia per l’intensità con tratta la questione della libertà di vivere come si vuole fino alla fine
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Ciao Federica, anche per me questi due punti sono quelli che danno grande valore al romanzo, di cui ho apprezzato anche la scrittura, lineare ma molto coinvolgente.
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