(Hanna) Anche se dall’aspetto fisico non si notava, avevo già cominciato a sbocciare. A modo mio. Ogni volta che le persone mostravano la loro natura contraddittoria io maturavo e diventavo un pochino più adulta, Sotto la superficie ferma prendeva forma la mia capacità di comprendere. Niente a che vedere col giudicare gli altri, secondo me. Era solo un metodo per sopravvivere.
Metodi per sopravvivere, pag. 21
Metodi per sopravvivere, di Guðrún Eva Mínervudóttir, Iperborea 2023, traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini, illustrazione in copertina di Alessandro Gottardo, pp. 192
Metodi per sopravvivere è un romanzo molto delicato e poetico i cui personaggi cercano di superare le proprie fragilità e la solitudine.
Hanna è una ragazza anoressica, che, seppur disillusa e poco fiduciosa rispetto al futuro, cerca di uscire dal suo guscio e di crescere a modo suo.
Árni, col suo labrador Alfons – un cucciolo iperattivo che si è portato a casa per curare i propri problemi di salute – e il suo amore non corrisposto si è trasferito in una casetta di campagna per lasciarsi alle spalle la vecchia vita.
Borghildur è una donna vedova, con i figli cresciuti e lontani che non sanno come aiutarla; cerca anche lei di ricostruirsi una vita, ma non è facile quando ti senti “come un sacco pieno di schegge di vetro. Non sento il bisogno di piangere o lagnarmi, ma mi fa male ogni parola, ogni passo”.
Aron Snær, un bambino di undici anni, è il punto di incontro e il collante di queste vite che si svolgono a pochi metri l’una dall’altra e che ancora non sanno che diventerà il sole attorno a cui loro, come pianeti, ruoteranno. Lui che alla sua età deve arrangiarsi da solo: suo padre se ne è andato via di casa e non si interessa a lui, la madre, malata e fisicamente debilitata al punto da non riuscire ad alzarsi dal letto, viene ricoverata in un ospedale psichiatrico. Affidato a una donna che ha appena conosciuto per caso – Borghildur – ma che lo comprenda e lo vuole aiutare.
Si crea una connessione tra queste individualità solitarie: i tre si prendono cura del bambino, a cominciare da piccole cose come fargli un bagno caldo e tagliargli le unghie, insegnarli ad andare in bicicletta, preparargli un pasto caldo. Prendersi cura di lui si rivela a sua volta una specie di medicina dell’anima per i tre protagonisti che trovano in questo un modo per sentirsi utili e vivi. Un metodo per sopravvivere, al dolore e alla solitudine. E per Aron diventano una famiglia di elezione.
Borghildur si offre di ospitare il piccolo Aron mentre ad Hanna viene chiesto dai servizi sociali di ‘fare da referente’ al ragazzino. E lei accetta, perché tutto contribuisce a rompere la monotonia delle sue giornate solitarie, trascorse nella casa di villeggiatura di famiglia.
Più tardi quel giorno compresi per la prima volta nella vita di cosa parla la gente quando maledice i tempi moderni e sostiene che le persone vendano il proprio tempo agli altri, tanto che le giornate risultano tutte uguali fin all’ultimo respiro. Ma io la ripetitività la trovavo rilassante. Adesso ero più consapevole di quello che facevo
Metodi per sopravvivere, pag. 103
La storia è ambientata in un sobborgo di Reykjavík, un microcosmo islandese di pace stretto tra torrenti e immensi pascoli; un paesaggio colto alla fine dell’estate, quando le foglie degli alberi cominciano a tingersi di giallo, e le persone si immergono in un’ovattata routine che fa da cassa di risonanza a ogni inquietudine.
Se è difficile affrontare le difficoltà che disseminano le vite di noi umani, allora forse l’unico modo per non lasciarsi sopraffare è proprio essere umani, cioè pescare nella nostra umanità sentimenti di solidarietà, fare leva sull’empatia per sforzarsi di comprendere gli altri e sulla generosità per mettersi in ascolto e agire. Il piccolo Aron riesce a sollecitare tutto questo in chi lo guarda e mentre viene aiutato, aiuta a sua volta gli altri.

Una curiosità sui cognomi islandesi: In Islanda i cognomi sono principalmente patronimici, ma occasionalmente anche matronimici. Il cognome è formato dal nome del padre (o della madre) e dal suffisso “son” nel caso di un maschio o “dóttir” nel caso di una femmina. Non si può definire quindi un nome di famiglia in quanto non verrà tramandato ai figli. L’utilità del cognome in Islanda è più che altro di identificazione cioè si intende specificare che la persona è figlia (“dóttir”) o figlio (“son”) di qualcuno.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.
Guðrún Eva Mínervudóttir (1976) è una delle più note scrittrici e poetesse islandesi contemporanee. Tradotta in tutto il mondo, ha ricevuto molti premi letterari tra cui il Premio letterario islandese, il Premio culturale DV e il Premio RÚV Writer’s Fund per la sua opera.
Si è laureata in filosofia all’Università d’Islanda, svolgendo contemporaneamente il lavoro di barista. Nel 1998 esce la sua prima raccolta di racconti, che incontra il favore della critica.
Vive con la propria famiglia e lavora nella sua terra natale, svolgendo l’attività di traduttrice d’importanti opere straniere.
Se volete leggere altri romanzi ambientati in Islanda, li trovate in questo Viaggio letterario.