Lungamente ignorata dal panorama letterario internazionale, la letteratura australiana, così come quella neo-zelandese, si è diffusa oltre i propri confini geografici a partire dall’ultimo ventennio del secolo scorso in seguito dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura dell’australiano Patrick White (1973) e grazie alla fama acquisita a livello internazionale da parte di romanzieri appartenenti alla generazione successiva quali David Malouf, Peter Carey e Tim Winton. Il 1988 ha rappresentato un momento significativo per la storia del continente australiano, data del bicentenario dell’insediamento britannico nella colonia del New South Wales, ed inoltre ha segnato un turning point per la cultura australiana che, uscendo dai propri confini geografici, si è proiettata verso una più decisa internazionalizzazione. Non è un caso che proprio nel 1988 lo scrittore Peter Carey vince il premio letterario inglese più prestigioso, il Booker Prize, suggellando questa disseminazione letteraria dell’Australia nel mondo. (vi suggerisco la lettura del saggio completo, autrice Serena Baiesi, che traccia la storia letteraria di questo continente in modo approfondito).
Romanzi
Uno dei romanzi che molti hanno conosciuto soprattutto attraverso il film del regista australiano Peter Weir (che ha firmato tra l’altro L’attimo fuggente e The Truman show, oltre che Master and Commander), è Picnic a Hanging Rock, della scrittrice Joan Lindsay. Qui trovate alcune curiosità sulla storia editoriale del libro.

Il romanzo si poggia sulla potente dicotomia tra natura e cultura. La trama racconta la gita di una classe di studentesse dellaristocratico collegio femminile di Appleyard – vicino a Melbourne – ad Hanging Rock, un gruppo di rocce vulcaniche che sovrasta lo stato australiano del Victoria, nel giorno dio San Valentino. Siamo agli inizi del 1900 e alcune delle ragazze protagoniste, frustrate da una rigida cultura perbenista e castigate fin nel vestiario, vengono irresistibilmente attratte dall’insondabile mistero della natura e vi si perdono definitivamente. Persino gli orologi si fermano: la natura inghiotte la cultura, il mito fagocita la storia, leterno succedersi di albe, tramonti e stagioni scompagina la regolare scansione cronologica del tempo.
Sempre negli anni Settanta fece scalpore una serie televisiva basata sul romanzo di Colleen McCullough Uccelli di rovo; nonostante sia a tutt’oggi il libro più venduto in Australia, personalmente non l’ho del tutto apprezzato.
I decani delle lettere australiane sono Henry Lawson e A.B. Banjo Paterson.
Henry Lawson è uno degli scrittori del periodo coloniale. La maggior parte dei suoi lavori si concentrano sulla steppa australiana, come il desolato “Past Carin’”, ed è considerato da alcuni il primo ad offrire una visione accurata della vita in Australia com’era in quel tempo.
Andrew Barton-Paterson, detto “Banjo“, è stato un poeta e giornalista. Scrisse molte ballate e componimenti sulla vita australiana, centrate soprattutto sull’ambiente dell’outback interno. Le sue opere presentano una visione idealizzata e romantica della campagna australiana e dei suoi abitanti, visti come eroi che affrontano con coraggio le difficoltà di quell’ambiente. Questa visione fu condizionata certamente anche dai sentimenti fortemente nazionalisti di Paterson.
Nelle nuove generazioni spiccano Tim Winton e Doris Pilkington
Tim Winton nato nel 1960, pubblica a ventuno anni, quando ancora frequenta l’università, il libro che lo rende immediatamente famoso al pubblico australiano: An Open Swimmer gli farà vincere l’Australian Vogel Award. Nel giro di una ventina d’anni pubblica più di una quindicina di titoli, tra romanzi, raccolte di racconti e libri per bambini modellando uno stile che fin dall’esordio si scopre assolutamente personale. Così diventa un autore tradotto in tutto il mondo, pluripremiato, finalista nel 1995 e nel 2002 al Booker Prize. Oltre allo stile, un’altra caratteristica di Tim Winton è il suo attaccamento alla terra natia pur con tutte le sue contraddizioni: i temi che troviamo nelle sue opere ruotano attorno allo scontro tra la civiltà e la natura stessa, una natura che vuol dire una dimensione altra, da un punto di visto storico, sociale e spirituale; il conflitto fortissimo tra l’antica spiritualità aborigena ancora viva nell’interno e l’ethos ipermoderno della civiltà metropolitana.
Nel catalogo di Fazi editore:

I cavalieri, traduzione a cura di Isabella Ciapetti, finalista al Booker Prize nel 1995
In un aeroporto irlandese Fred Scully aspetta con ansia l’arrivo dall’Australia della moglie e della figlia di sette anni. Dopo un lungo vagabondaggio attraverso l’Europa, immagina adesso una nuova vita, la possibilità di ricominciare tutto daccapo con la sua famiglia in un vecchio cottage ristrutturato durante le settimane trascorse da solo in Irlanda. Ma qualcosa d’imprevisto accade: sua figlia esce inspiegabilmente sola dalle porte a vetri del terminal e la vita di Scully scivola lentamente in un incubo.
I cavalieri è la storia di un avventuroso viaggio attraverso il continente europeo, ma soprattutto nell’ossessiva psiche di un uomo alla ricerca di una donna scomparsa nel nulla e di un passato che non potrà più tornare. È una vicenda di fantasmi che vengono a tormentare i ricordi e i rapporti; di una rivelazione cercata in luoghi e tra persone al tempo stesso straniere e familiari; di una redenzione trovata in una volontà determinata ad andare avanti.

Dirt music, traduzione a cura di Maurizio Bertocci, finalista al Booker Prize nel 2002
Qui potete leggere la mia recensione
Confinata ai margini dell’Australia, Georgie Jutland, moglie del pescatore Jim Buckridge e matrigna dei suoi due figli Josh e Brad, trascorre le giornate in compagnia dei suoi quarant’anni e delle sue speranze disattese. Tra vodka e Internet, l’ex infermiera, compagna senza passione di un uomo dal passato turbolento, s’innamora di Luther Fox, uomo dal futuro improbabile, musicista sfortunato, pescatore di frodo, che pare avere poco da offrirle. Ma Fox incarna il cambiamento e, nonostante tutto, avendo per sfondo una natura dalla bellezza magica e gli sconfinati paesaggi australiani, Georgie seguirà la fuga di quest’uomo fino ai confini dell’universo, là dove incontrerà aborigeni dalle radici spirituali ancora vive.
Un viaggio affascinante, dai molteplici sviluppi, che offre la visione di un continente dalla storia complessa, dai territori vergini dove ancora vale la pena inoltrarsi. Georgie, Jim e Fox formano un triangolo perfetto. Tutti e tre sono tormentati dalla propria storia personale, intrecciata però a quella degli altri: Georgie giunge a una crisi risolutiva alla morte della madre, quando si troverà di nuovo ad affrontare le sorelle fanatiche dello shopping e il padre adultero; Jim, ancora tormentato dalla morte della sua prima moglie Debbie, cerca ossessivamente di fare ammenda, cosa che lo porterà inevitabilmente a sconfinare anche nel passato di Fox.
La svolta, traduzione a cura di Giuseppe Marano

Stretti nel ripetersi quotidiano della propria esistenza, i personaggi di questo memorabile romanzo a episodi si aprono d’improvviso al nuovo e riconsiderano il proprio presente come mai avevano fatto. E così Biggie trova d’un tratto l’amore durante uno sgangherato viaggio nel deserto; Alison, ragazza evanescente con una macchia sul viso, si ritrova oggetto del desiderio dei compagni di scuola; Raelene, giovane madre, è costretta a vivere in una roulotte con le due figlie, lontana da Max, il marito violento. E poi ancora Frank, un tempo campione di football, che oggi ha perso la volontà e l’entusiasmo per la passione di un tempo. Tra questi c’è anche – e soprattutto – Vic, prima bambino, poi adolescente e infine adulto, stanco e disilluso. Esistenze in cui si rincorrono speranze, morti, nascite e rinascite: uomini e donne colti in movimento, come in una foto mossa che ha sullo sfondo un paesaggio ancestrale e sconfinato, dominatore e magico.
Tim Winton, tra le più preziose voci della letteratura australiana, con quest’opera raggiunge in profondità le pieghe dell’emotività umana, regalandoci straordinarie storie di persone normali.

Il nido, traduzione a cura di Stefano Tummolini
Tom Keely, ex ambientalista impegnato molto noto, ha perso tutto. La sua reputazione è distrutta, la sua carriera è a pezzi, il suo matrimonio è fallito, e lui si è rintanato in un appartamento in cima a un cupo grattacielo di Fremantle, da dove osserva il mondo di cui si è disamorato, stordendosi con alcol, antidolorifici e psicofarmaci di ogni sorta. Si è tagliato fuori, e fuori ha intenzione di restare, nonostante la madre e la sorella cerchino in ogni modo di riportarlo a una vita attiva. Finché un giorno s’imbatte nei vicini di casa: una donna che appartiene al suo passato e un bambino introverso. L’incontro lo sconvolge in maniera incomprensibile e, quasi controvoglia, permette che i due entrino nella sua vita. Ma anche loro nascondono una storia difficile, e Keely presto si immerge in un mondo che minaccia di distruggere tutto ciò che ha imparato ad amare, in cui il senso di fallimento è accentuato dal confronto continuo con la figura del padre, Nev, un gigante buono impossibile da eguagliare. In questo romanzo coraggioso e inquietante, Tim Winton si chiede se, in un mondo compromesso in maniera irreversibile, possiamo ancora sperare di fare la cosa giusta.
Scritto con una prosa trascinante che rivela punte di umorismo nero e spietato, Il nido è il toccante racconto dell’incontro tra due solitudini che trovano l’una nell’altra un barlume di speranza. Una storia di miseria e fallimenti, dipendenze e marginalità, sullo sfondo di un’Australia ricca di contrasti, in cui la bellezza struggente dei paesaggi fa a pugni con la periferia urbana, straniante e ostile, dell’estremo lembo del mondo.
Gerald Murnane è nato a Melbourne nel 1939. Al suo romanzo d’esordio, Tamarisk Row (1974), seguono altre dieci opere, tra cui l’acclamato Le pianure (Safarà Editore, 2019). Vive nel Victoria occidentale, e non ha mai lasciato l’Australia in tutta la sua vita.

Tamarisk Row, di Gerald Murnane, Safarà editore 2020, traduzione di Roberto Serrai, pagg.308
A Bassett, polverosa cittadina dell’interno australiano, Clement Killeaton è impegnato a crescere. Sono i tardi anni Quaranta e sul retro del cortile della sua casa, sotto le tamerici, tutto è pronto per la Gold Cup nell’ippodromo costruito dalla sua immaginazione: il suo cavallo Tamarisk Row è pronto a giocarsi il tutto per tutto contro i suoi temibili rivali, in una serie di corse che decideranno il suo destino. E sarà proprio in quell’ippodromo, immaginifica e potente rappresentazione del mondo, che tutto troverà un significato: le scommesse del padre Augustine, l’universo delle ragazze colmo di segreti, gli insegnamenti cattolici delle algide suore e i maltrattamenti della banda di Barry Launder. Il galoppo di Tamarisk Row saprà condurlo attraverso radure di infinito mistero e sorprendenti scoperte, e a ogni falcata, il mondo svelerà infine quello che cela oltre le sue sterminate pianure.

Il weekend, di Charlotte Wood, NN Editore 2020, traduzione di Chiara Baffa, pagg 240
Le settantenni Jude, Wendy e Adele sono amiche da una vita e, per la prima volta, si trovano di fronte ad un evento che ribalta tutte le loro sicurezze (e insicurezze) rispetto al loro stare insieme. Con Sylvie formavano un quartetto consolidato e funzionante in base ad un equilibrio basato su precisi ruoli, ma ora Sylvie è morta, proprio lei che era il collante. Non solo questo sarà il loro primo Natale senza di lei, ma dovranno trascorrerlo nella sua casa al mare nella piccola cittadina immaginaria di Bittoes, sulla costa del New South Wales, ripulendo la casa e decidendo la sorte dei suoi effetti personali per prepararla per la vendita. Il weekend è un romanzo riccamente strutturato: le idee sull’amicizia, l’invecchiamento e il dolore continuano a succedersi, a rimbalzare tra i pensieri delle tre donne, mettendo a fuoco punti di vista diversi che trovano però anche delle convergenze. Il passato torna per ciascuna a mostrare quale era la forza, ma anche le debolezze, e il fatto che, con lo sguardo di adesso, si ha l’impressione di non avere colto appieno tutto ciò che la vita aveva da offrire. Qui potete leggere la mia recensione.

Città di polvere, di Hayley Scrivenor, NN Editore 2023, traduzione di Fabrizio Coppola, pp. 354
In un caldo pomeriggio di fine novembre, a Durton, Australia, la dodicenne Esther scompare mentre torna a casa da scuola, e la comunità della piccola cittadina sprofonda in un vortice di dubbi e dolore. La detective Sarah Michaels, donna queer in un mondo maschile e maschilista, viene inviata sul posto per indagare, e ben presto i sospetti cadono sul padre della ragazzina, Steven, un uomo affascinante dal passato controverso. La detective non è la sola a voler far luce sul caso: anche Ronnie, migliore amica di Esther, è determinata a scoprire la verità, ma si scontra con i segreti e le bugie delle persone intorno a lei, incapaci di sacrificare la propria reputazione in un ambiente dove tutti si conoscono e le voci si diffondono rapidamente. Con un sapiente gioco narrativo che alterna i punti di vista dei protagonisti a quello corale dei ragazzini, Hayley Scrivenor mette in scena un crime in cui lo sfondo sociale e ambientale determina le azioni dei personaggi, minando certezze e fiducia reciproca. Ma è proprio nel dolore che la comunità si ricompatta e fortifica, trovando nel perdono il sentimento più potente per aprirsi a un futuro diverso.
Qui potete leggere la mia recensione.
Doris Pilkington è unautrice di origini aborigene, nome nativo Nugi Garimara, di cui è uscito Barriera per conigli , Giano Editore, storia vera della più recente e pesante vergogna australiana che racconta la fuga di tre ragazzine dal campo di rieducazione dove venivano segregati i figli dei matrimoni misti.

All’inizio degli anni Trenta, nella Australia Occidentale, tre ragazzine compirono un’incredibile impresa. Fuggite dall’istituto dove erano segregate, percorsero a piedi più di 1500 chilometri nel corso di 9 settimane, attraversando il bush in condizioni di assoluta precarietà, fino a raggiungere sane e salve il loro villaggio di provenienza. L’autrice, figlia di una delle tre ragazzine, ha ricostruito in questo libro la storia di quella fuga, basandosi sui ricordi delle protagoniste e rielaborandoli alla luce della storia australiana, dal tempo in cui solo gli aborigeni abitavano il bush, attraverso l’arrivo dei coloni europei, fino alla decisione da parte del governo di affrontare la questione dei bambini meticci.
Sally Jane Morgan è una scrittrice e illustratrice australiana aborigena. La sua opera più celebre, La mia Australia (My Place, 1987) è un romanzo autobiografico in cui narra la propria vita e quella di altri membri della sua famiglia. Il romanzo ha venduto più di mezzo milione di copie in Australia, è stato tradotto in numerose lingue, e ha vinto diversi premi letterari. Morgan ha anche scritto e illustrato numerosi libri per bambini.

Geraldine Brooks, vincitrice del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2006 con il romanzo L’idealista. La sua carriera iniziò come reporter al Sydney Morning Herald, un quotidiano tra i più letti in Australia. In seguitò conseguì un master in giornalismo, che la portò a lavorare per il Wall Street Journal, dove nel 1990 ottenne un premio per il miglior servizio di giornalismo dall’estero per un giornale, grazie al suo lavoro di inviata in Africa, nel Medio Oriente, nei Balcani e soprattutto nel Golfo Persico. In seguito lavorò anche per il New York Times e per il Washington Post, sempre come corrispondente di guerra. Vive negli Stati Uniti.

“Piccole donne” di Louise May Alcott si apre con le sorelle March che, all’approssimarsi del Natale, rivolgono un pensiero accorato al loro padre lontano. Un anno dopo, alla fine del libro, il signor March torna a casa dalle ragazze. Ma cosa gli è successo nel frattempo? E cosa gli ha lasciato l’esperienza della guerra cui ha partecipato? Il romanzo di Geraldine Brooks colma, appunto, questa lacuna ispirandosi alla figura realmente esistita del padre della Alcott, Bronson, uno degli esponenti – con Thoreau ed Emerson dell’idealismo americano del XIX secolo. Il risultato non è né una biografia, né una continuazione di “Piccole donne” ma un romanzo storico in sé concluso.
Altri «esuli» illustri che hanno abbandonato lAustralia, sono Peter Carey con La ballata di Ned Kelly e Estasi, editi da Frassinelli e Shirley Hazzard con Il grande fuoco, edito da Einaudi, che ora vivono a New York . Peter Carey ha vinto due volte il Booker Prize: nel 1988 con Oscar e Lucinda, e nel 2001 con La ballata di Ned Kelly.



Gregory David Roberts dal passato «stupefacente» (in ogni senso), anarchico, delinquente, wanted dead or alive, trasferitosi a Bombay per poi tornare a scontare la pena in patria; di Roberts trovate nel catalogo Neri Pozza Shantaram, mille pagine di autobiografia off limits che diverranno un film con Johnny Depp protagonista.

Madeleine St John, col suo romanzo, traccia uno spaccato della vita a Sidney negli anni Cinquanta.

Sydney 1950. Sui manichini spiccano le gonne a balze e i corpetti arricchiti degli accessori più preziosi. Ma Goode’s non sono solo i più grandi magazzini della città, dove trovare l’abito all’ultima moda. Per quattro donne che lavorano sono anche l’unica occasione di indipendenza. Mentre con le loro eleganti divise di colore nero consigliano le clienti su tessuti e modelli, nel loro intimo coltivano sogni di libertà, di un ruolo diverso da quello di figlia, moglie e madre. Lesley sogna di continuare a studiare, anche se il padre non ne vuole sentir parlare. Poi c’è Patty che solo sul lavoro sente di valere qualcosa, mentre a casa il marito la tratta come fosse trasparente. Anche per Fay andare al grande magazzino ogni mattina significa sentirsi meno sola. A sorvergliarle come una madre c’è Magda: le sprona a inseguire i loro desideri e a trovare il proprio stile nel vestire, a coltivare l’idea che una donna possa raggiungere qualsiasi obiettivo. Per tutte è in arrivo un tempo di grandi cambiamenti e opportunità inaspettate. Tra un party, un nuovo vestito e nuove consapevolezze, Lesley, Patty, Fay e Magda vivranno il momento magico in cui si decide chi si vuole essere davvero. Madeleine St. John è una delle più grandi autrici del Novecento. È stata la prima autrice australiana candidata al Man Booker Prize. Da questo libro è stato tratto un film di successo diretto da Bruce Beresford, regista di A spasso con Daisy. Il femminismo è il fil-rouge che attraversa tutti i suoi romanzi, precursori di un’epoca di cambiamento. Protagoniste delle sue storie sono le donne: donne forti che inseguono i loro sogni, donne che cercano il loro posto nel mondo, ieri come oggi.
Richard Miller Flanagan, scrittore, sceneggiatore e regista australiano, è stato vincitore del Man Booker Prize nel 2014 per La strada stretta verso il profondo Nord.

Agosto 1943. Il medico australiano Dorrigo Evans è recluso da ormai due anni in un campo di prigionia giapponese dove, insieme a molti connazionali, viene impiegato nella costruzione della Burma Death Railway, la linea ferroviaria tra Bangkok e la Birmania che avrebbe dovuto permettere all’esercito nipponico di invadere l’India. Un’impresa sovrumana che costerà la vita a molti, e Dorrigo fa il possibile per salvare i suoi compagni da fame, malattie e dalle violenze dei secondini. A sostenerlo, il ricordo di una notte d’amore trascorsa anni prima con la giovane moglie di suo zio. Una sola notte che vale una vita. Una promessa mai pronunciata.
Joan London è libraia e scrittrice, vive a Perth. È autrice di tre raccolte di racconti e tre romanzi tra cui il bestseller internazionale L’età d’oro. Ha vinto il Patrick White Award, il Prime Minister’s Literary Award e il Nita Kibble Literary Award.

La famiglia Gold è sopravvissuta all’Olocausto in Ungheria ed emigra in Australia, dove però il figlio adolescente Frank si ammala di poliomelite. Nel sanatorio chiamato The Golden Age incontra una coetanea, Elsa, e se ne innamora.
Nel frattempo le loro famiglie sono alle prese con problemi d’identità e d’integrazione. La mamma di Frank, Ida, pianista famosa quando viveva in Ungheria, rifiuta l’idea che la sua nuova casa sia in questo lontano e semidesertico continente. Anche la madre di Elsa, Margaret, fatica a reggere il colpo della malattia della figlia.
Ma lo splendore del rapporto amoroso tra i due ragazzini donerà nuova luce alle vite di tutti questi personaggi.

Amici e ombre, il sorprendente esordio della scrittrice indoaustraliana Kavita Bedford, è insieme un commovente ritratto dell’amicizia e una meditazione sulla perdita.
Un gruppo di amici estremamente diversi tra loro si trasferisce in un appartamento nel centro di Sydney. Alla soglia dei trent’anni, sono ognuno alle prese con la propria identità, il lavoro, l’amore e le speranze per il futuro, ciascuno punta al successo a modo suo. La narratrice anonima, in lutto per la perdita del padre, si ritrova divisa tra un’esistenza passata, quando suo padre era ancora con lei, e il presente in cui lui non c’è più. Amici e ombre è una commovente storia sulla lotta per la carriera, gli appuntamenti, la gentrificazione, l’amicizia, le ambizioni, la politica, la famiglia e la ricerca del proprio posto nel mondo. Ambientato in una Sydney che è tanto unica quanto specchio dei sobborghi di tutto il mondo, è un romanzo coinvolgente ed emozionante, scritto con convinzione. Racconta la storia di una donna alla ricerca di pace e connessione nel mezzo di un paesaggio urbano esteso e variegato.
Kate Morton a 29 anni scrive il primo romanzo, Ritorno a Riverton Manor, pubblicato in Italia da Sonzongo nel 2007 e in una nuova edizione nel 2017; ma è con Il giardino dei segreti (Sperling & Kupfer 2010) che si afferma definitivamente sulla scena letteraria mondiale.
Affascinata dall’Ottocento, si è laureata con una tesi sulla tragedia nella letteratura vittoriana e ha svolto ricerche per un dottorato sul gotico nel romanzo contemporaneo.
Nel 2011 Sperling & Kupfer pubblica Una lontana follia, mentre nel 2013 esce L’ombra del silenzio. Nel 2016 è la volta di I segreti della casa sul lago.



Se amate il genere noir/thriller, sappiate che anche la letteratura australiana ha una sua tradizione e autori che la rappresentano. Questo genere è fiorito guardando alle origini della realtà coloniale, quando, nel Diciottesimo secolo, il paese era di fatto una colonia penale. I primi romanzi del genere presentavano storie di detenuti in fuga che diventando eroici ranger; in questi romanzi emergeva la crudeltà di un sistema carcerario che, esacerbato dal fatto di essere in mezzo al nulla, offriva condizioni durissime. In anni successivi si sviluppò una narrativa gialla che aveva come protagonisti coloni in cerca di libertà e cercatori d’oro senza legge.
Nel diciannovesimo secolo le opere erano perlopiù incentrate su investigatori privati, personaggi molto popolari in una società piuttosto scettica nei confronti della polizia. Gli autori del ventunesimo secolo, cambiando completamente registro, hanno invece riscoperto la classica figura del poliziotto e hanno spesso tentato di esplorare crimini e misfatti legati alle comunità indigene.
In Italia si possono leggere i gialli di Peter Temple. Nato in Sudafrica, si è trasferito a Sydney nel 1980 e successivamente a Melbourne dove è diventato editore dell’Australian Society magazine. Ha pubblicato nove romanzi.

Alla fine di una lunga giornata di lavoro, l’ispettore Stephen Villani viene improvvisamente chiamato dalla centrale per recarsi in un quartiere residenziale. Il cadavere di una giovane donna giace nudo nella vasca di vetro del bagno di un lussuoso appartamento che si affaccia sulle luci della città. L’interruttore di sicurezza sembra a portata di mano, ma lei non ha fatto nulla per raggiungerlo e chiedere aiuto. Difficile si sia trattato di un suicidio, perché la vittima ha il collo spezzato e non per una accidentale caduta. Si apre così “Verità”, il nuovo romanzo di Peter Tempie, e il nuovo caso dell’ispettore Villani nel caldo dell’estate australiana, mentre alcuni incendi divampano nella regione. Un vortice di corruzione, depistiggi, tradimenti avvolge le indagini di Villani che, in un ambiente dove colleghi e superiori sono impegnati a difendere le loro carriere con le unghie e con i denti, tenta di trovare il filo rosso dei delitti che si susseguono senza un motivo apparente.

Australia, Port Munro. Joe Cashin è un poliziotto che vive da solo con due cani, un giorno in una grande villa nelle vicinanze, viene trovato gravemente ferito un ricco possidente locale, Charles Bourgoyne, tutti pensano a un furto finito male e la stampa locale da voce all’isteria populista, che vuole allontanare i vagabondi pericolosi. Cashin però non è convinto: non ci sono infatti segni di colluttazione; è come se la vittima avesse fatto entrare il ladro-assassino spontaneamente. Inizia così a svolgere le sue indagini, alternando una cena a casa della mamma, una passeggiata nel bush con i cani, una chiacchierata con Rebb, ma soprattutto una minuziosa ricostruzione della vita di Charles (morto nel frattempo a causa delle ferite ricevute). La vita della vittima sembra essere segnata da parecchie disgrazie, e in particolare dalla morte della moglie, in un incidente stradale, e poi dalla scomparsa del figliastro. Quando si verificano altri omicidi tutti riconducibili a Charles, è evidente che la storia del furto finito male non può più reggere.
Molto avvincente il thriller di Chris Hammer, Scrublands noir:

È una rovente giornata estiva a Riversend, una piccola cittadina australiana afflitta dalla siccità, quando Byron Swift, il giovane sacerdote della comunità, esce dalla chiesa imbracciando un fucile da caccia dotato di mirino e spara sui parrocchiani riuniti sul sagrato in attesa della funzione, prima di essere freddato da un colpo di pistola esploso da un agente di polizia. Un anno dopo, Martin Scarsden viene incaricato dal suo giornale, il Sydney Morning Herald, di scrivere un pezzo su Riversend, una sorta di reportage da mandare in stampa il giorno stesso dell’anniversario della strage. L’idea non è di ritornare su un efferato crimine su cui si sono già consumati fiumi di inchiostro, ma di raccontare come vanno le cose in paese a un anno di distanza. Dopo aver incontrato la gente del posto e ascoltato la loro versione dei fatti, Martin si rende però conto che le ragioni di quella strage sono tutt’altro che chiare, e che sia la personalità del sacerdote sia le circostanze in cui ha agito sono tuttora avvolte nell’oscurità. Sebbene abbia ammazzato cinque persone a fucilate, Byron Swift, a detta di tutti in paese, era un uomo sensibile che si prendeva incessantemente cura del prossimo. Certo, le cronache sono piene di bravi cittadini che si rivelano poi folli e feroci assassini. Tuttavia, il giorno della strage il giovane sacerdote era tutt’altro che in preda alla follia. Era calmo, metodico. Ad alcuni aveva sparato e ad altri no, con l’infallibilità di un cecchino. Spinto dal suo istinto di reporter, Martin decide di raccogliere quante più informazioni su Swift e su una vicenda che, tra dubbi, depistaggi e gravi pericoli, si rivela sempre più sfuggente e, per questo, estremamente intrigante. L’inchiesta lo condurrà nelle Scrublands, un’enorme penisola di mulga, una landa desolata dove il clima è ancora più rovente e dove il rinvenimento di altri due corpi rimescolerà tutte le carte in tavola.
Diari di viaggio

In questa categoria di libri credo che a tutti venga subito in mente Le vie dei canti di Bruce Chatwin. Per gli aborigeni australiani, la loro terra era tutta segnata da un intrecciarsi di «Vie dei Canti» o «Piste del Sogno», un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi: erano quelle le «Impronte degli Antenati» o la «Via della Legge». Dietro questo fenomeno, che apparve subito enigmatico agli antropologi occidentali, si cela una vera metafisica del nomadismo. Il libro di Bruce Chatwin, apparso nel 1987, potrebbe essere descritto anch’esso come una «Via dei Canti»: romanzo, viaggio, indagine sulle cose ultime. È un romanzo, in quanto racconta incontri e avventure picaresche nel profondo dell’Australia. Ed è un percorso di idee, una musica di idee che muove tutta da un interrogativo: perché l’uomo, fin dalle origini, ha sentito un impulso irresistibile a spostarsi, a migrare? E poi: perché i popoli nomadi tendono a considerare il mondo come perfetto, mentre i sedentari tentano incessantemente di mutarlo? Per provare a rispondere a queste domande occorre smuovere ogni angolo dei nostri pensieri. Chatwin è riuscito a farlo, attirandoci in una narrazione dove i personaggi, i miti, le idee compongono un itinerario che ci guida molto lontano.

Dopo la strepitosa passeggiata nei boschi degli Appalachi, Bill Bryson è partito per l’Australia: l’isola più estesa del mondo e che è anche un continente, l’unico continente che è anche una nazione, l’unica nazione che è nata come una prigione. Armato di tanto tempo, del suo immancabile diario di viaggio e di inesauribile ironia e curiosità, Bryson ha attraversato in treno l’interno desertico, ha guidato nelle città e lungo le strade costiere, ha camminato e navigato, e si è fermato a parlare più o meno con tutti quelli che ha incontrato. Ayers Rock e la Grande barriera corallina, il bush e la spinifex, i serpenti velenosi e i canguri, Sydney e Canberra, gli aborigeni, i vecchi hippy e i surfisti in cerca della grande onda… il “catalogo australiano”, insomma, è completo, e non poche saranno anche le sorprese. Tutto raccontato con la partecipazione emotiva, l’allegria stilistica e l’umorismo che hanno fatto di Bryson lo scrittore di viaggi più letto, e divertente, al mondo.

Dopo aver passato un periodo piuttosto difficile in Italia, Antonio decide di volare in Australia. Questo libro racconta i primi ostacoli che il protagonista ha dovuto superare in questo enorme continente e offre tutta una serie di informazioni su come trovare lavoro e quali passi fare per vivere in Australia attraverso il “working holiday visa”. Sono poi descritte le vicissitudini e gli incontri che hanno radicalmente cambiato il modo di vivere e di viaggiare di Antonio che, dopo alcuni mesi di lavoro a Sydney, è riuscito a comprare un van che è diventato in breve non solo il suo fedele compagno di scorribande, ma anche la sua casa viaggiante e il mezzo che gli ha consentito di percorrere in lungo e in largo la terra dei canguri. Dopo vari mesi di lavoro nelle fattorie, pratica necessaria per ottenere l’estensione del visto e quindi la permanenza in Australia, ecco il lungo ed estenuante viaggio verso il deserto rosso, la descrizione delle emozioni, delle difficoltà, della fatica mista a gioia, la fine di un lungo cammino, l’inizio di uno nuovo.

Irene Bobs ama la guida veloce e pericolosa. Suo marito Titch è il miglior venditore d’auto nelle campagne del sud est dell’Australia, anche se succube delle angherie e dell’invadenza del padre. Insieme, Irene e Titch si iscrivono alla Redex Trial, una brutale gara automobilistica che parte da Sydney e attraversa tutto il continente, lungo strade da cui nessun’auto può uscire indenne. I due coinvolgono nell’impresa come navigatore Willie Bachhuber, campione di quiz radiofonici e maestro di scuola fallito, per guidarli lungo le curve e le insidie del percorso. Il viaggio e i suoi pericoli faranno emergere segreti, diffidenze, sospetti e verità celate tra i membri dello strambo equipaggio.
Storia dell’Australia

La storia sconvolgente di come l’Europa concepì l’idea di trasformare un continente, l’Australia, in un immane campo di concentramento. Pullulante di personaggi che fanno pensare a Dickens e a Dostoevskij, questa sinistra epopea, dopo essere stata a lungo rimossa, ha trovato in Robert Hughes il suo cantore.
Neo Zelanda
La letteratura neozelandese nasce con l’esperienza coloniale, dai primi resoconti e diari sulla vita nella nuova terra, ai rapporti con gli indigeni, per approdare alle opere del Novecento, indagatrici delle radici culturali autoctone così come delle contraddittorie sfaccettature dello sviluppo e della modernità. Costante di molti scritti degli ultimi decenni è la presa di coscienza da parte degli autori neozelandesi della propria perifericità, geografica e culturale, rispetto all’Occidente, e del punto di vista “laterale” e privilegiato sulla realtà e sul mondo che questa condizione può concedere. Le tradizioni orali dei maori, a lungo sopite e quasi disperse, hanno trovato in tempi recenti nuove voci e attenzioni.
Nel 1907, quando la Nuova Zelanda passò allo stato di dominion, lo sviluppo di una cultura propria subì un momentaneo arresto. Gli scrittori partirono alla volta dell’Europa in cerca di un ambiente culturalmente più in fermento. Tra questi spicca Katherine Mansfield.
Nata in una famiglia benestante di Wellington, Nuova Zelanda, e cugina prima di Elizabeth von Arnim, ha vissuto una vita piuttosto movimentata, e utilizzato tanti nomi. Il mio consiglio è di leggere i racconti nell’edizione Adelphi: divisa in due parti, è la prima raccolta completa dei racconti di Katherine Mansfield.
Con il secondo dopoguerra, il panorama artistico si amplia e sviluppa una personalità sempre più distinta da quella inglese. Ricordiamo Frank Sargeson (1903-1982), la cui opera più nota è Conversation with My Uncle (1936), il quale porta avanti quella tradizione di storie brevi iniziata dalla Mansfield e nel campo del romanzo, James Courage (1903-1963) e Dan Davin (1913-1990). In particolare quest’ultimo va considerato tra i migliori narratori novecenteschi, con uno spiccato senso di osservazione nei confronti degli uomini e degli ambienti sociali; tra le opere ricordiamo il suo Roads from Home (1949).
Il panorama della poesia è vario e vitale, inizialmente con dei gruppi di tendenze che fanno capo alle varie città, che sviluppano principalmente temi e ambienti urbani, in contrapposizione con i poeti del Sud, principalmente di Christchurch (Basil Dowling, Paul Henderson, Ruth Dallas), che tendono a un tono diverso più pacato e metafisico, con una maggiore presenza dell’elemento naturale.
Dalla fine degli anni Cinquanta il romanzo è divenuto l’espressione più importante dell’attività letteraria in Nuova Zelanda, con un processo che è stato inaugurato dall’esordio di Janet Frame (1924-2004), con la pubblicazione di Owls Do Cry (1957). Contemporaneamente alla Frame iniziava la carriera di scrittore anche M. K. Joseph (1914-1981), autore originale ed eclettico di romanzi quanto mai diversi tra loro non solo per le tematiche trattate ma anche per il genere di appartenenza. Tra le sue opere, meritano di essere menzionati A Soldier’s Tale (1976) e il postumo Kaspar’s Journey (1988).
Elizabeth Knox è uno dei migliori esempi fra i narratori delle generazioni più giovani: The Vintner’s Luck (1998) è il suo romanzo più celebre, tradotto in molti Paesi.
Tra i maori prima della colonizzazione non si può parlare di vere e proprie manifestazioni letterarie. Ma si è soliti distinguere in questa cultura di tipo polinesiano, concretizzata in miti, canti e leggende orali, un periodo arcaico o Moa Hunter, iniziato nel sec. X, quando i primi gruppi sbarcarono sull’isola, e in un periodo classico o Fleet Maori, iniziato nella prima metà del sec. XIV, che rappresenta l’ultima epoca dei grandi navigatori polinesiani. Successivamente il contatto con gli europei ha causato un vero e proprio oblio per la letteratura indigena, fino alla lenta ma costante ripresa del XX secolo. La lingua e la produzione letteraria maori hanno ripreso vigore portando alla ribalta autori quali Hone Tuwhare (1923-2008) primo poeta maori a riscuotere attenzione all’estero (No Ordinary Sun, 1964); Witi Ihimaera, che nelle sue opere ha indagato proprio il rapporto tra nativi e coloni (Tangi, 1973; The Whale Rider, 1987); Patricia Grace, il cui stile eclettico insieme alla eterogeneità dei temi toccati l’hanno resa una delle principali interpreti della cultura maori e neozelandese.
Keri Hulme. Di origini inglesi, scozzesi e Māori, il suo unico romanzo, The Bone People, ha vinto il Booker Prize nel 1985.
Termino qui la mia rassegna; se avete suggerimenti o libri da segnalare, mi aiuterete ad arricchirla!
Wow! È come entrare su una giostra, dopo non si ha più voglia di scendere 🙂
Grazie per il ricchissimo articolo.
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Grazie a te per le belle parole 😊
Ho cercato di stringere un po’ il campo, perché c’è davvero tanto. Il saggio che ho citato è molto approfondito, per chi volesse avere più dettagli. Buone letture 📖
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approfondirò, un po’ alla volta.
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Ne ho letti diversi di questi e devo dire che Picnic a Hanging Rock mi ha intrigato molto molto! L’Australia mi manca nel senso che fin da bimba volevo vedere i canguri ma ancora non ce l’ho fatta! Grazie per questa carrellata straordinaria sei una favola!❤️
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Grazie a te! Anche iio ho sempre sognato di andarci… Mi frena la durata del volo… Pensa che mia figlia è stata sei mesi a Cairns, nel Queensland e non ne ho approfittato…
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Hai fatto malissimo’😀❤️
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Già… 🙄
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❤️🌺
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Fantastica panoramica, complimenti. Oggi ti ho citata sul mio blog 🙂
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Ciao! Ma grazie 😘
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Ho guardato il film di “Picnic a Hanging Rock” anni fa, senza sapere che fosse tratto da un romanzo😊
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Spesso accade…. Specialmente se sono autori poco conosciuti.
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articolo ampio, suggestivo e completo. Ho letto la via dei canti qualche anno fa e ne rimasi affascinato, un viaggio nel viaggio, fisico e psichico. L’ho riletto, guarda caso qualche mese fa, e il fascino è rimasto tale e quale, forse anche più coinvolgente penetrante. Probabilmente è vero, dovremmo “ritornare” alla terra, a quel senso d’appartenenza che ci lega a questo sasso nell’universo, ritornare alla bellezza delle piccole “cose”, per comprendere appieno il senso di vivere la vita.
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Grazie per questi pensieri così profondi. Il libro di Chatwin esprime un approccio di rispetto e amore che ciascuno di noi dovrebbe fare proprio, forse ci aiuterebbe a vivere meglio in armonia con la natura.
Buona giornata
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Confesso che non conosco per niente la letteratura australiana… va un po’ meglio con la Nuova Zelanda. Amo moltissimo i racconti di Katherine Mansfield, e voglio segnalarti un’altra grande autrice neozelandese, Janet Frame, di cui ti consiglio Dentro il muro e il meraviglioso Un angelo alla mia tavola.
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Grazie per il suggerimento 👍👍👍
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io ho visto il film de Le signore in nero
Una perla **
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Devo proprio cercarlo!!
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