Ma anche allora sapevamo che le cose brutte accadono. E sapevamo che a volte erano le persone a causarle. A volte queste persone erano vicino a noi, a volte eravamo noi. (..) Noi ragazzi avevamo un nome tutto nostro per Durton: Dirt Town. Nessuno ricordava chi l’avesse detto per primo (..), ma quando iniziò la scuola ormai la chiamavano tutti così. (..) La nostra città non era una scelta, per noi. C’era e basta. Alcuni sussurravano che la città stava morendo.

Città di polvere, pag. 205

Città di polvere, di Hayley Scrivenor, NN Editore 2023, traduzione dall’inglese di Fabrizio Coppola, pp.354

Il romanzo d’esordio di Hayley Scrivenor ci porta in Australia, nel New South Wales, caratterizzato dal paesaggio arido dell’outback che diventa l’emblema di uno stile di vita e di una società.
In Australia si stanno affermando diverse autrici di crime, con romanzi perlopiù ambientati nelle cittadine remote dell’interno, caratterizzati da una connotazione fortemente sociale e generazionale, di disagio e di dipendenza da droghe e alcol, con particolare attenzione agli aspetti di crisi ambientale. Le caratteristiche comuni di quello che viene definito “outback noir” includono la consapevolezza di sfide come la siccità, la colonizzazione e le difficoltà economiche, nuove modalità di narrazione e una nuova visione delle motivazioni sociali, economiche e politiche rispetto alla narrativa poliziesca tradizionale.

Farm land in Outback, Dubbo, Australia

Protagonisti di questo noir sono gli adulti e i bambini di Durton, anonima cittadina uguale a tante altre, il cui nome i bambini storpiano in Dirt Town, città di polvere. Sono proprio i bambini, presentati con il pronome “Noi” posto in apertura ai capitoli che li riguardano, che annunciano nel primo capitolo la scomparsa di una di loro, partendo dal ritrovamento del suo cadavere. Il racconto poi fa un passo indietro di quattro giorni, quando tutto ha inizio, e procede per capitoli focalizzati, a turno, sui protagonisti primari della storia. La scrittura di Hayley è attenta e tesa. Ogni punto di vista non solo affronta la scomparsa di Esther, permettendo alla trama di andare avanti, ma svela particolari sul passato di quel personaggio: la loro storia in città, le loro relazioni con altri personaggi e il loro potenziale coinvolgimento nella scomparsa di Esther.

La scomparsa della dodicenne Esther Bianchi mentre torna a casa da scuola incrina l’illusione degli abitanti rispetto alla sicurezza di una piccola città in cui c’è solo una scuola omnicomprensiva, che va dalle elementari al liceo, una scuola che, già dal quinto anno i ragazzi raggiungono da soli; una cittadina in cui passare del tempo fuori a giocare non sembrava pericoloso. La sua scomparsa mette a nudo le profonde crepe che attraversano la comunità mentre le indagini gettano sospetti su amici e familiari. I migliori amici di Esther, Ronnie e Lewis, reagiscono in modo diverso alla scomparsa e mentre Ronnie è disposta a mettersi in pericolo pur di scoprire cosa è accaduto alla sua migliore amica, Lewis sembra nascondere un segreto, qualcosa che lo terrorizza.

A condurre le indagini è la sergente investigativa Sarah Michaels, donna queer in un mondo maschile e maschilista, coadiuvata dal collega detective Wayne Smith; esperta di casi di sparizioni di minori, viene inviata sul posto per indagare, e ben presto i sospetti cadono sul padre della ragazzina, Steven Bianchi, un uomo affascinante dal passato controverso. Constance, la madre di Esther, si sente un po’ un’estranea nella città natale di suo marito, dove si è ritrovata a vivere dopo la nascita della bambina, circondata dalla famiglia del marito e dalle persone che Steven conosce da sempre. Constance fa molto affidamento sulla sua unica amica, Shelley, la zia di Ronnie, soprattutto quando suo marito viene arrestato come sospetto.

L’autrice imprime alla narrazione un senso di urgenza – nella ricerca della ragazza scomparsa – ma tende anche a ricreare quel ritmo laconico (claustrofobico) da piccola città, in modo da poter sentire le vibrazioni della città, i suoi occupanti e i loro segreti; infatti, man mano che le indagini procedono, si capisce che tutti a Durton hanno i loro segreti e l’indagine sulla scomparsa di Esther li smaschererà tutti. L’ambientazione nel caldo soffocante estivo amplifica la sensazione di soffocamento, così come il paesaggio arido e la generale trascuratezza delle abitazioni alludono all’aridità nei sentimenti.

La costruzione narrativa corale del romanzo di Scrivenor, favorisce una varietà di prospettive, permettendo alla storia di svolgersi organicamente attraverso le intuizioni dei protagonisti: gli amici di Esther Ronnie e Lewis, sua madre Constance e la detective Sarah Michaels, e più in generale l’intera cittadina che sta combattendo i suoi stessi demoni. Ma ciò che spicca di più è l’uso dei capitoli raccontati dai bambini della città, il “noi” collettivo le cui voci sono vistosamente assenti dalle conversazioni degli adulti, ma le cui intuizioni forniscono una chiarezza imparziale.

Il modo in cui Scrivenor esplora le cose brutte che accadono ai bambini attraverso i loro stessi occhi eleva l’intero romanzo. È un espediente letterario che riecheggia non solo il coro greco ma anche molti scrittori contemporanei. Qui offre a Scrivenor l’opportunità di mostrare le esperienze e i pensieri contraddittori dei bambini – presentati collettivamente, senza identità specifiche, ma piuttosto come una somma di voci, di esperienze, di emozioni. Un coro che vede tutto ancor prima che venga rivelato attraverso l’indagine e che fornisce una chiave di lettura che va oltre la contingenza.

La polvere e il dolore – ecco cosa gli altri avrebbero ricordato della nostra città. Ma noi ricordiamo i nostri amici, le nostre famiglie: coloro che ci amavano quando nessuno li guardava. Ricordiamo di aver partecipato alle assemblee, spalla contro spalla, cantando l’inno della scuola. Tutti i bambini cantavano. Era la nostra casa, il nostro unico posto. Esther sarà sempre una bambina di Dirt Town, così come lo siamo anche noi, ancora.

Città di polvere, pag. 339

Città di polvere è un noir il cui focus è presentare uno scenario di disagio e di violenza domestica silenziosa e quotidiana: emergono i traumi del passato, il controllo coercitivo esercitato sui familiari, la vergogna interiorizzata e tenuta nascosta, la ricerca del capro espiatorio, le malelingue. È un romanzo popolato da temperamenti taglienti, spesso violenti, incidenti in attesa di accadere e eredità oscure. Un romanzo che si chiude con una considerazione sul fatto che tutti possiamo essere attori del bene come del male, a seconda di come le circostanze ci coinvolgono. Una persona può fare del male senza essere malvagia? Una volta ancora, la banalità del male. E la necessità del perdono.

Lo sappiamo: nessuno di noi può sfuggire a ciò che è quando nessuno ci sta guardando; non possiamo indovinare di cosa saremmo capaci fino a quando non è troppo tardi.

Città di polvere, pag. 338

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Hayley Scrivenor è un’autrice australiana, ricercatrice in Scrittura creativa presso la Wollongong University ed ex direttrice del Writers Festival locale. Best seller in Australia, Città di polvere è il suo romanzo d’esordio che, prima di essere pubblicato, ha vinto il KYD Unpublished Manuscript Award ed è stato selezionato per il Penguin Literary Prize.

Se siete in cerca di altri romanzi ambientati in Australia, li trovate nel mio post Viaggi letterari – Australia.