Come cantavano i Righeira, l’estate finendo. Anche se amo molto i colori dell’autunno, tirare giù la saracinesca su agosto mi mette un po’ di malinconia. Essendo abituata a pensare secondo il calendario scolastico, per me è finito un anno e sta per iniziarne un altro. Stavolta, in particolare, con dei bei nuvoloni sopra le nostre teste, ben più minacciosi di quelli temporaleschi che segnano la stagione. Staremo a vedere….
Agosto è stato per me un bel mese, vissuto nella ritemprante campagna toscana, e vivacizzato dalla presenza di figli e amici che sono transitati da queste parti. Quest’anno niente sagre né feste di paese, il che fa un po’ tristezza, ma almeno le belle giornate, quelle, non ce le hanno cancellate…
Agosto è stato anche un buon mese di letture intense, il che mi ha tenuto alto il morale. Ecco cosa ho letto:
Elif Shafak, Le quaranta porte
Levi Henriksen, Norwegian blues
Richard Yates, Revolutionary Road
Ferzan Ozpetek, Come un respiro
Frances Greenslade, Il nostro riparo
Clare Mulley, La spia che amava
Come sempre, grazie ai libri letti, ho fatto un bel viaggio, toccando Norvegia, Turchia, Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Giappone… Ho anche fatto un viaggio in Australia, immergendomi nella sua letteratura ed esplorando i suoi autori. Vi do anche un’anticipazione: il prossimo viaggio letterario sarà in Canada….
Tornando al libro del mese, la scelta di agosto ricade su:
Il nostro riparo, di Frances Greenslade, Keller editore 2015, traduzione di Elvira Grassi, pagg. 358
La chiave di lettura di questo toccante romanzo è nel titolo, in modo ancora più incisivo nell’originale “Shelter”. Il primo insegnamento di Patrick, il padre di Maggie a lei che è ancora una bambina, è la necessità di sapersi costruire un riparo sicuro se ci si perde nel bosco. Bisogna imparare a costruirlo secondo criteri precisi, scegliendo il luogo giusto, la corretta tecnica di disposizione di rami ed entrata. Una lezione fondamentale, se si vuole sopravvivere nella natura. E non solo; un rifugio nel bosco è un riparo anche quando si vuole fuggire da tutto ciò che ferisce.
La storia si svolge negli anni Settanta, nella British Columbia, in una provincia che sembra un posto incantato, ma che contiene in sé anche alcune contraddizioni. Ha offerto rifugio a chi ha lasciato la vita frenetica delle città, ha dato riparo a chi è fuggito dagli USA per non essere arruolato in guerre in cui non crede. Ma lo spettro della disoccupazione, il tedio della noia spesso spingono gli uomini a bere e le donne nella depressione.
Questo bellissimo romanzo è disseminato di ripari: rifugi nella natura per resistere a condizioni estreme, e rifugi mentali in cui sentirsi protette dalle ansie e dalle avversità. Ci racconta una storia che ruota attorno al rapporto tra madri e figlie, all’assenza, e a quello tra due sorelle, un legame fortissimo che arriva a compensare, se non a sostituire, quello con la madre. Protagoniste sono ragazze che diventano madri troppo presto per potersi assumere la responsabilità che ciò comporta, ma che nonostante tutto continuano a non perdere la speranza di potere guardare al futuro, sapendo di potere contare su se stesse, soprattutto.
La natura ha un posto di primo piano nel romanzo, è lei ad offrire il riparo più sicuro perché – come le aveva ammonite la mamma – il pericolo può venire dagli uomini, quasi mai dalla natura, se la si conosce e rispetta. La vediamo con gli occhi di Maggie, un occhio attento che ha imparato a cogliere le sfumature, ad ascoltare le voci sintonizzandosi con animali e piante, rievocando tutti i ricordi e i racconti della sua infanzia felice.
Il finale arriva con una forza travolgente, anche se molti indizi preparano il lettore ad aspettarsi qualcosa di diverso dall’happy end.