Bisognava fare pratica per essere capaci di reggere la delusione, e io non ne avevo fatta abbastanza. Mi distesi sul letto e provai a respirare per alleviare il peso schiacciante che mi sentivo nel petto. Per qualche ragione pensai a Vern, e alla sua sottile mano scura che teneva il fiammifero acceso per illuminare il nostro tepee di rami. Un lampo di conforto mi attraversò il petto e poi scomparve di nuovo. Ci volle una quindicina di minuti perché la delusione si trasformasse in rabbia. (pag. 141)
Il nostro riparo, di Frances Greenslade, Keller editore 2015, traduzione di Elvira Grassi, pagg. 358
La chiave di lettura di questo toccante romanzo è nel titolo, in modo ancora più incisivo nell’originale “Shelter”. Il primo insegnamento di Patrick, il padre di Maggie a lei che è ancora una bambina, è la necessità di sapersi costruire un riparo sicuro se ci si perde nel bosco. Bisogna imparare a costruirlo secondo criteri precisi, scegliendo il luogo giusto, la corretta tecnica di disposizione di rami ed entrata. Una lezione fondamentale, se si vuole sopravvivere nella natura. E non solo; un rifugio nel bosco è un riparo anche quando si vuole fuggire da tutto ciò che ferisce.
Una natura maestosa e incontaminata, quella della British Columbia, Canada. Foreste secolari, specchi d’acqua, montagne ricoperte dal candido mantello nevoso, il sottobosco fitto di piante, gli animali selvatici che le abitano: e la voce narrante riesce a dare un nome a ciascuno di loro, alle tracce, ai suoni, agli odori, trasportando il lettore in questa natura rigogliosa.
Il romanzo è ambientato nella provincia più occidentale del Canada, abitata da bianchi e indiani, questi ultimi vivono in riserve protette, dopo che per lungo tempo hanno subito l’aggressività dei bianchi. Una coesistenza che ora è più morbida, caratterizzata da uno stile di vita spartano, a diretto contatto con l’ambiente naturale. La storia si svolge negli anni Settanta, in questa provincia che sembra un posto incantato, ma che contiene in sé anche alcune contraddizioni. Ha offerto rifugio a chi ha lasciato la vita frenetica delle città, ha dato riparo a chi è fuggito dagli USA per non essere arruolato in guerre in cui non crede – come Patrick, il padre di Maggie, di origini irlandesi, emigrato negli Stati Uniti per sfuggire ad un padre alcolista, e poi diretto a nord, per non essere arruolato. Ma lo spettro della disoccupazione, il tedio della noia spesso spingono gli uomini a bere e le donne nella depressione.
La voce narrante del romanzo è una ragazzina, Maggie, che vive con la madre Irene, il padre Patrick che fa il taglialegna e la sorella di due anni più grande Jenny, in una casetta di legno, spartana, nel bosco nel Chilcotin, a Duchess Creek. L’immagine che scaturisce è quella di una famiglia tutto sommato felice, ma un’inquietudine cupa e sottile aleggia su di loro; a renderla concreta è l’ansia di Maggie, che cova sempre la sua preoccupazione, cercando di leggere dei segnali di guai imminenti nei gesti e nelle parole degli adulti. Segnali che le appaiono come delle premonizioni dai contorni incerti ma così pressanti da farle temere che il riparo degli affetti familiari, della propria casa, delle amate consuetudini, del legame con un gattino a cui si è affezionata, possano un giorno venir meno.
La sua ansia è legata soprattutto alla paura di perdere suo padre Patrick, Mr Sicurezza, il suo punto di riferimento, colui che le ha insegnato a vivere ed amare la natura in cui sono immersi, sapendosi mettere al sicuro, in ogni situazione. Patrick ha un rapporto privilegiato con Maggie, “il maschiaccio” della famiglia, la sente molto più simile a sé di Jenny, dolce e solare. Irene è una donna forte, determinata, è il fondamento e l’elemento di forza della famiglia; con lei le ragazze si inoltrano nei boschi in cerca di posti adatti a campeggiare immerse nella natura. E che insegna loro a fare affidamento solo su se stesse, a fidarsi poco degli altri.
Un giorno, le ansie di Maggie assumono tutta la concretezza della tragedia: Patrick muore investito da una catasta di tronchi. Ma se questo dolore segna per sempre la piccola Maggie, non è purtroppo l’unica perdita con cui le sorelle dovranno imparare a convivere. Dopo giorni in cui, abbandonata la casetta di legno, le tre si accampano un po’ qui, un po’ là, a casa di un’amica della madre, o in una casa in riva al lago grazie ad un lavoro temporaneo offerto ad Irene, la madre affida le figlie ad una coppia di amici del marito, con la promessa di tornare a prenderle non appena avesse trovato un lavoro stabile.
Con la mia valigia disfatta sul letto davanti a me, mi sentii come quella casa, un tumulto di polvere e caos, niente era rimasto al suo posto, niente era rimasto in piedi .(pag. 114)
Ma i mesi passano, le sporadiche e laconiche lettere inviate dalla madre cessano di arrivare; Maggie e Jenny si trovano a fare i conti con un’altra assenza a cui non riescono a dare una spiegazione. Maggie si aggrappa alla fiducia che la mamma non possa averle abbandonate, e inizia a concepire l’idea di andare a cercarla, temendo che le possa essere accaduto qualcosa.
La vita nella casa che le ospita non è sempre facile, ma almeno hanno un riparo. Nella cittadina di Williams Lake riprendono ad andare a scuola e si trovano un lavoretto; Maggie fa amicizia con Vern, un taciturno ragazzo indiano con cui si trova perfettamente in sintonia, e con lo zio di lui, Leslie; Jenny ha i primi fidanzati.
La vita, però, è capace di riservare imprevisti che possono sconvolgere tutto …
Questo bellissimo romanzo è disseminato di ripari: rifugi nella natura per resistere a condizioni estreme, e rifugi mentali in cui sentirsi protette dalle ansie e dalle avversità. Ci racconta una storia che ruota attorno al rapporto tra madri e figlie, all’assenza, e a quello tra due sorelle, un legame fortissimo che arriva a compensare, se non a sostituire, quello con la madre. Protagoniste sono ragazze che diventano madri troppo presto per potersi assumere la responsabilità che ciò comporta, ma che nonostante tutto continuano a non perdere la speranza di potere guardare al futuro, sapendo di potere contare su se stesse, soprattutto.
La natura ha un posto di primo piano nel romanzo, è lei ad offrire il riparo più sicuro perché – come le aveva ammonite la mamma – il pericolo può venire dagli uomini, quasi mai dalla natura, se la si conosce e rispetta. La vediamo con gli occhi di Maggie, un occhio attento che ha imparato a cogliere le sfumature, ad ascoltare le voci sintonizzandosi con animali e piante, rievocando tutti i ricordi e i racconti della sua infanzia felice.
Il finale arriva con una forza travolgente, anche se molti indizi preparano il lettore ad aspettarsi qualcosa di diverso dall’happy end. Maggie continua la sua ricerca della verità fino alla fine, aiutata da Vern e da suo zio Leslie, andando a parlare con coloro che hanno avuto contatti con la madre e ricostruendo un passato di cui nulla sapeva.
“Il nostro riparo” è un un romanzo di formazione che sviluppa i temi della perdita e delle consapevolezze; un libro che si legge tutto d’un fiato, che coinvolge il lettore suscitando trepidazione e facendolo sentire solidale con questa determinata ragazzina.
Frances Greenslade è una scrittrice canadese nata nel 1961 a St. Catharines, Ontario, dove è cresciuta con quattro sorelle e un fratello giocando tra i frutteti della penisola del Niagara. La famiglia si trasferì a Winnipeg, Manitoba, quando lei aveva dieci anni. Greenslade ha conseguito una laurea in inglese presso l’Università di Winnipeg prima di trasferirsi a Vancouver, British Columbia, dove ha completato il suo MFA in Scrittura Creativa presso l’Università della British Columbia nel 1992. Nel 2005 Frances e la sua famiglia si sono trasferite a Penticton, nell’Okanagan meridionale , dove fiorì il suo amore per il paesaggio della British Columbia e fu fonte di ispirazione per scrivere Shelter, il suo primo romanzo. Greenslade ora vive a Penticton, British Columbia, dove insegna Letteratura inglese all’Okanagan College.
L’ho letto 3 o 4 anni fa e il racconto che fai è perfetto! Mi è piaciuto molto e lo consiglio, si legge molto agevolmente . Bravissima
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Sì, è scorrevole e c’è sempre quella giusta tensione che ti spinge ad andare avanti, per sapere cosa succederà. Mi è piaciuta molto la protagonista, e anche lo zio Leslie, un indiano che ha cresciuto il figlio della sorella, Vern, e che aiuta Maggie in varie occasioni.
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Si hai ragione e poi la natura che diventa a suo modo protagonista!!
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oh ecco che ritrovo “shelter” su cui avevi imbastito il commento e che qui è titolo e chiave di un romanzo che mi incuriosisce.
ml
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In questo romanzo è proprio il bosco, con i suoi alberi, a offrire riparo. Come nel tuo racconto…. Le coincidenze non sono mai casuali 😉
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ho letto il romanzo “tutto d’un fiato” come suggerivi tu.
molto avvincente la trama, affascinante l’ambientazione, stupenda la figura di Maggie con le sue ansie e la sua determinazione, credibili e ben tratteggiati i personaggi di contorno. Mi ha lasciato perplesso il centinaio di pagine finali, non tanto per la trama (il disvelamento delle vicende materne era atteso e necessario costituendo l’apice del romanzo), quanto per la narrazione che mi sembra un po’ frettolosa e per l’escamotage utilizzato dall’autrice per farci conoscere la storia della madre: trovo poco credibile il modo di Betty di riportare a Maggie quello che ha ricevuto in confidenza anni prima dall’amica, madre della ragazzina, un racconto troppo dettagliato, cinematografico, come se Betty avesse assistito nascosta allo svolgersi delle vicende.
ho letto che il romanzo ha avuto due stesure a distanza di parecchi anni una dall’altra. Chissà se questa parte finale così come l’abbiamo letta fa parte del nucleo originale o è stata stravolta nella seconda stesura.
ml
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Mi trovi d’accordo sul finale e, appunto, non per i fatti, che bene o male erano nell’aria. Del resto, non era forse facile farli emergere se non per interposta testimonianza.. Però mi è sembrato coerente come Maggie ne è uscita.
Comunque, mi è piaciuto molto. Maggie mi è rimasta nel cuore…
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