Il complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di una tragedia. Anche di notte,come di proposito, le sue costruzioni non presentavano ombre confuse né sagome spettrali. Era invincibilmente allegro: un paese dei balocchi composto di casette bianche e color pastello, le cui ampie finestre prive di tende occhieggiavano miti in un intrico di foglie verdi e gialle. Fasci di luce sfacciata spazzavano i prati, le eleganti porte d’ingresso e le curve delle automobili color panna ormeggiate dinanzi. Un uomo intento a percorrere di corsa queste strade, oppresso da un disperato dolore, era fuori posto in modo addirittura indecente. (pag. 423)
Revolutionary Road, Richard Yates, minimum fax 2017, traduzione di Adriana Dell’Orto, pagg. 440
Revolutionary Road, considerato il capolavoro di Yates, mantiene intatto tutto il suo fascino e il suo valore anche dopo sessant’anni dalla pubblicazione. Molte le definizioni utilizzate per incasellare l’opera: realismo, naturalismo, satira sociale, insomma tante identità che, armonicamente unite, ne fanno un vero masterpiece. Yates, attraverso la storia di una coppia, dei loro vicini, delle persone che vivono di fianco a loro, fornisce la sua visione del mondo; il suo sguardo chirurgico seziona minuziosamente ogni minimo dettaglio e ce lo mostra con il giusto distacco, quella distanza che permette di vedere, alla fine, tutto l’insieme.
La trama è sostanzialmente riferibile alle vita di una coppia, Frank e April, con i loro due bambini, che vivono a Revolutionary Hill, una zona residenziale di recente costruzione nel Connecticut occidentale; una frangia suburbana della metropoli, abitata dai pendolari – commuters – che ogni giorno si recano al lavoro in città. L’azione del romanzo si svolge nella primavera-estate del 1955: un’estate che segnerà per sempre il loro destino. I numerosi richiami al passato aiutano il lettore a mettere a fuoco il carattere e il vissuto dei protagonisti principali, così come dei comprimari, tutti perfettamente definiti e indagati a fondo.
La citazione che trovate sopra dipinge con esattezza millimetrica l’identità della zona e del genere di persone che si possono trovare nel quartiere. Piccola borghesia paga di possedere una bella casetta con giardino in una zona tranquilla dove crescere i figli; un tran tran rassicurante di mariti che vanno al lavoro e mogli che si occupano di casa e prole, pranzi domenicali e una compagnia teatrale amatoriale per ravvivare le serate. Sotto questo strato zuccheroso si nasconde un po’ di amarezza: le frustrazioni che scaturiscono da lavori routinari, lo scivolamento in avventure extra coniugali per ammorbidire la monotonia di rapporti che hanno perso il loro iniziale vigore, fiumi di alcol e di sigarette per stordirsi.
Frank e April, in più, detestano la vita borghese o, almeno, dicono e ripetono, fino alla nausea, di detestarla ed essere lì è quasi come uno sbaglio, una fase transitoria, perché loro anelano ad una vita “più interessante”, frequentando gente “più interessante”: una varietà di stereotipati atteggiamenti e pose da pseudo- intellettuali, privi però di vera sostanza. Frank è stato in guerra in Europa, a Parigi dove ha cercato di cogliere il fascino di una città amata dagli artisti, provandone però una certa delusione. Si è laureato, ma tutta la sua cultura ruota attorno a quattro o cinque citazioni, alla capacità di tirare fuori qualche nome di scrittore o filosofo, insomma di millantare una statura culturale che non gli appartiene. Ma che gli era servita per fare colpo su April, quando col suo atteggiamento da intellettuale che vive in una soffitta, un po’ maledetto, un po’ macho, «un tipo d’uomo impegnato, nicotinizzato, alla Jean-Paul Sartre», le aveva offerto un appiglio per la felicità. A lei che ne aveva conosciuta ben poca.
L’insofferenza per questo stile di vita, il non sentirsi appagati, diventa un tarlo soprattutto per April che inizia a fantasticare di trasferirsi in Europa, a Parigi, e di tentare di dare una nuova forma alle loro vite e al loro matrimonio. April pensa di trovare facilmente un impiego presso un ente governativo americano, mentre Frank, senza fretta, potrebbe decidere cosa fare di sé. Mentre April scivola in una fase euforica, densa di preparativi e di sogni, Frank si sente schiacciato da questa prospettiva, ne intuisce tutta l’ingenuità e la vaghezza. E in fondo, il cambiamento lo costringerebbe a fare davvero qualcosa della sua vita, trovare una strada più solida, lasciandosi alle spalle l’attuale impiego, con tutto il suo corollario – per suo stesso dire – di noia e tedio. Ma sarà all’altezza di tale scelta? E poi, all’approssimarsi della partenza, riceve una proposta per un cambiamento di mansione da parte di uno dei dirigenti …
Il modo attraverso cui Yates definisce i caratteri dei personaggi, i loro rapporti, le tensioni e discrasie, passa prevalentemente attraverso i dialoghi effettivi ma anche quegli scambi immaginari che Frank, soprattutto, ma non solo, continua a rimuginare nei suoi pensieri. I dialoghi sono davvero molto efficaci e tracciano dolorosamente la faida all’interno della coppia. Il dialogo immaginario ci fa sentire la differenza tra ciò che viene detto e ciò che potrebbe essere stato detto. È anche crudelmente comico perché negli scambi immaginari, Frank soddisfa la sua fatua autostima maschile.
Dopo uno scambio immaginario con la moglie, Frank si guarda allo specchio del bagno e trova “una nuova maturità e virilità nel viso gentile e risoluto che gli ha risposto con il capo“. La cosa intelligente è che questi dialoghi immaginari non sono solo fantasia. Sono radicati in quello che Frank e April avrebbero potuto dirsi ma che invece, nel faccia a faccia, si è trasformato in altro.
I dialoghi reali sono usati brillantemente per portare in superficie i risentimenti nascosti. Nelle loro conversazioni ordinarie, Frank e April Wheeler imparano tutti i modi per ferirsi o disgustarsi a vicenda, per litigare anche violentemente, per rinfacciarsi rivelazioni clamorose, ritrattazioni, minacce e offese.
Ma la cosa peggiore – la peggiore di tutto il fine settimana, se non della sua vita fino a quel giorno – fu la maniera in cui April lo guardava. Non aveva mai visto, negli occhi di lei, quello sguardo di tedio compassionevole. Una cosa che lo tormentò per tutta la notte, che trascorse da solo; e che era ancora lì al mattino (..) E sul treno, diretto al lavoro – uno dei passeggeri più giovani e più in forma – se ne stette seduto con l’aria di un uomo condannato a una morte molto lenta e priva di dolore. Si sentiva di mezz’età. (pag. 118)
Vediamo il disfacimento del matrimonio in gran parte dal punto di vista di Frank (sebbene non siamo tenuti a simpatizzare con lui) e ascoltiamo le conversazioni che immagina, citate come se fossero un discorso diretto. Questo tipo di dispositivo è raro nella narrativa ed è molto insidioso da usare, ma Yates lo fa in modo magistrale.
Uno dei tanti esempi è quando Frank immagina la sua chiacchierata con l’analista che curerà sua moglie dal suo malessere esistenziale; si immagina un intero dialogo, le sue osservazioni e quelle del medico: “Penso che la sua valutazione della difficoltà sia sostanzialmente corretta, signor Wheeler …” L’esempio più drammatico e cinico si trova alla fine del libro, ma non posso dirvi di più….
Yates, col suo stile accessibile, lineare, avvolgente, con la capacità di padroneggiare i dialoghi in modo assolutamente efficace, con la minuziosità con cui descrive persone e luoghi, con ironia e spesso sarcasmo, rende vivo sulla carta un mondo, una mentalità: e ne demolisce con picconate precise i falsi miti. Vi è una critica verso quello che nel dopoguerra sembrava essere il nuovo stile di vita: il lavoro in città, la famiglia in aree residenziali – una via di mezzo tra campagna e città, delle aree cuscinetto – insomma, il sogno americano aggiornato e adattato ai tempi nuovi. Anche nel lavoro si vede chiaramente il quadro di quegli anni: la tecnologia che comincia a svilupparsi, l’automazione, i calcolatori, gli uffici organizzati in grandi open space disseminati di cubicoli, come degli alveari in cui ciascuno sta nella sua cella. Ma, nonostante questo realismo riferito all’ambientazione, il romanzo riesce ad essere senza tempo; ciò di cui ci parla sono i rapporti tra le persone, il loro malessere e l’incomunicabilità.
Frank si ritiene superiore, in senso intellettuale, al lavoro che svolge, che definisce “irrimediabilmente cretino” e che compie con somma svogliatezza; al lettore, appare come un illuso, sempre pronto ad auto-assolversi. April emerge dalle pagine come una donna poco amata dal marito, incompresa nei suoi tormenti, e succube di circostanze che l’avviliscono e la condannano ad un malessere sempre più cupo. La sua solitudine è come un’ombra che le rimane sempre attaccata.
Ma ormai April non aveva più bisogno di alcun consiglio né di alcuna istruzione. Era calma e tranquilla, ora, sapendo quel che aveva sempre saputo, quello che né i suoi genitori né zia Claire né Frank né chiunque altro avevano mai dovuto insegnarle: che se si vuol fare qualcosa di assolutamente onesto, qualcosa di vero, alla fine si scopre sempre che è una cosa che va fatta da soli. (pag. 409)
Il loro ruolo di genitori, sia da parte di Frank che di April, sembra svolto come un obbligo, nessun vero slancio o attenzione nei confronti dei bambini. Sembrano quasi dei bagagli, ingombranti, da spostare da una parte all’altra a seconda delle esigenze.
Se mettiamo insieme tutti questi dettagli, il quadro che ne esce è piuttosto desolante e il nome del quartiere, Revolutionary Hill, appare vieppiù ironico. Proprio Frank e April che vorrebbero sovvertire uno stile di vita che sembra andare loro stretto, alla fine, nelle azioni quotidiane, e financo nelle prospettive future, sembrano incamminati proprio sul sentiero della piatta vita piccolo borghese, legata agli obblighi sociali, alle abitudini, all’evasione dalla monotona vita coniugale. Osservandoli dall’esterno, è come se loro stessi – ed April lo afferma – non sapessero più chi sono. Come diversi critici si sono soffermati a sottolineare, non sfugge la scelta ironica, se non sarcastica, dei nomi. Del quartiere, si è appena detto. Frank, che è tutt’altro che sincero; Shep, il suo amico vicino di casa che come un cane (shepard dog) gli rimane devoto nonostante sia infatuato di April; la signora Givings, l’agente immobiliare, poco incline a dare, piuttosto a togliere; la signorina Grube (da grubby, sudicio) con cui Frank ha una tresca; April che ricorda l’ariosa primavera ma che in realtà è triste e cupa; infine il loro cognome, gli Wheeler (wheel, ruota) che girano sempre intorno a se stessi, senza andare da nessuna parte. C’è dunque un simbolismo preciso nella scelta di nomi e toponimi, e Yates ci sta dando degli indizi molto pertinenti.C’è una rappresentazione direi quasi spietata dello stile di vita di quei cittadini perbene: bevono in maniera eccessiva e fumano a ruota libera. Quasi sempre finiscono le serate ubriachi, trascinandosi storditi a casa e perdendo spesso le staffe. Prima di cena ci vanno pesante con quattro o cinque Martini, persino durante i pranzi di lavoro gli aperitivi sono sempre molto alcolici. Tutti sembrano più propensi a interpretare un cliché piuttosto che ad essere sinceri con se stessi e con gli altri.
Infine, Yates affida a Frank uno dei monologhi in cui esprime probabilmente la visione del suo stesso creatore:
«È come se tutti si fossero tacitamente accordati per vivere in uno stato di perenne illusione. Al diavolo la realtà! Dateci un bel po’ di stradine serpeggianti e di casette dipinte di bianco, rosa e celeste; fateci essere tutti buoni consumatori, fateci avere un bel senso di Appartenenza e allevare i figli in un bagno di sentimentalismo (..) e se mai la buona vecchia realtà dovesse venire a galla e farci bu!, ci daremo un gran da fare per fingere che non sia accaduto affatto.» Era una di quelle tirate che, di regola, assicuravano a Frank la clamorosa approvazione degli altri (..). Ma questa volta sembrò non avere effetto alcuno. Quei tre se ne stettero lì a guardarlo educatamente mentre parlava, e quando la piantò, sembrarono un tantino più sollevati, come scolaretti alla fine della lezione. (pag.115)
Dal romanzo di Yates, Sam Mendes ha realizzato il film, nel 2008, con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Il film ha riscosso grande successo di pubblico e di critica, aggiudicandosi numerosi premi.
Qui potete leggere l’incipit. Vi consiglio di dare un’occhiata anche alla recensione di Il vento selvaggio che passa, un altro bellissimo romanzo di Yates.
È uno di quei libri che ho in lista da un po’. Bella la recensione, complimenti, lo leggerò presto 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Te lo consiglio caldamente. Yates è un maestro!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Bello anche Undici Solitudini
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ancora non l’ho letto, grazie per la dritta.
"Mi piace""Mi piace"
Sono racconti brevi, fulminanti
"Mi piace"Piace a 1 persona
Già mi immagino…. Yates sa cogliere il nocciolo e andare dritto al punto. Come nel finale di Revolutionary…. gli bastano poche frasi per inquadrare un mondo….
"Mi piace"Piace a 1 persona
Mi è venuta voglia di riprenderlo 😊 è cosa di qualche anno fa, devo rispolverarlo
"Mi piace"Piace a 1 persona
Aspettavo questa recensione per capire se inserirlo nella mia già chilometrica wishlist :). Che dire, la tua analisi approfondita e sapiente non mi lascia scampo! Rientra perfettamente nel filone dei grandi romanzi americani dedicati al “disfacimento” dell’American Dream.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Quello che più mi colpisce – tra le tante cose – è la sua capacità di caratterizzare i personaggi. In questo è uno dei migliori che abbia letto.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Stavolta ti sei superata! Lasciamelo dire! Non posso aggiungere altro, soltanto leggetelo i dialoghi sono dei piccoli gioielli! Buona notte
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie Matilde, troppo buona 😊 i dialoghi di Yates potrebbero essere un corso di scrittura.
"Mi piace"Piace a 1 persona
per me lo sono stati in tempi anche lontani e pure vicini!
"Mi piace"Piace a 1 persona