A un certo punto la vita accelera. Dopo resta tutto fissato a un’immagine, un suono del momento. Si torna sempre lì. Potrei dire questo ad Amanda, se trovassi le parole.

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L’età fragile, di Donatella Di Pierantonio, Einaudi 2023, pp. 180

Il nuovo romanzo di Donatella Di Pierantonio percorre passi su terreni che in parte sono già stati battuti nei precedenti; infatti ciò in cui l’autrice eccelle e riesce a indagare con delicatezza e forza allo stesso tempo, sono le complessità dei rapporti familiari, dell’amicizia, dei legami con i luoghi delle origini. In particolare uno dei temi che emerge in questo lavoro è l’incomunicabilità; l’autrice, attraverso i personaggi, indaga sul potere della parola e su quello – ancor più grande – dei silenzi. L’omissione, il non detto, che condiziona ogni relazione, che crea delle voragini che poi non riesce più a colmare.

L’altro filone è quello dei traumi irrisolti, anche qui delle voragini sull’orlo delle quali perdere l’equilibrio e precipitare è molto facile. L’alchimia tra la difficoltà di comunicare, di aprirsi all’altro, e la difficoltà di superare traumi profondi si traduce in paura di esporsi, di riaprire vecchie ferite che poi non si sa dove possano portare. Un senso di nostalgia riesce a prendere il sopravvento, si nutre di sensi di colpa, ingigantisce il rimpianto di ciò che si poteva fare e non si è fatto, delle parole che avrebbero potuto risanare ferite e invece non sono state dette.

Lucia, la madre, ha vissuto la tragedia avvenuta tanti anni prima al Dente del Lupo, uno spuntone di roccia circondato dal bosco in cui trovarono la morte violenta due sorelle ventenni che trascorrevano le vacanze nel campeggio situato sul terreno del padre di Lucia. La sua amica Doralice, figlia dei gestori del campeggio, sfuggì per miracolo al massacro, ma il dolore la portò ad abbandonare per sempre quei luoghi, e i genitori, per rifarsi una vita in Canada. E Lucia quella sera avrebbe potuto essere con loro, se all’ultimo non avesse deciso, invece, di passare la serata in città, con gli amici dell’università. Due sopravvissute, che mai però hanno dimenticato e superato lo choc di quella tragedia.

Lucia rimase al paese, curandosi le ferite di quel trauma con Dario, un volontario del CAI che aveva partecipato alle ricerche delle tre ragazze inghiottite dal bosco, figlia per sempre di una società patriarcale capace di condizionarla nelle scelte più di quanto avrebbe immaginato. Ora, con un matrimonio in crisi che di fatto è già una separazione, accoglie sua figlia Amanda che torna da Milano, dove era andata per frequentare l’università, con tanti sogni e progetti; un ritorno alla terra d’origine per superare anch’ella il trauma di una violenza subita nell’indifferenza di una città che di colpo è diventata minacciosa.

Amanda, di ritorno in Abruzzo da Milano, è spenta, demotivata, depressa, passa le ore chiusa in camera, sepolta sotto un silenzio cupo, schiacciata da un dolore sordo. E Lucia non riesce ad aprire un canale di comunicazione con lei, non ha la forza di superare le sue paure.

Le loro sono due fragilità esposte, due ferite che ancora non si risanano, due mondi che non comunicano, che non riescono a elaborare il dolore; devono imparare a conviverci, a metabolizzarlo e addomesticarlo. “Forse la nostra unica eredità sono le ferite.”, forse è questo il filo che può tenere insieme le generazioni che hanno vissuto il vuoto scavato dentro di sé dal dolore.

In questa rappresentazione drammatica, molto simile alla tragedia greca, non a caso c’è un coro, quello in cui Lucia canta con le amiche Rubina e Samira, con il maestro Milo. Il coro nel finale che forse, esso solo, può rompere il silenzio, riunito proprio su quel prato che le ruspe hanno finalmente rivoltato e risanato, col suo canto può riconciliare passato e presente, facendo uscire quelle due sfortunate fanciulle dal folto del bosco dove hanno incontrato la morte, per rinascere e fare rinascere con loro chi le aveva conosciute, per sopravvivere alla violenza.

La fragilità è essenziale alla natura umana, siamo tutti vulnerabili, siamo tutti messi alla prova dalla vita, da ciò che riserva, nel bene e nel male.

Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all’altro che potevamo cadere, perderci, e persino morire.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.