INCIPIT
È da un bel po’ che si è lasciata Francoforte alle spalle e c’è ancora abbastanza tempo fino a Lione. Dai finestrini del TGV guarda la fioca luce del giorno che sta nascendo. I Vosgi si innalzano scuri e vicini. Vorrebbe prepararsi agli incontri. Vorrebbe trovare le parole giuste per esprimere i suoi sentimenti, vorrebbe immaginare la situazione che l’aspetta, vorrebbe raccogliersi. Ma ogni volta che richiama alla memoria un volto, lo ingoia subito di nuovo, come fa l’orologio con il cuculo, poi si ritrova ancora nell’affollato scompartimento del treno. Non ci si può concentrare. I chiacchieroni, le telefonate, i bambini che piangono, quelli che mangiano panini spalmati di burro.
Si arrende. Se potesse, si sbarazzerebbe di quelle persone con uno schiocco delle dita, non si vergogna della sua insofferenza e del fatto che guardi storto i suoi compagni di viaggio, persone che si comportano come se fossero sole nel proprio salotto di casa, non si vergogna di trovare moleste le loro voci (troppo nasali, troppo lamentose, troppo chiare, troppo profonde, troppo metalliche, e comunque tutte troppo alte), di detestare la loro fame di panini al prosciutto, lo scricchiolio dei giornali che leggono, il loro tirar su col naso, le loro cosce grosse, il loro odore.
La sua professione la mette in contatto con molte persone, ma lei è tenuta a riportare solo le opinioni e le idee degli altri. Quello che pensa, deve tenerlo per sé. Non ce la fa più a sopportare tutte quelle ciance. Quando deve tradurre il blablà tedesco in francese, sempre più spesso avrebbe voglia di urlare al microfono: senti, bello, cerca di venire al dunque, OK? Anche se bisogna dire che quelle chiacchiere le permettono comunque di tirare il fiato, di prendere la rincorsa per le frasi più impegnative.
Sylvie Schenk