Questo gioco con le storie del passato li unisce e li divide allo stesso tempo, distribuisce le figure, concatena gli elementi remoti in un tutto unico ben connesso. Ed è allora che compare anche lei, quella patria mai vista, il paese dei suoi genitori.

Il muro di vetro, di Vladimir Tasić, Edizioni Ensemble 2017, traduzione di Anita Vuco, pagg 282

Il complesso romanzo dello scrittore serbo Vladimir Tasić presenta una storia che si arricchisce man mano, una stratificazione di livelli – come in un video gioco, e non a caso; capirete perché – che aumentano di complessità, fino a definire un quadro dove, dalle vicende personali di un nucleo familiare, ci si allarga alle vicende di una nazione, la Serbia, passando attraverso un intricato puzzle di stampo spionistico. Perché il legame tra i protagonisti e il loro passato con le complesse alchimie tra depistaggi e affaires di servizi segreti, sono strettamente connessi e coinvolgono, determinandone la crisi, i protagonisti, di cui mai sappiamo i nomi, ma semplicemente i ruoli nel menage familiare: il ragazzo, il padre del ragazzo, la madre del ragazzo.

La storia prende avvio dalla crisi matrimoniale tra i due genitori; una dolorosa separazione che ha origine nell’allontanamento causato dalle vicende legate alla morte della sorella della madre. E che risiede nel complesso quadro politico della Serbia, negli anni della Jugoslavia, delle guerre balcaniche, a scendere fino ad un recente passato. Crisi che aveva già un terreno fertile nelle difficoltà della coppia che, da Novi Sad in Serbia, si è trasferita in Canada. Alla ricerca di una nuova vita, di nuove opportunità devono fare i conti con le mille difficoltà di inserirsi nella società, di trovare un lavoro, di vedersi accettati. E, al contempo, di sfuggire alla rete di compatrioti nostalgici che, seppur sembrano desiderosi di aiutarli, in realtà, intendono controllarli e guadagnarli alle loro idee politiche in merito al futuro della Serbia.

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Novi Sad

La nascita del bambino e un temporaneo riavvicinamento tra i due, vengono travolti dalle vicende legate alla sorella della madre, una giornalista controcorrente, corrispondente delle guerre balcaniche, che ha osato puntare il dito contro i potenti. La giornalista viene ritrovata morta in un appartamento, il petto squarciato da un colpo di fucile. Viene chiusa l’inchiesta in modo ambiguo, ascrivendo la morte ad un caso di suicidio. Una farsa, ovviamente, che la protagonista non accetta e che diventerà una specie di ossessione, nel volere andare a fondo delle reali cause della morte. A costo di infilarsi in qualche pericoloso affare, e a costo di decretare la fine del suo matrimonio.

Superstite e testimone inconsapevole del tracollo della coppia, ma soprattutto dell’intricato incastro spionistico e politico che incombe sulla storia familiare, il bambino cresce assorbendo la tensione che altera i rapporti tra i genitori, il senso di insicurezza e pericolo legato al clima di sospetti e supposizioni che, come un castello di auto-reclusione, avvolgono la madre e che lui può solo osservare come attraverso un muro di vetro. Da qui il suo non volere crescere, il volere rallentare il tempo, per rimanere in una zona franca di affetti che rassicurano, di non volere affrontare un precipizio pauroso che può trascinare in una caduta rovinosa verso verità dolorose, incancellabili. Ma, nello stesso tempo, una sete insaziabile di informazioni, di risposte alle domande che, crescendo, assillano i suoi pensieri. Nel suo tentativo di capire cosa avviene davanti a lui, ma soprattutto cosa c’è dietro di loro – il passato, parole in un’altra lingua, un paese che sente nominare prima con un nome, poi con un altro, i nonni lontani, cibi diversi – il ragazzo cerca di mantenersi in bilico tra l’affetto che nutre per ciascuno dei genitori, con in quali lui stesso agisce ruoli diversi.

Il padre crede che loro due, il ragazzo e lui, vadano d’accordo, nonostante tutto. Pensa che stiano facendo ciò che i padri fanno con i figli, padri-immigrati e figli del nuovo mondo. Gli ha comprato la palla e il grosso guanto in pelle da baseball; di tanto in tanto vanno a vedere anche le partite. Qualcosa di fondamentale continua comunque a mancargli.

La madre ha nei suoi confronti un atteggiamento molto protettivo sia verso i pericoli legati all’adolescenza, ma soprattutto verso ciò che il ragazzo fa quando è col padre, apparendo, spesso, soffocante. Del resto, nonostante gli sforzi di entrambi i genitori, il ragazzo non può del tutto distaccarsi da ciò che ha alle spalle, perché:

Ogni cosa si perpetua, inconsciamente, mentre ci illudiamo che siamo capaci di compiere dei passi completamente nuovi e invece ci infossiamo da soli nelle orme del passato.

Il romanzo si addentra nelle complesse e sanguinose vicende della Jugoslavia di ieri (espressione cara alla traduttrice Anita Vuco, croata di nascita, che potete conoscere in questa esaustiva intervista), e della guerra degli anni Novanta. La giornalista di cui si parla nel romanzo è realmente esistita: si tratta di Dada Vujasinović, che sotto il regime di Milošević, nel 1994, fu assassinata e la sua morte liquidata come “suicidio”.

Vladimir Tasić è un romanziere, saggista e narratore serbo che dal 1988 vive in Canada dove insegna matematica all’Università di New Brunswick. Finora ha pubblicato varie raccolte di racconti, tre romanzi e numerosi saggi. Ha avuto diversi riconoscimenti, tra cui il NIN, il più prestigioso premio letterario serbo. Le sue opere sono state tradotte in inglese, spagnolo, tedesco, francese, slovacco, sloveno, macedone e cinese. Il muro di vetro, già tradotto in francese, è il suo primo libro pubblicato in Italia.

Qui potete leggere l’incipit.