So che il rinnegare è una variante poco appariscente del tradire. Dall’esterno non si capisce se qualcuno rinnega o si comporta soltanto con discrezione, usa riguardo, evita situazioni spiacevoli o moleste. Ma chi non si dichiara apertamente sa bene di cosa parlo. E il fatto di rinnegare priva la relazione delle sue fondamenta più solide tanto quanto le varianti spettacolari del tradimento.
Il lettore, di Bernhard Schlink, Neri Pozza editore 2018, edizione originale 1995, traduzione di Chiara Ujka, pagg 206
Conosciamo subito il protagonista, Michael Berg: è lui la voce narrante, ormai uomo maturo, che ripercorre la sua storia da quando, quindicenne, avviene l’incontro fatale della sua vita.
Il romanzo prende avvio nella Germania degli anni Cinquanta, appena uscita dal disastro della guerra e in via di ricostruzione, non solo materiale, ma anche, o meglio, soprattutto, morale, per superare i crimini e gli orrori legati all’Olocausto.
In quell’autunno si ammala: l’avvisaglia dell’itterizia che lo costringerà in casa fino alla primavera successiva, è un attacco di vomito, che avviene, incontrollabile, su un marciapiede, dove viene soccorso da una donna che, dopo averlo ripulito, lo riaccompagna fino a casa. Una volta ristabilito, sembra d’obbligo tornare dalla signora per ringraziarla, ma l’incontro con questa donna dal fascino particolare, diventerà la sua ossessione. Michael rimane ammaliato da Hanna, dalla naturalezza con cui si lascia osservare mentre indossa le calze e sembra già stabilire un’intimità tra loro. È con lei che Michael si lascia alle spalle l’adolescente insicuro per scoprire che può amare come un uomo.
Nella notte che seguì mi innamorai di lei. (..) Mi innamorai forse di lei per ricompensarla di essere venuta a letto con me? Ancora oggi, dopo una notte con una donna, provo la sensazione di essere stato viziato e di dovermi sdebitare – con lei, cercando di amarla, e col mondo in cui mi trovo.
Il loro diviene un rapporto intenso, travolgente; per Michael, fatto di scoperte continue: del suo corpo, delle sue sensazioni, del piacere che riceve e che dà, di ripensamenti legati alla non convenzionalità di un legame tra un ragazzo quindicenne e una donna trentenne, di quanto questo possa essere ritenuto riprovevole dalla società. Per Hanna, che non sembra aspettarsi nessun futuro e dunque non avanza pretese, la relazione vive solo nel presente e al suo amante chiede solo di diventare un lettore: prima di fare l’amore, vuole che Michael legga a voce alta per lei pagine di romanzi.
Dopo alcuni mesi, Hanna sparisce e Michael si arrovella sui suoi ipotetici errori, sul fatto di averla tradita tenendo nascosta ai suoi amici la sua presenza, sul non essere stato capace di amarla come forse lei aveva bisogno.
Passano gli anni, Michael frequenta la facoltà di Giurisprudenza e deve seguire, per conto del suo professore, un processo di revisione dei crimini nazisti. Nell’aula di tribunale, al banco degli imputati, c’è proprio lei, Hanna.
Sulla trama, da questo punto in poi, non posso dirvi niente di più, per non rovinare la lettura. Quello che mi interessa, invece, mettere in risalto sono i risvolti legati alla vicenda di Hanna e alle riflessioni sulla compromissione col passato nazista che riguardava una grande maggioranza dei tedeschi e che causò, alla fine degli anni Sessanta, le dure contestazioni giovanili. Ecco le considerazioni di Michael:
A volte penso che il confronto con il passato nazionalsocialista non fosse la causa, ma solo l’espressione del conflitto generazionale, la vera forza propulsiva del movimento studentesco. Le aspettative dei genitori, dai quali ogni generazione deve liberarsi, venivano facilmente liquidate con la considerazione che quei genitori avevano fallito durante il Terzo Reich o, al più tardi, dopo la sua fine. Come potevano dire qualcosa ai loro figli le stesse persone che avevano commesso i crimini nazisti, o erano rimaste a guardare o avevano distolto lo sguardo, o avevano tollerato o addirittura accettato i criminali in mezzo a loro dopo il 1945? Ma, d’altro canto, il passato nazionalsocialista era un tema cruciale anche per quei figli che non potevano o non volevano rimproverare nulla ai propri genitori. Per loro il confronto con l’epoca del Terzo Reich non incarnava un conflitto generazionale, ma era l’unico e vero problema. (..) Puntare il dito contro i colpevoli non liberava dalla vergogna. Ma aiutava a superare la sofferenza. Convertiva la sofferenza passiva della vergogna in energia, attività, aggressione. (..) La destituzione dei genitori era solo retorica, rumore, chiasso, necessari per coprire il fatto che l’amore verso di loro ci coinvolgeva irrimediabilmente nella loro colpa?
Schlink, attraverso le riflessioni del suo personaggio, e la sua complessa storia d’amore con Hanna, ci offre il punto di vista di un’intera generazione che, seppur nata dopo la guerra e dopo l’Holocausto, sentiva sulle proprie spalle tutto il peso delle colpe dei propri padri e doveva in qualche modo riuscire a superarlo, per rifondare se stessi e il proprio paese.
Il romanzo è molto coinvolgente; i capitoli perfettamente concatenati e la sospensione che aleggia sulla vicenda, prendono il sopravvento e inducono a girare continuamente pagina per addentrarsi sempre più alla ricerca del senso di una storia che, fin da subito, appare carica di presagi.
Da esso è stato tratto un film, che ha collezionato numerosi premi, tra cui l’Oscar come migliore attrice di Kate Winslet nei panni di Hanna.
Bernhard Schlink (Bielefeld, 6 luglio 1944) è uno dei maggiori scrittori tedeschi contemporanei. Ha esercitato la professione di giudice presso la Corte Costituzionale della Renania Settentrionale-Vestfalia sino al 2006. Nel 2006 è stato ordinato professore di Filosofia del diritto presso la prestigiosa Humboldt Universität di Berlino. È autore di una raccolta di racconti, Fughe d’amore (Garzanti 2002), e di numerosi romanzi tra i quali I conti del passato (Garzanti 2004), L’inganno di Selb (Garzanti 2005), L’omicidio di Selb(Garzanti 2004), La nostalgia del ritorno (Garzanti 2007), Il fine settimana (Garzanti 2010) e Olga (Neri Pozza 2018).
Qui potete leggere l’incipit. E qui trovate la mia recensione al romanzo “Olga“.
Ottimo post. Del resto, da te non mi aspettavo niente di diverso.
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ho letto recentemente il romanzo mentre avevo visto il film una decina d’anni fa e poco mene ricordavo. Di solito quando mi capita che il film preceda nella mia personale cronologia il libro la lettura mi risulta deludente. Non è questo il caso, anzi il film mi ha aiutato a dare un volto credibile alla protagonista. una delle poche cose che ricordavo della pellicola era il viso “chiuso”, enigmatico di Kate Winslet, bravissima.
il romanzo è potente per intreccio, sviluppo dei personaggi e per i quesiti che pone.
la prima persona aiuta molto a fare propri i dubbi del protagonista e a condividerne le scelte, gli uni e le altre piuttosto insoliti ma sempre credibili.
ml
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Grazie per questo commento che fotografa perfettamente il romanzo
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Bellissimo, grazie per il suggerimento! Buona serata, Elena
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Grazie, buon fine settimana
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Grazie per tutti questi eccellenti suggerimenti. Eccellenti e per me nuovi, quindi graditissimi
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grazie a te per esplorarli! e buone letture
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Ciao, Pina. Hai riportato alla mente il bel romanzo di Bernard Schlink, ora ritradotto in italiano per Neri Pozza.
Io l’ ho letto ( forse nel 1998) nella edizione Garzanti, tradotto da Rolando Zorzi, che gli aveva dato il titolo ” A voce alta”, molto suggestivo e, sembra, aderente al significato letterale di “Vorleser” come di colui che legge a voce alta di fronte a qualcun altro.
Romanzo suggestivo, composito e ricco di temi. Non altrettanto ho apprezzato il film, per varie ragioni. Prima di tutto perchè, necessariamente, il tema ” etico” – è giusto salvare qualcuno, rivelando qualcosa che la persona in questione non vuole rivelare?- viene compresso. Poi perchè la sceneggiatura ” inglese” è decisamente assurda : usare in bella vista un testo scritto in inglese in cui la protagonista tedesca legge in tedesco è davvero molto irritante. Non c’ è Kate Winslet che tenga! Tu, comunque, brava come sempre! . Ciao.
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Grazie, Renza, per questo commento molto acuto. Per quanto riguarda il titolo, anch’io trovo che “A voce alta” sia più centrato, sia rispetto all’azione di leggere a voce alta che, si scopre avanti nel romanzo, non è legata soltanto al protagonista, sia per l’effetto evocativo della locuzione. Il romanzo ha un notevole spessore e contiene davvero molti quesiti e spunti di riflessione.
Il film, come spesso accade, delude rispetto al libro, perché, come dici bene, non riesce a rendere la profondità dei temi insiti alla storia.
Ciao, e buone letture
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