È doloroso scrivere. Me ne rendo conto dopo mesi che mi son messo all’opera. Fa male alla mano e all’anima. L’uomo non è fatto per questo lavoro, e poi, a cosa serve? A cosa mi serve? Se Clémence fosse stata accanto a me, non avrei mai scarabocchiato tutte queste pagine, nemmeno con la morte di Bella di giorno e il suo mistero, nemmeno con la morte del piccolo bretone, che mi ha lasciato un’ammaccatura da qualche parte, sulla coscienza. Sì, la sua semplice presenza sarebbe bastata ad allontanarmi dal passato e a fortificarmi. In fondo, è per lei e per lei soltanto che scrivo, per fingere, per ingannare me stesso, per convincermi che è ancora ad aspettarmi, ovunque sia. E che sente tutto ciò che devo dirle. pag. 178
Le anime grigie, di Philippe Claudel, Tea edizioni 2007, traduzione di Francesco Bruno, pagg 217, copertina di Amir Bajrich
Dopo che “Profumi” mi ha fatto scoprire questo autore francese, ho deciso di addentrarmi in quello che è il suo romanzo più conosciuto, almeno in Francia, dove è osannato come una delle migliori opere letterarie degli ultimi cinquant’anni. Ora che l’ho letto, posso dire: a ragione, almeno per me. “Le anime grigie” è un romanzo profondo, di quelli che indagano pazientemente nell’anima delle persone, che cercano di arrivare alla verità dei fatti ricostruendo tassello dopo tassello gli avvenimenti ma soprattutto le personalità, l’ambiente, i condizionamenti.
Il libro si apre come un giallo; partendo da un fatto di cronaca, l’uccisione di una bambina di dieci anni, l’io narrante, un poliziotto che ha vissuto in diretta il Caso, a distanza di vent’anni prova a ricostruire gli avvenimenti, mettendo insieme i suoi ricordi e le testimonianze che aveva raccolto all’epoca dei fatti e poi in periodi successivi. Perché quel delitto, apparentemente risolto, in realtà è rimasto a lungo imputato ad un falso colpevole.

Il delitto avviene nel 1917, quando la Francia è in piena Prima guerra mondiale. Teatro del fatto è un paese – mai nominato – situato nel nord est della Francia, vicinissimo al fronte di guerra. La guerra si fa sentire minacciosa, incessante nel tambureggiare dei cannoni, in un orizzonte avvolto dal fumo e dall’odore acre della polvere da sparo. È una presenza che si materializza nelle centinaia di soldati che transitano in tristi convogli diretti alla morte; si palesa nei militari feriti che vengono portati alla clinica del paese per ricevere le prime – in molti casi, le ultime – cure. Il paese è come protetto dalla presenza di una fabbrica che intuiamo impiegata a sostenere lo sforzo bellico, poiché gli uomini del paese, anziché essere inviati al fronte, rimangono lì, a lavorare nello stabilimento, e per questo sono preda di sentimenti contrastanti: da un lato felici di non dover affrontare le crudeltà dei conflitti, dall’altro presi dal senso di colpa quando vedono sfilare le colonne di giovani soldati che vanno incontro al loro destino.
E qui sta il primo rimarchevole pregio del romanzo, quello cioè di sapere costruire sapientemente l’atmosfera che si respira in quel tempo e in quel luogo, uno spaccato di umanità minacciata dal conflitto, anche quando non lo vive direttamente, ma che si sa essere appena al di là del confine del proprio abitato.
Un altro aspetto che mi ha colpito è la capacità di descrivere una galleria di personaggi numerosa e variegata, dando a ciascuno quella profondità fatta di mille particolari, di comportamenti, di vizi e virtù che danno sostanza, che fanno vedere al lettore una persona come se l’avesse davanti, ne sentisse la voce, ne osservasse gli atteggiamenti. L’io narrante, come dicevo, è un poliziotto, quindi ha per suo mestiere ed inclinazione un forte spirito d’osservazione, un senso critico indagatore che gli permette di non fermarsi mai alle apparenze, di porsi sempre domande e coltivare dubbi, anche quando le verità sembrano lampanti. È uno spirito analitico, che non trascura i dettagli perché ha la convinzione che sia proprio mettendo in relazione dettagli apparentemente insignificanti o non relazionati direttamente ai fatti, che ci si può avvicinare alla verità.
Il romanzo ci riporta indietro nel tempo non solo situando la vicenda nel passato, ma rendendola credibile attraverso il linguaggio con cui si esprime il protagonista, i dialoghi, e un modo di sentire e comportarsi afferenti all’epoca. È un grande affresco in cui l’umanità che lo popola emerge coerente a se stessa, nel bene e nel male; un’umanità fatta di singoli individui, le anime grigie:
Carogne, santi, non ne ho mai visti. Niente è tutto nero o tutto bianco, è il grigio che la vince. Idem gli uomini e le loro anime… Sei un’anima grigia, graziosamente grigia, come noi tutti… pag. 103/104
Claudel scrive dunque non tanto o non solo un giallo – un po’ alla Simenon –, sebbene la componente sia ben presente, ma una grande storia; una storia che prende avvio da un delitto per restituire un quadro più ampio, riprendendo in mano i fili che hanno tessuto ogni singolo evento e tratteggiando un’umanità che ha cullato in sé il bene e il male che ha condotto a quel fatto. Conosciamo tutto attraverso lo sguardo malinconico del protagonista, anche lui ammaccato dagli scossoni della vita, anche lui provato nell’intimo, anche lui né buono né cattivo, semplicemente umano. Attraverso il suo sguardo, i suoi ricordi, in un alternarsi di presente e passato, ci avviciniamo pian piano alla vicenda centrale, ruotando lo sguardo per vedere tutto ciò che le stava attorno, le persone, i luoghi, gli umori, la guerra, le malvagità e le elevatezze. Percorriamo il racconto che si muove come un pendolo oscillando tra la vita e la morte, in un lento decrescendo di movimento, fino a fermarsi in un punto dove esse trovano un equilibrio.
Claudel, oltre che scrittore e docente universitario, è anche sceneggiatore e regista, e il taglio cinematografico è percepibile nel romanzo. Lo si apprezza nella descrizione dei paesaggi brumosi e degli scorci del paese, nelle scene corali, così come nello sguardo sui personaggi, che vediamo restringersi come se una cinepresa li stesse mettendo a fuoco, partendo da lontano e poi avvicinandosi sempre più. Dal romanzo è stato in effetti realizzato un film, diretto dal regista Yves Angelo e con la sceneggiatura di Claudel.
Mi riprometto sempre di non leggere più gialli (ho abusato del genere), ma tu mi tenti con le tue accattivanti recensioni di “gialli che non sono solo gialli” (vedi Cucinare un orso). Tra l’altro, ho visto che è disponibile nella mia biblioteca, quindi mi sa che non ho scampo XD. Grazie della dritta e buone letture!
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Vedrai, merita!
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