Si metteva a urlare a squarciagola in direzione del recipiente che gli rispondeva con un’eco. (..) il contenitore gli strillava di rimando “Bornholm, Bornholm”. Sai, mamma, mi viene da pensare che questo luogo, quest’isola, agisca su coloro che vi sono nati a mo’ di eco. Lontano da qui, ovunque ti trovi, si ripercuote come un’eco nel tuo cuore e finisci per tornarci, anche se a questo luogo sono legati i tuoi peggiori ricordi. (..) Un’altra volta invece mi è capitato di pensare che non sei tu che mi attiri e non mi lasci vivere, ma è l’isola. È di lei che non riesco a liberarmi, perché è come un’eco che ritorna. O torni tu o torna lei. (..) Chi è nato su quest’isola non ha scampo, tutt’al più può provare a fuggire su un’altra isola, ma anche così non funziona fino in fondo.

Arrivò il tempo di staccare le teste, di Hubert Klimko-Dobrzaniecki, Keller editore 2019, traduzione di Marzena Borejczuk, pagg. 305

Bornholm
Isola di Bornholm, Danimarca

 

Confesso che la prima cosa che mi ha colpito di questo romanzo è il titolo; ditemi che anche voi non siete curiosi di capirne il significato? Come frase è piuttosto inquietante e probabilmente è stata scelta proprio per creare quest’effetto calamita. È effettivamente presente all’interno del romanzo, in un momento particolare; ha un suo perché, ovviamente, ma non mi pare così identificativa da utilizzarla come titolo. Capisco che il titolo originale, “Bornholm, Bornholm” – il nome dell’isola* danese su cui si svolge parte della storia -, poteva non “parlare” al lettore italiano; personalmente, mi avrebbe incuriosito quel tanto che basta a voltare il volume alla ricerca della sinossi. Comunque, al di là delle scelte editoriali, al di là del titolo, anche in questo caso Keller ha tradotto un romanzo molto piacevole e ben scritto.

La costruzione narrativa è tale da conferire all’opera un bel ritmo: il racconto procede alternando, di capitolo in capitolo, due punti di vista. In un filone, seguiamo la narrazione in terza persona delle vicende di un professore tedesco di biologia, a partire dal periodo a ridosso della Seconda guerra mondiale, con l’invasione tedesca di Danimarca e Polonia, e poi nel corso della guerra stessa. Nell’altro filone, la narrazione è in prima persona; è una lunga confessione, da parte di un ragazzo danese originario di Bornholm, che parla al capezzale della madre in coma. Naturalmente le due vicende hanno dei punti in comune, ma questo lo si scoprirà man mano procedendo negli sviluppi dell’intreccio.

 

La prima impressione, dopo avere letto qualche capitolo, è che si tratti di una storia piuttosto cruda, un po’ brusca, raccontata – in entrambe i filoni – senza reticenze né abbellimenti. Eppure, emerge subito l’enorme carico emotivo che pesa sui due protagonisti. La verità è che le due storie sono raccontate con profonda sincerità, senza nascondere neanche i pensieri meschini, le pulsioni, o certi aspetti un po’ al limite del morboso. Forse è per questo che questo libro ti prende, perché chi parla non gioca a nascondino, si mette totalmente a nudo.
Hubert Klimko-Dobrzaniecki lascia che i due protagonisti lottino con la loro realtà difficile, le proprie debolezze, con i sogni non realizzati, le perdite, le delusioni. Ma è bravo a non lasciarsi guidare dal sentimentalismo, mantiene una sana distanza dalla situazione, e allo stesso tempo mette il lettore nella condizione di leggere con il cuore e con la mente. I personaggi principali sono gli uomini, e i loro rapporti con le donne delle loro vite. Donne-madri possessive fino al punto da diventare ossessive e tossiche. Donne-madri-mogli con cui i rapporti sono difficili, talora totalmente non comunicativi, estranei. Donne che rappresentano solo un modo per sfogare la propria sessualità. Raramente donne con cui stabilire dei rapporti profondi. E questo è un quadro piuttosto disincantato dei rapporti, ma sicuramente offre molti spunti di riflessione.
Le due storie sono unite dall’isola di Bornholm. Il professore tedesco di biologia, richiamato come militare durante la guerra, viene mandato sull’isola, con un incarico piuttosto farraginoso, ma almeno non pericoloso.  Lascia a casa la moglie – con cui vive un rapporto ormai sterile – e i due figlioletti. L’altro protagonista, il ragazzo nativo dell’isola, dalla quale era fuggito per andare in UK, vi fa ritorno per assistere la madre in coma. Vuole raccontarle la sua vita. Ora può farlo onestamente, può permettersi rimproveri a lungo nascosti. Sua madre lo amava con amore possessivo, esclusivo e soffocante.  Lui nutre sentimenti contrastanti, la ama e la odia.

Arrivò il tempo di staccare le teste” è un quadro sincero e diretto dei rapporti familiari. Le famiglie in cui è difficile vivere, che limitano, non consentono di sentirsi liberi. Che, invece di essere solidali e di sostegno, diventano un peso. Horst e sua moglie si stanno allontanando sempre di più l’uno dall’altro. L’amore è finito. O forse non c’è mai stato?

Come funzionava quella cosa dell’amore, e come si faceva a capire se era amore vero? Lo decideva il tempo? Per amare occorreva un motivo o si amava nonostante tutto? O forse l’amore non era che una mera invenzione degli scrittori, dei poeti e di altri simili dementi, i quali scodellavano un mucchio di fesserie e le cui opere Horst trovava indigeribili? Da che ne aveva memoria, non ricordava di aver mai considerato il suo rapporto con la moglie in quel modo.

 

Due narrazioni, due storie intrecciate con un filo invisibile che sembra tessuto dal caso o dal destino. I protagonisti si mostrano in uno stato di costante tensione. Combattono contro gli istinti, i desideri, le emozioni. Lottano per la dignità, per il diritto di decidere la propria vita. A volte sembrano in preda alla solitudine, allo sconforto; altre fanno ricorso all’ironia per combattere, ma poi trovano in se stessi la forza di superare anche le difficoltà peggiori. Forse, con questo romanzo, l’autore vuole semplicemente dirci che le risposte alle domande poste le possiamo trovare solo in noi stessi.

 

Hubert Klimko-Dobrzaniecki è nato nel 1967 a Bielawa, nella Bassa Slesia.
Ha studiato Teologia, Filosofia e Filologia islandese, si è laureato alla Facoltà di Radio e Televisione Krzysztof Kieślowski presso l’Università della Slesia a Katowice. È scrittore e regista, autore di romanzi, racconti, libri per bambini e cortometraggi. Ha pubblicato due raccolte di poesie in lingua islandese, volumi di racconti e romanzi; per i tipi di Keller editore ha esordito in Italia con La casa di Rosa.
È stato nominato per i premi Nike, Paszport Polityki (di cui è stato finalista), Cogito, Angelus, Silesian Laurel Literary, nonché per il Premio dell’Unione Europea per la letteratura.
I suoi libri sono stati tradotti in 12 lingue. Nel 2007 si è trasferito da Reykjavík a Vienna.

*è un’isola della Danimarca situata nel mar Baltico a circa 160 km a est di Copenaghen e circa 37 km al largo della costa svedese.
L’arcipelago di Christiansø (Ertholmene) è il più orientale della Danimarca.

Qui potete leggere l’incipit