Ero felice? Eravamo felici? Ancora oggi non saprei rispondere. Al mio taccuino, anche quell’estate del 1972, consegnavo pezzi dei miei tredici anni, galoppando dentro le pagine con una foga violenta. Avevo sete di vedere, di capire. Ma non sapevo di preciso cosa. Il tempo trascorreva più velocemente, grazie a quel contatto segreto con me stesso. Mi piaceva scrivere, e il mio quadernetto dalla copertina blu a quadretti verde scuro era molto più che un diario. (pag. 33)

Il silenzio dei giorni, di Rosa Maria Di Natale, Ianieri edizioni 2021, pagg. 152

È da pochi giorni in libreria per i tipi di Ianieri Edizioni – casa editrice abruzzese – il romanzo d’esordio della giornalista Rosa Maria Di Natale, liberamente ispirato ad un episodio di cronaca avvenuto nel 1980 in provincia di Catania – noto come “Il delitto di Giarre” – in cui due giovani omosessuali furono trovati morti, in circostanze mai del tutto chiarite. Chiaro appare, invece, il contesto di odio e rifiuto in cui le morti avvennero e che portarono alla fondazione del primo nucleo di militanti gay e, l’anno successivo, a Palermo, alla prima Festa nazionale dell’orgoglio omosessuale.

L’autrice che all’epoca dei fatti era bambina, si era poi imbattuta successivamente in questa terribile vicenda, un delitto rimasto senza colpevoli. L’immagine di questi due ragazzi ritrovati morti ai piedi di un albero nella campagna etnea, ancora abbracciati, rimase a lungo scolpita nella sua mente, fino a spingerla alla scrittura del romanzo che oggi possiamo leggere.

Il protagonista e narratore è Peppino Giunta, siciliano di nascita e milanese d’adozione, che, nello spazio di una notte, racconta il suo drammatico vissuto al capo della redazione dove lavora come correttore di bozze. Durante questa lunga notte, scandita da caffè e confidenze, Peppino ripercorre la sua storia familiare, ricostruendo sia il clima di quegli anni, che i fatti che segnarono in modo indelebile la sua coscienza. Quello che accadde durante la sua adolescenza è un peso che si è portato sulle spalle per decenni; peso gravato da incomprensioni, lutti e segreti tenuti nascosti che ora, persi tutti gli affetti, è deciso a rendere pubblici.

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L’ambientazione del romanzo si svolge nel paese – nome di fantasia – di Giramonte; siamo nella provincia siciliana degli anni Settanta, una provincia attorniata dalle coltivazioni di aranceti, dove la vita scorre lenta e sempre uguale, dove ogni aspetto è regolato dai ritmi della natura e dalle tradizioni ancestrali che si tramandano di generazione in generazione e che ruotano attorno a due perni: l’onore e la terra.

Saverio e Peppino Giunta sono due fratelli adolescenti, figli di Michele, agiato possidente agricolo e di Angela, madre casalinga, schiva ma silenziosamente attenta alle vicende familiari. Il ruolo della donna, in quegli anni e in quella società, era legato all’accudimento della famiglia e al mantenimento del nome onorato del marito.

La nomina, rosario quotidiano della vita giramontese, credo laico di una fede professata da molti, passatempo innocente di signore e signorine, non era solo una fissa di mio padre. Quando qualche volta ascoltavo annoiato i discorsi degli operai, la nomina era l’asse portante alla quale i dialoghi si aggrappavano disperatamente, così da non dover mai cambiare strada. (pag.36)

Le decisioni, di qualsiasi tipo, erano prerogativa del marito che nel suo ruolo di padre padrone, decideva della vita e del futuro dei figli. Saverio finisce le medie con ottimi risultati e per lui arriva il momento di proseguire gli studi nella distante Catania, metropoli più moderna e – almeno per i giramontesi – decisamente immorale. Ma suo padre Michele ha già pianificato per i suoi figli un futuro da padroni dei suoi agrumeti finalmente in espansione e gli studi gli appaiono non necessari se non controproducenti.

Mentre Saverio attende di sapere quale sarà la decisione del padre in merito al suo futuro, conosce in paese un giovane omosessuale che lavora presso la sartoria dello zio. Oggetto di scandalo e bersaglio di crudeli atti di aggressione verbale, Matteo trova solo Saverio a difenderlo e, riconoscente, gli offre la sua amicizia. Matteo, che viene da Catania, inizia a frequentare Saverio, invitandolo ad andare al mare – di nascosto dal padre, ma non da Peppino – con i suoi amici. In quegli anni, in quella realtà provinciale, andare al mare era già di per sé un atto di perdizione, figuriamoci farlo in compagnia di un ragazzo dichiaratamente omosessuale. Scoperto dal padre, Saverio, insieme alle botte e agli insulti, vedrà sfumare il rispetto del padre e i suoi sogni di un futuro diverso.

Matteo sapeva che Saverio era la persona giusta da invitare a Catania e che bisognava fare poco o nulla per convincerlo, e Saverio riconosceva quel magnetismo come il giusto contrappeso alla sua cocciuta vitalità. Si erano ritrovati, come se si conoscessero da molto tempo, o come se si fossero persi per un pezzo per poi rivedersi come nulla fosse. Come sarebbe accaduto tra due fratelli o anche molto, molto di più. (pag.87)

Il silenzio dei giorni è un romanzo che ritrae la vita e il modo di pensare di quegli anni con sguardo attento e partecipe – probabilmente attingendo anche all’esperienza personale dell’autrice -, mettendo in luce sia gli aspetti negativi che quelli postivi, ricreando le atmosfere e le tradizioni di una comunità saldamente legata al suo territorio. Quello dell’autrice è uno sguardo critico alle convenzioni sociali e ai tabù di una società rintracciabile nella provincia siciliana di cinquant’anni fa che per molti versi non esiste più, ma l’omofobia esiste ancora – non solo in quelle zone, purtroppo – così come certi modi di intendere i rapporti familiari e gli equilibri nella coppia.

Il punto forza di questa storia coinvolgente sta nel punto di vista del protagonista, nel suo rievocare – anche attraverso i quaderni/diario che teneva di nascosto da ragazzino– quegli anni in cui tutto appariva come un puzzle da decifrare, in cui la parabola del fratello – prima orgoglio, poi infamia per il padre – era il paradigma con cui avrebbe continuato a leggere la vita e le relazioni familiari. Ora che è un uomo maturo, che ha vissuto la sua vita distaccandosi da certe convenzioni e storture, è pronto ad alzare il velo di silenzio; il dramma che colpì i suoi affetti più cari ha continuato a macerare nella sua coscienza per anni, ora è finalmente libero dai retaggi del passato, può affrontare la terribile verità che gli era stata nascosta.

Attraverso i suoi ricordi, Peppino consegna al lettore, oltre al suo dramma personale, anche il ritratto di una società, di un’epoca, di un territorio che, all’ombra degli agrumeti, custodiva segreti e e tradizioni come tesori. La scelta di raccontare in prima persona, in forma di confessione/memoir, avvicina il lettore, pronto, come il caporedattore, a raccogliere una storia di vita dolorosa.

Qui potete leggere l’incipit.

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ROSA MARIA DI NATALE giornalista professionista, vive e lavora a Catania. Ha vinto il “Premio Ilaria Alpi” nel 2007 con una video-inchiesta autoprodotta. È stata docente a contratto di “Giornalismo, comunicazione e nuovi media” all’Università di Catania e ha pubblicato Potere di Link- Scritture e letture dalla carta ai nuovi media (Bonanno, 2009). Promuove e coordina Gruppi di lettura in presenza e sul web. Ha pubblicato racconti sulle riviste “Linus” e “Maltese Narrazioni”.