Io non ho mai portato foto con me. Però avevo sempre davanti agli occhi le persone, i luoghi, i momenti che non c’erano più. Mentre indietreggiavo davanti al futuro, vivevo guardando sempre solo al passato. Non perché la malinconia o la nostalgia fossero dolci, ma perché non riuscivo mai a restare a lungo nel presente, e il futuro era sempre spaventoso. A un certo punto mi sono reso conto di essere completamente immerso nel passato, che una volta trascorso non va da nessuna parte. Il mio tempo era finito, oppure si era fermato un attimo. Forse si sarebbe riavvolto per ricominciare daccapo, o io forse sarei rimasto chiuso fuori dal tempo in eterno. (pag. 20-21)

Tokyo-Stazione Ueno, di Yu Miri, 21 lettere 2021, traduzione di Daniela Guarino, pagg. 167

Sarà in libreria il 27 maggio il romanzo della scrittrice Yu Miri, vincitore negli Stati Uniti, nel 2020, del National Book Award per la narrativa in traduzione. Yu Miri, nata in Giappone da genitori sudcoreani, è molto nota nel suo paese; autrice di romanzi e saggi, i suoi romanzi sono stati tradotti anche in italiano. Il suo nuovo romanzo nasce dalle interviste che Yu Miri ha raccolto tra i senzatetto della stazione di Ueno, e dalla sua personale esperienza a riguardo delle discriminazioni di cui lei – come molti cittadini di origine sudcoreana – è stata vittima.

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Il romanzo di cui vi parlo oggi racconta, attraverso la storia di Kazu, il Giappone del passato e quello del presente. Quando il romanzo inizia, Kazu è ormai un fantasma, che si aggira nel parco della stazione Ueno* a Tokyo, dove ha vissuto da senzatetto gli ultimi suoi anni; anni in cui si è lasciato alle spalle il passato per vivere in solitudine ciò che la vita ancora poteva riservargli. Mentre si aggira nel parco insieme a centinaia di altri senzatetto, cercando di tirare avanti in qualche modo riparandosi in un accampamento di tende, ripensa alla sua vita, agli affetti che ha perduto, al duro lavoro che ha dovuto sopportare per mantenere la sua famiglia, alla solitudine di tanti anni passati lontano dal suo villaggio, passando da un lavoro all’altro.

Attraverso i suoi ricordi, facciamo un’immersione nella cultura giapponese, vista con gli occhi di chi è rimasto ai margini, sia negli anni del boom economico, che nella più complessa realtà economica attuale, potendo contare solo sul proprio duro lavoro. Kazu ci racconta le usanze, le feste, i riti funebri, il cibo, il buddismo; prendendo spunto dal parco stesso in cui vive i suoi ultimi anni, ci parla della Torre del Ricordo, il monumento in ricordo alle vittime – più di centomila – del Grande Raid aereo delle forze armate americane nel 1945; ma anche le gesta degli shogun, la fioritura lungo La via dei ciliegi ‘sakura’ , la strada principale che attraversa il parco di Ueno ed è famosa in tutto il Giappone. Ma anche il terribile maremoto (del 2011, causa scatenante anche dell’incidente alla centrale nucleare) a Fukushima. Ci racconta anche che suo figlio Kōichi è nato nello stesso giorno del figlio del Principe ereditario, una coincidenza che però non è stata di buon auspicio.

Ueno ciliegi

Kazu ha avuto anche una figlia ma ha trascorso poco tempo con loro e con sua moglie Setsuko: prima pescatore sulle coste della prefettura di Fukushima, poi manovale nei cantieri delle Olimpiadi del 1964 a Tokyo, di cui ha contribuito a costruire gli impianti sportivi, ma non ha mai assistito ad una gara. E poi, via via, tutti gli altri con cui ha mantenuto la famiglia.

Nonostante, dopo tanti anni, Kazu abbia fatto ritorno al suo villaggio, non è riuscito a rimanervi; i lutti che lo hanno colpito, hanno creato un malessere che lo spinge a tornare sui suoi passi, al parco di Ueno dove ha molto più in comune con chi là cerca un riparo.

Un tempo avevano una famiglia, e anche un lavoro. Non c’è nessuno che fin dall’inizio abbia vissuto in una casupola fatta di cartoni e teli azzurri, e nessuno è diventato un senzatetto per scelta. Se sono finiti in questa condizione, ci dev’essere stata qualche circostanza che ce li ha portati. (pag. 80)

Le persone che condividono con lui l’accampamento di misere tende vengono da esperienze varie: chi è rimasto vittima dei debiti, chi ha perso tutto durante la crisi finanziaria, chi ha un divorzio alle spalle che lo ha ridotto sul lastrico, i senzatetto in giacca e cravatta, sui quaranta-cinquant’anni che non riescono più a trovare un lavoro… un’umanità varia e dolente, disperata o rassegnata, che vive alla giornata mangiando alle mense per i poveri, raccogliendo lattine da rivendere ai punti di riciclo, o le riviste e i libri gettati nei rifiuti o dimenticati sulle panchine, da rivendere come usato.

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Un’umanità di cui la società poco si interessa, e di cui le autorità, seppur con apparente razionalità, cercano di nascondere l’esistenza in occasione di visite della famiglia imperiale, di inaugurazioni di mostre importanti o delle nuove olimpiadi da organizzare, tutti eventi mediatici dai quali questa umanità “stracciona” deve scomparire, in nome di un millantato benessere. E così Kazu e tutti gli altri, sono costretti, in pieno inverno, a impacchettare i loro poveri averi, depositarli in un luogo preposto, o portarsi appresso ciò che riescono, e vagare per la città, approfittando dei treni su cui si può stare al caldo, o di altri ripari di fortuna, stando attenti a non incappare nelle bande di ragazzini che si divertono ad aggredire e picchiare i senzatetto isolati.

Kazu continua ad aggirarsi nel parco di Ueno anche da morto:

Pensavo che una volta morto avrei rincontrato le persone morte. Pensavo che avrei potuto vedere da vicino coloro che se n’erano andati molto lontano (..) Pensavo che una volta morto avrei compreso qualcosa. Che in quell’istante avrei afferrato il significato del vivere e quello del morire. (..) E invece, quando me ne sono reso conto, ero ritornato in questo parco. Senza arrivare da nessuna parte, senza comprendere nulla, lasciando me stesso in balia di infinite domande. (pag.103)

La storia personale di Kazu diventa quindi il pretesto per una feroce critica sociale al mito del progresso giapponese fondato sulla cinica cura delle apparenze. Un atto di accusa allo sfrenato capitalismo nipponico, ancor più importante alla vigilia delle Olimpiadi che si terranno nel Paese asiatico e che l’autrice indica come una delle cause che hanno aumentato ulteriormente disuguaglianze e discriminazioni

Non ho fatto mai, nemmeno una volta, qualcosa per cui la gente potesse additarmi alle spalle. Semplicemente non sono riuscito ad adattarmi. Sono stato in grado di abituarmi a qualunque lavoro, ma alla vita stessa no. Né alle sofferenze della vita … né alla tristezza… e nemmeno alla gioia. (pag. 152)

Yu-Miri_Credit_Katsumi-Omori

Yu Miri è nata in Giappone, nella provincia di Kanagawa, nel 1968 da genitori coreani. Nel 1984 è stata costretta a lasciare il liceo, in seguito a episodi di discriminazione razziale, piuttosto comuni nei confronti dei coreani, considerati ancora “popolo nemico”. Dopo essere stata attrice nella compagnia teatrale “Tokyo Kid Brothers”, ha cominciato la sua attività di scrittrice componendo testi teatrali (nel 1993 ha vinto il Premio Kishida Kunio con Sakana no matsuri – La festa dei pesci). Autrice anche di saggi, Yu Miri, sorta di enfant terrible della letteratura, nonostante le sue critiche spietate alla società nipponica, ha conquistato il Giappone con i suoi romanziFull House (Premio Izumi Kyoka e Premio Noma Bungei nel 1996) e Scene di famiglia (Premio Akutagawa nel 1997), da cui di recente è anche stato tratto un film, hanno venduto ognuno più di centomila copie. I suoi romanzi tradotti in italiano: Scene di famiglia, Oro rapace, Il paese dei suicidi.

*Ueno è un quartiere situato nella zona nord-est di Tokyo. Qui si trova un enorme parco con all’interno uno zoo e molti musei. Il parco si trova nel centro di Ueno, che fa parte della zona popolare ‘shitamachi’ – letteralmente ‘città bassa’ –, considerata come l’antico cuore della città. Il parco di Ueno risale al 1873, all’inizio dell’epoca Meiji quando, tra i primi in Giappone, fu inaugurato come parco pubblico. Nel 1924, l’imperatore Taisho cedette ufficialmente alla città l’amministrazione del parco, al cui nome venne aggiunta la parola Onshi, ossia “donazione imperiale”. La via dei ciliegi ‘sakura’ è la strada principale che attraversa il parco di Ueno ed è famosa in tutto il Giappone: da sempre è uno dei luoghi più ambiti per godersi la fioritura ed è citata persino in un ‘haiku’ di Matsuo Basho. Centinaia di migliaia di persone giungono qui ogni giorno durante la stagione dei ciliegi in fiore, in genere da fine marzo a inizio aprile, per fare l’hanami (letteralmente “festa dove si guardano i fiori”).