Tutto era bello. Senza nessuno a cui dirlo, senza nessuno a cui mostrarlo, semplicemente e meravigliosamente bello.

Heaven, di Mieko Kawakami, Edizioni E/O 2021, traduzione di Gianluca Coci, pagg. 252

Dopo il successo di Seni e uova (di cui vi ho parlato qui), E/O pubblica il primo romanzo scritto dall’autrice giapponese Kawakami. Heaven è un ritratto crudo, doloroso e tenero della sofferenza adolescenziale; indaga l’esperienza e il significato della violenza e il conforto dell’amicizia.

Bullizzato per il suo strabismo, il protagonista quattordicenne subisce orribili atti di bullismo quotidiani da parte dei suoi compagni di classe maschi. Nello straziante primo capitolo del romanzo, lo colpiscono, lo deridono per il suo occhio pigro, lo obbligano ad ingerire il gesso e lo chiudono in un armadietto. Il ragazzino sembra avvezzo a questi tormenti. Dall’armadietto, dice con calma al lettore:

Non era la prima volta che mi rinchiudevano nell’armadietto delle scope. Quel buio e quell’odore di polvere mi erano familiari, ci ero abituato. Fermo, immobile, non pensavo a niente e mi mettevo a contare. (Pag. 29)

Nonostante la sua tenace resilienza, però, è chiaramente infelice. La sua vita familiare è silenziosa e soffocante, la sua vita scolastica tormentata; desidera ardentemente un’amicizia – che non ha mai avuto – un/una coetaneo/a con cui trascorrere del tempo, parlare, ma ha troppa paura per cercarli. Non c’è da stupirsi che, quando la sua compagna di classe – come lui emarginata e bullizzata dalle compagne – Kojima inizia a lasciare bigliettini sulla sua scrivania, la loro corrispondenza diventa la sua “unica fonte di piacere”.

Kojima, vittima dei dispetti delle coetanee per via della trasandatezza con cui si presenta a scuola, invita il ragazzino a un fitto scambio epistolare innocente e pieno di sogni, dove non c’è posto per l’angoscia del bullismo. Le lettere si susseguono a gran ritmo, riempiendo fino all’estremo la custodia del dizionario dove il ragazzino le nasconde, nonché diventando l’unico motivo di gioia delle giornate dei due ragazzi, che a scuola tendono a eclissarsi, anche agli occhi l’uno dell’altra. Ci sono molti segreti, cose che secondo la piccola e intelligente Kojima, non potranno mai essere comprese dai compagni di classe, i quali non sanno fare altro che sfogare le loro debolezze su di lei e sul suo amico.

Kojima crede fermamente che essere vittima di bullismo sia, come dice lei, un “segno”. In uno spirito tra il filosofico e il religioso, vede se stessa e il narratore come empatici designati; la loro sofferenza consente loro di “sapere esattamente cosa significa ferire qualcun altro” e li eleva a una comprensione superiore del dolore. Accoglie quella comprensione e accetta i suoi tormenti quotidiani come riti di purificazione.

L’autrice, nel condurre la narrazione, suggerisce al lettore che le convinzioni di Kojima sono, però, molto rischiose poiché trasforma l’idealismo in autolesionismo. Certo, è difficile biasimare Kojima per il suo tentativo di sublimare una realtà squallida e dolorosa, in cui nessun adulto sembra voler vedere e affrontare le violenze, ma non appare, alla fine, potere essere il vero aiuto per il protagonista, che avrebbe bisogno di un altro tipo di solidarietà. Il libro è pieno di scene di violenza magistralmente ambientate, scene di bullismo insensato così lucide che se ne percepisce tutto il dolore. Sono scene forti che possono turbare il lettore, questo va saputo prima di iniziare la lettura.

Il protagonista, anche se è affascinato da Kojima, non la capisce, e il bullismo lo fa precipitare in una depressione catatonica. Vorrebbe vedere il mondo attraverso la prospettiva di Kojima, ma non riesce, non può farla sua. Dall’altro lato, si confronta con uno dei compagni che fa parte del gruppo dei bulli, pur senza prendere direttamente parte alle azioni di violenza. Il suo punto di vista è il contraltare di quello di Kojima:

Quando dico “per caso”, tanto per capirci, voglio dire semplicemente che è così che va il mondo, che le cose funzionano in un certo modo e non tocca a noi cambiarle, perché non possiamo. E’ un sistema molto più grande di noi. In questo mondo, se ci pensi, tutto ciò che esiste è frutto del caso. La gente si affanna a cercare ragioni più o meno per tutte le cose, ci si inventa di tutto pur di dare una spiegazione a ciò che abbiamo davanti agli occhi e non solo. E comunque, che sia fittizia o meno, alla fine una ragione la si trova. Ma in realtà è solo per caso che le cose cominciano, e nessuno può prevedere più di tanto come e quando. (Pag. 169)

Il finale di Heaven non è un happy end in cui tutto si risolve, ma Kawakami lascia nel libro un po’ di speranza. I suoi capitoli finali sono rassicuranti senza perdere di vista la realtà ancora terribile del narratore. Promettono che il narratore, un giorno, avrà il futuro che, non molto tempo prima, sia lui che il lettore temevano che non si sarebbe mai concretizzato.