Erano ospiti della nostra casa viaggiatori provenienti da vari paesi, che narravano di mondi strani e favolosi, e avevano inflessioni della voce, dell’accento, fogge d’abiti, maniere che non mi erano familiari. Anche nel nostro giardino c’erano i “fiori viaggiatori”, come quei signori venuti in visita.
I crisantemi venivano dal Giappone, le rose da Babilonia, i lillà dall’Asia, la pianta del caffè, l’albero del pepe, i banani, le palme, numerosi nel giardino, dall’Africa; e molti altri ancora erano i fiori arrivati da lontano: le zinnie, le dalie, i tageti, i tulipani, che avevano la forma della cuffia della donna raffigurata sulle scatole di cacao Droste con in mano una tazza fumante. I “fiori viaggiatori” assomigliavano alle cartoline che ci inviava la signora di Son Batle ora dall’Asia ora dalle Americhe ora dall’Africa.

Guerra di infanzia e di Spagna, pag. 45

Guerra di infanzia e di Spagna, di Fabrizia Ramondino, Fazi editore 2022, pagg. 494, prefazione di Nadia Terranova, in copertina «Mäda Primavesi», Gustav Klimt, 1912

Approda oggi in libreria per i tipi di Fazi editore l’opera amata da Nadia Terranova di Fabrizia Ramondino, un romanzo di formazione che, mescolando l’esperienza autobiografica con i colori della fantasia, racconta l’infanzia di Titita, figlia del console italiano a Maiorca; la bambina è curiosa e innamorata soprattutto dei colori e della luminosità di un’isola rigogliosa, in un momento storico fatale, la guerra civile spagnola.

Il racconto prende avvio nel 1937 quando Titita e i suoi genitori si imbarcano a Napoli sulla nave che li condurrà nell’isola di Maiorca, per la missione diplomatica di cui il padre è incaricato. Giunta lì ancora in culla, Titita vivrà la sua infanzia in quel luogo, che sarà teatro della sua crescita, della sua personale guerra contro tutto e tutti per affermarsi, per diventare un’adulta con un carattere autodeterminato; alla sua guerra personale si sommano le cupe ombre della guerra civile spagnola i cui tragici eventi macchiano di sangue anche questo luogo che parrebbe idilliaco, così come quelle del conflitto mondiale che sconvolgerà il mondo.

La facciata della casa aveva la forma di una chiesa di campagna. La sormontava una croce. Al suo interno invece la pianta ricordava quella di un convento, con le stanze che affacciavano sul patio. E quella casa a forma di chiesa e convento, da cui mi venivano regole e cure, si opponeva al mondo del giardino nel quale crescevo come i fiori e le piante.

Guerra di infanzia e di Spagna, pag. 40

Il racconto minuzioso che Ramondino intesse si svolge sullo sfondo di un’isola che è prima di tutto luogo dell’anima, e la sua scrittura precisa e ricca trasporta il lettore in un viaggio meraviglioso nell’interiorità di Titita, ripercorrendo le tappe e le contraddizioni di un’infanzia che talora appare avvolta dalla magia sprigionata dall’incantato luogo in cui vive, talaltra ingarbugliata e tesa per le collisioni che la bambina vive con se stessa, con i suoi pensieri conflittuali, animati da sentimenti ed emozioni che si sviluppano su una vasta scala di gradazioni, una “guerra” personale, così come il titolo stesso del romanzo suggerisce.

Il rigoglioso giardino, pullulante di vita, piante, animaletti, insetti, un mondo vibrante di suoni, profumi, colori: è il teatro della sua infanzia, un luogo che per lei era il mondo intero, in cui rifugiarsi e sentirsi al sicuro, anche se a volte le veniva precluso quando era colpita da una febbre, da un’orticaria. La casa era il luogo della vita sociale della famiglia, intensa e continuamente coinvolta nei preparativi di ricevimenti che il padre console organizzava; ma anche il luogo dove ella si confrontava con gli adulti presenti: mamita e papito, la balia Dida, suo marito Pedrón, il giardiniere, le donne Antonia, Inés e Francesca, la cuoca, e poi il fratello Carlito con cui amava giocare ai travestimenti e l’amico Paco, figlio di contadini e non ammesso in casa. Un ruolo di spicco nel suo cuore spetta alla nonna, che giunta in visita da Napoli, la avvolge in un abbraccio e in un’intimità dolce, densa di affetto e di toni giocosi.

Titita è una bambina curiosa e animata da un forte spirito critico, uno sguardo indagatore che si sofferma a lungo su ciò che il suo occhio e i suoi sensi percepiscono, e che lei rielabora e assimila a sé.

Tra tutti i vezzeggiativi e i diminutivi con i quali gli adulti usavano deformare il mio nome avevo scelto quello con cui Dida mi chiamava più di frequente. La petulanza e l’insistenza delle dentali e la ripetizione della prima sillaba stavano forse a significare che non era stato facile l’affermarsi del mio nome originario. Suggerivano inoltre qualcosa di appuntito, un dito levato in segno di ammaestramento, o la punta di una matita pronta a sottolineare errori.

Guerra di infanzia e di Spagna, pag. 57

La crescita di Titita passa anche attraverso i giochi materiali e quelli espressivi, sviluppati soprattutto nelle fiabe e nelle filastrocche che accompagnano i giochi dei bambini, e che si innestano nel il bilinguismo in cui articola il suo linguaggio; in lei esprimersi a parole l’incrocio tra l’italiano e il castigliano, su cui però a sua volta si contrappone il maiorchino. L’taliano appreso attraverso il sillabario assume da un lato la forma di un gioco – i giochi di parole in cui sostituire le parole per creare doppi sensi – dall’altro è uno stimolo a porsi interrogativi su concetti come vita e morte; il gioco del silenzio della “pedagoga” di Maiorca fatto con gli altri bambini durante le merende e poi ripetuto da sola, nella propria stanza, diviene uno strumento per indagare il proprio corpo.

La Storia irrompe nella vita di Titita nella forma di un racconto, quello di frate Geronimo – un francescano a cui la famiglia offriva elemosine – che si presenta con un bambino. Il racconto è quello del bombardamento di Guernica, il paese natale del frate che vi si era recato dopo decenni di assenza, colto da nostalgia: un destino fatale, il suo, quello di tornare proprio nel momento della distruzione e della morte, l’inferno scatenato dal bombardamento, a cui riesce a strappare il bambino che ora reca con sé.

La terza parte si apre con l’ingresso nel collegio delle suore: le regole, l’abbigliamento, la vita quasi monastica all’interno delle stanze e le poche uscite nel chiostro, le compagne con cui confrontarsi e consolarsi, l’amicizia con Conchita, le visite del mercoledì con i genitori. Un microcosmo in cui la bambina diventa adolescente.

Struggenti come un rimpianto o una fragile speranza erano le cifre ricamate in rosso sulla mia biancheria – il mio numero, il 75, mi pareva pieno di un significato compiuto, diceva che il tempo di Son Batle era finito. E infatti i miei genitori, quando venivano a farmi visita, mi ripetevano che presto sarei stata un’esterna perché avrebbero preso una casa più vicina al collegio.

Guerra di infanzia e di Spagna, pag. 269

Nella quarta parte il mondo di Titita va in frantumi. La guerra, da cui lei e le sue compagne erano state protette dalle mura del collegio, infuria e irrompe nella sua vita: i preparativi per il trasloco annunciano una partenza che assume i connotati di uno spartiacque tra la vita sull’isola della sua infanzia, e l’Italia che la aspetta, in un momento storico dalle tragiche risonanze.

La guerra era una sfilza di vocaboli di metallo: cacciatorpedinieri, incrociatori; mezzi blindati, colonne di truppe, convogli nemici; bombe anticarro, velivoli, fortezze volanti, caccia; sonde, sommergibili; bombardieri, proiettili traccianti incendiari.
O era un’affastellarsi di nomi di città e di terre mai sentiti prima: Marmarica, Bassora, Tokyo, Cirenaica; Biserta, Alagir, Orano; El Alamein; Stalingrado. Melilla, Gibilterra.
Ma la guerra soprattutto era una Voce. O meglio una Voce che parlava alla radio.

Guerra di infanzia e di Spagna, pag. 360

A Maiorca ormai la guerra civile era finita con la repressione, e l’sola pareva al riparo sotto una enorme bolla di sapone, ma i racconti della nonna dei bombardamenti su Napoli lasciano ben poco spazio alla speranza e la prospettiva di essere costretti a tornare in Italia mentre la guerra infuria, popola di incubi i pensieri di Titita. E quando arriva il momento di lasciare Maiorca, a Titita sembra quasi che sia l’isola intera a partire con lei, quell’isola che non vorrebbe lasciare andare, quella sponda da cui non vorrebbe staccarsi. E poi il viaggio, facendo tappa a Madrid – dove trascorrono il Natale – e poi a Toledo, dove salgono su un autobus diretto verso il sud della Spagna, a Cordova, fino a Gibilterra dove un’altra nave li aspetta per portarli fino al porto di Taranto, dove mamita allo sbarco si concede di comprare la mozzarella che tanto le mancava. Ed è proprio qui che Titita saluta il lettore, nel luogo in cui sta per iniziare la sua nuova vita.

In appendice si fornisce una breve storia della guerra civile nell’isola di Maiorca.

Qui potete leggere l’incipit.

Fabrizia Ramondino nasce a Napoli nel 1936, ma fin da piccola viaggia molto in Italia e all’estero grazie agli incarichi diplomatici del padre, ricevendo un’educazione cosmopolita che confluirà in gran parte nelle vicende narrate in Guerra di infanzia e di Spagna. Negli anni Sessanta torna nella città natale, diventando molto attiva sul territorio attraverso l’insegnamento e l’impegno sociale. È stata un’autrice eclettica, spaziando dalla narrativa al reportage, dall’autobiografia alla poesia, ottenendo la notorietà e diversi riconoscimenti già a partire dal romanzo d’esordio Althénopis, nel 1981. È scomparsa prematuramente nel 2008.