Con gli anni ho capito che i rapporti tra i sovietici e Stalin si fondavano su quello stesso principio. A un padre severo si vuole bene comunque. Persino lì, nel lager, senza più parenti né amici, le donne sognavano il dolce abbraccio del buon Capo supremo. Come bambini pronti a tutto per una carezza, anche loro volevano cancellare la propria colpa di fronte a un genitore stanco. (..) Un padre è un padre: buono o cattivo non conta. I genitori non si scelgono. E allora Stalin diventava un dato di fatto, il primo fra i primi, il superuomo destinato a vivere fino a novecento anni come Adamo. Il colpo di genio di Stalin fu di avere convinto milioni di persone di questa sua paternità.

Croci rosse, pagg. 132-133

Croci rosse, di Saša Filipenko, E/O edizioni 2021, traduzione dal russo di Claudia Zonghetti, pagg. 187

Il romanzo di Filipenko – nato in Bielorussia nel 1984, dunque un bambino alla fine dell’impero sovietico – scritto nel 2017, esplora cento anni di storia russa attraverso la vita di una donna e dei suoi cari. Tra le sue pagine si affaccia anche la contraddittoria Bielorussia di inizio millennio, ancora legata ai retaggi del vecchio regime ma con un occhio rivolto ad un futuro diverso.  

Minsk, Bielorussia. Credits: Turismo.it

Saša, Aleksandr, – un arbitro professionista di calcio – si trasferisce in un appartamento a Minsk per liberarsi del suo doloroso passato e iniziare una nuova vita per la figlia di tre mesi, Liza, libera dai pregiudizi e dalle malelingue che hanno accompagnato la morte di Lana, sua moglie. Ha lasciato la Russia per mettersi alle spalle quanto gli è successo e ricominciare una nuova vita in un nuovo luogo, con sua figlia da crescere come genitore single. Anche suo padre è morto e la madre si è trasferita a Minsk per stare con il nuovo compagno che lui non sopporta. Nel nuovo appartamento, il giorno successivo al suo arrivo, vede una croce rossa segnata sulla sua porta. Mentre cerca di cancellare il segno, la sua vicina Tat’jana Alekseevna afferma di aver lasciato il segno lei stessa. Dice a Saša che lo ha fatto per non dimenticare come ritrovare casa sua perché ha il morbo di Alzheimer: è così che inizia l’amicizia tra i due. Tat’jana Alekseevna sta perdendo la memoria a breve termine ma ha ancora tutta la sua memoria a lungo termine intatta e vuole farne uso prima che sia troppo tardi. Il suo vicino è solo il candidato a cui può affidare il racconto della sua straordinaria esistenza

Se all’inizio Saša è quasi scocciato dall’intrusione dell’anziana che lo trascina in casa sua e tra i suoi ricordi, man mano che la donna racconta la sua vita, il ragazzo si lascia conquistare da Tat’jana Alekseevna, una donna di novant’anni che ha vissuto l’intera storia della Russia sovietica dalla quando è venuta al mondo. Nata a Londra nel 1910, viene riportata in Russia dal padre – un non ben identificato funzionario di stato – all’inizio del 1920; dopo vari soggiorni in paesi stranieri, tra cui la Svizzera e in particolare, nel Canton Ticino, dove Tat’jana conosce il suo primo amore, nel 1929 Tat’jana torna definitivamente a Mosca dove, grazie alla sua conoscenza delle lingue straniere, trova lavoro come dattilografa corrispondente per il Commissariato del popolo per gli affari esteri durante le fasi nascenti dell’URSS. Nell’estate del 1934 Tat’jana conosce Aleksej, un funzionario del Pompolit, il comitato di aiuto ai prigionieri politici, ufficio che verrà ben presto soppresso. Scampati a diverse ondate di epurazioni, Tat’jana e Alksej si sposano. 

Sposa innamorata e madre di una bambina, di colpo il suo destino prende una tragica deriva allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Partito per il fronte, Aleksej si fa vivo con solo due lettere, per poi essere inghiottito dal silenzio. Quando la Germania attacca l’Unione Sovietica nel 1941, vediamo Tat’jana gestire lettere sempre più pressanti della Croce Rossa da Ginevra in cui si comunicano i nomi dei prigionieri sovietici catturati e di stanza nei vari campi; le lettere hanno lo scopo di favorire uno scambio di prigionieri ma, da parte russa, non ottengono alcune risposta. 

«Col tempo, dalle lettere che ricevevamo mi fu chiaro che l’unico commento dei miei superiori alle missive della Croce Rossa era “Ignorare”. (..) La faccenda dei prigionieri di guerra ci distraeva dal lavoro vero, dicevano i nostri, avevamo questioni più importanti da sbrigare. In più, ci spiegarono, il soldato che combatte con valore non può essere fatto prigioniero. Chi si arrende è una cosa soltanto: un vigliacco. Potrà sembrare strano, ma è a Mosca che l’ho sentita dire più spesso, questa cosa. Un soldato sovietico si batte finché ha una goccia di sangue in corpo. Punto. E a capo».  

Croci rosse, pag. 52

Dopo la presunta defezione del marito – era stato fatto prigioniero dai rumeni -, Tat’jana trova il nome del marito in una delle liste inviate dalla Croce Rossa e inizia così la sua tragica attesa delle possibili ritorsioni su di lei, poiché i soldati fatti prigionieri erano considerati traditori, un vero patriota russo si ucciderebbe piuttosto che arrendersi al nemico e, in linea con la politica sovietica di responsabilità di gruppo, anche la moglie ei figli di un traditore sono traditori. Tat’jana viene arrestata nel luglio del 1945, viene portata via da casa sua in piena notte, insieme alla figlioletta Asja, che le viene immediatamente strappata e portata via su un autobus pieno di altri bambini, che finiranno in un orfanatrofio dove vivranno in mezzo agli stenti. 

Dopo giorni di violenze e torture, condannata a quindici anni di lavori forzati all’età di trentacinque anni, è costretta a vivere sulla sua pelle il tragico destino di altri milioni di prigionieri politici.

La storia ricca di storia di Tat’jana è giustapposta a quella di Saša, un giovane del mondo post-sovietico che si imbatte in una sua ex abitante che ha vissuto un periodo drammatico.

Attraverso le vicende di Tat’jana, viene ricordato che la Russia sovietica non solo ha segnato il passato di quella che oggi è la Federazione Russa, ma le ferite vanno ben oltre, attraverso tutte le repubbliche che si sono staccate quando l’Unione Sovietica è andata in pezzi nel 1988-’91. Filipenko lancia un monito a coloro, in Occidente, a cui ancora oggi piace pensare che il comunismo sia stato un respingimento contro il nazismo e le sue leggi razziste. Anche nella Russia sovietica “Gli stranieri – polacchi, tedeschi ed ebrei – venivano arrestati“, scrive Filipenko. I bielorussi sono stati fucilati solo perché erano bielorussi. Naturalmente, tra quelli fucilati e arrestati c’erano russi, se non altro per ragioni diverse. 

Nell’economia del romanzo, da un lato la storia personale di Tat’jana assurge a simbolo della Storia generale di un popolo, mentre la Storia non sembra avere un ruolo preciso nella vita del giovane Saša. Il ragazzo si è trasferito a Minsk per sfuggire al luogo che conosceva il peculiare segreto che circondava la nascita di sua figlia e la morte di sua moglie e ciò che sembra tenere unite le due vicende è il fatto di mostrare persone capaci di un grande amore, e che entrambe sono incentrate su una bambina, una figlia.

Minsk, Bielorussia,. Credits: Ambasciata italiana

Filipenko non ha sofferto di amnesia, né si è lasciato fare il lavaggio del cervello. È, tuttavia, consapevole che gli altri intorno a lui lo hanno fatto ed ecco che lo dice attraverso le parole che mette in bocca al patrigno di Saša: 

«Le brave persone, come no! Adesso basta essere stati nel Gulag per diventare una brava persona! Chi te lo dice, a te, che è brava, eh? E se avesse ammazzato qualcuno? (..) Si sono mangiati tutto quanto! Tutto! Per fortuna che c’è Lui (Lukašėnka, ndt): li rimette a posto in un attimo, vedrai! Per la Russia, invece, ci vorrebbe un altro Stalin! Tutti al muro li metterebbe, e buonanotte al secchio!»

Croci rosse, pag. 83

Ciò che emerge dal dialogo tra i due protagonisti è una curiosa alleanza tra la generazione delle nonne e i loro nipoti, uniti contro la generazione dei genitori nel mezzo: i giovani imparano la verità dagli anziani.

Ripercorrendo la memoria dello stalinismo, del terrore e dei gulag, delle deportazioni e soppressioni, e denunciando le repressioni di oggi, Filipenko è diventato l’intellettuale di riferimento dell’opposizione bielorussa. I suoi libri circolano soprattutto tra i giovani e grazie alle traduzioni arrivano in altri paesi, dando voce a chi vuole smarcarsi dall’omologazione.

«Se volete entrare nella testa della gioventù russa di oggi, leggete i libri di Filipenko» – Svetlana Aleksievič

Qui potete leggere l’incipit.

Copyright: © M.Kabakova

Saša Filipenko, nato a Minsk nel 1984, è un autore bielorusso che scrive in lingua russa. Dopo una formazione in musica classica, ha studiato letteratura a San Pietroburgo per poi lavorare come giornalista, sceneggiatore e autore di un programma satirico. Il suo primo romanzo, The Ex-Son, è di prossima pubblicazione presso le nostre edizioni. È appassionato di calcio e vive con la famiglia a San Pietroburgo.