Ai nostalgici dei confini, a chi sostiene che gli spostamenti aerei hanno annullato il senso dello spazio e della geografia, e che anche quelli stradali non sono più come una volta, dopo l’evaporazione delle frontiere in area Schengen (almeno per alcuni fortunati …) consiglio vivamente un’escursione a Kaliningrad. Due ore e mezza di attesa fermi nel nulla davanti a una sbarra e quattro livelli di controlli, due per ciascun paese, restituirebbero il senso del limes a chiunque.
Una mappa per Kaliningrad, pag.86
Una mappa per Kaliningrad. La città bifronte, di Valentina Parisi, Exorma editore 2019, pagg. 256
Enigmatica come una delle città invisibili di Italo Calvino, questa exclave russa situata in riva al Mar Baltico cela storie dimenticate, come quella dei tanti prigionieri di guerra, anche italiani, che vi hanno lavorato fino all’aprile 1945, nelle fabbriche del Terzo Reich.
La protagonista, nipote di uno di loro, attraversa Kaliningrad guidata da una vecchia mappa di Königsberg, sulle tracce della propria storia familiare. Sa che non ritroverà la vecchia Königsberg, né la cantina in cui si era rifugiato suo nonno, né il campo dove era stato prigioniero, ma incontrerà il Palazzo dei Soviet abbandonato, la Russia dei poeti e storie di ippopotami curati con massicce dosi di vodka.
Scritto nel 2019 dunque ben prima che si concretizzasse lo scenario di guerra attuale, il libro di Parisi conduce il lettore attraverso una città e delle storie con delicatezza e sensibilità; grazie alla sua formazione e conoscenza delle lingue slave e della storia dell’area, l’autrice inquadra con precisione storica fatti e contesti. Il libro è quindi una lettura piacevole grazie alla fluidità della scrittura ma anche istruttiva poiché aiuta a conoscere la storia della città senza prese di posizione ma piuttosto con apertura di mente e curiosità.

Molte città dell’ex Unione Sovietica hanno cambiato nome: nel 1961, per decisione dell’allora segretario generale del PCUS Nikita Chruščёv, il nome della città Stalingrado – adottato nel 1925 per celebrare la vittoria dei bolscevichi – fu cambiato in Volgograd, ovvero Città del Volga, nel quadro delle politiche di destalinizzazione dell’URSS. Nel 2013, l’autorità di Volgograd con voto unanime favorevole, ha approvato il ritorno all’utilizzo del vecchio nome della città “Stalingrado” in cinque date simboliche, tra le quali l’anniversario della vittoria dell’esercito Sovietico su quello Nazista. Il cambio simbolico del nome in queste date è stata voluta nell’ottica storico-patriottica adottata dal presidente Vladimir Putin.
Nel 1924 San Pietroburgo cambiò il suo nome in Leningrado, in onore del leader delle rivolte sociali del movimento bolscevico, Vladimir Lenin. Nell’anno 1991, poco dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, più del 50% dei cittadini si espresse democraticamente a favore di restituire alla città il suo nome originale: San Pietroburgo.
Kaliningrad però non potrà mai tornare alla sua denominazione storica, prussiana, Königsberg. La città non sarà più ribattezzabile perché non può evocare un toponimo sovietico, russo, appartenente al passato, perché la città è sorta su una tabula rasa, non solo fisica, di macerie in seguito alla distruzione, ma anche identitaria: dopo il 1945, quando l’Armata Rossa conquistò la città ormai distrutta dai bombardamenti alleati, l’area fu annessa dall’Unione Sovietica, e la città fu ribattezzata Kaliningrad. La popolazione tedesca sopravvissuta fu totalmente deportata e la città fu ripopolata con cittadini russi, quindi il passato culturale tedesco è stato completamente azzerato. Oggi rimangono poche tracce della storica Königsberg, la città che diede i natali a Kant, che ospitava l’università Albertina (fondata nel 1544), che divenne un importante centro intellettuale per la cultura tedesca e luterana, ma anche lituana e polacca: vi furono stampati il primo libro ed il primo catechismo in lituano (1547) e la prima traduzione polacca del Nuovo Testamento (1551). Kaliningrad oggi è il capoluogo dell’oblast’ di Kaliningrad, una exclave della Russia confinante con Lituania e Polonia.

Per comprendere la città che è oggi bisogna risalire a quando essa è nata, al periodo storico a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale, con l’annientamento della Wermacht e la vittoria dell’Armata Rossa e degli alleati anglo-americani, e il primo dopoguerra, quando l’Europa era ridotta ad una landa desolata in cui individui sfollati, ed ex prigionieri di guerra, i cosiddetti “Displaced persons” vagavano tra le rovine delle città distrutte.
La Storia ha conosciuto la deportazione di massa, il forzato ricollocamento dei singoli, ma può esistere qualcosa di simile a una displaced city?
Una mappa per Kaliningrad, pag. 95
Parisi se lo chiede e crede che Kaliningrad sia proprio questo, una città “slittata”, la più occidentale dell’Unione Sovietica; pur restando immobile, la città da territorio più orientale dell’Occidente, si trasforma in territorio più occidentale dell’Oriente. E se Königsberg aveva già le caratteristiche liminali di soglia tra due mondi – la Prussia orientale era una specie di “isola tedesca che flottava in un mare baltico-slavo sempre più tempestoso” – alla fine della Grande Guerra con la creazione del corridoio di Danzica -, ancor più questa peculiarità si è proiettata su Kaliningrad.
E le mire dei russi sulla città e i suoi dintorni non sarebbero solo diciamo il risarcimento richiesto in cambio delle ingenti perdite subite dall’Armata Rossa per strappare la città ai tedeschi, in realtà Stalin il 1° dicembre del 1943 alla conferenza di Teheran avrebbe detto: “Un porto che non geli d’inverno sul Mar Baltico è la nostra unica rivendicazione territoriale” : che sia leggenda o meno, proprio in quegli anni si dette vita ad un mito storiografico che voleva la regione popolata fin dall’antichità da tribù slave e dunque ciò giustificava l’annessione del dopoguerra, che altro non era se non riprendersi una regione abusivamente invasa e tenuta dagli asburgici prima e dai tedeschi poi. In realtà nessuna fonte storica suffraga tale tesi, ma ciò nonostante negli anni Duemila, quando le repubbliche baltiche e la Polonia sono entrate nell’Unione europea, questa tesi è stata rispolverata a difesa dell’exclave russa.

Dunque il viaggio di Parisi si configura su due piani: la scoperta della città bifronte e della sua storia, la ricerca del luogo di detenzione del nonno. L’autrice utilizza una vecchia mappa tedesca come guida per esplorare la città. Decide, inoltre, di iniziare questo viaggio in un giorno speciale: vuole essere a Kaliningrad per il 9 maggio, il Giorno della Vittoria, una delle ricorrenze più sentite dai russi di qualsiasi città, che segna anche la fine ufficiale della prigionia del nonno.
Il tema centrale del libro è la memoria: narrando in prima persona il viaggio suo e quello del nonno, alternando passato e presente, Parisi viaggia attraverso la memoria familiare e quella della città di Königsberg/Kaliningrad. La memoria che ripercorre anche le sofferenze dei soldati italiani che si trovarono senza protezione dopo l’annuncio dell’Armistizio di Cassino l’8 settembre 1943. Una resistenza italiana spesso dimenticata: quella disarmata degli IMI (Internati Militari Italiani), i soldati italiani arrestati nei territori ancora occupati dei tedeschi – dall’Italia alla Grecia, ecc – avviati ai campi di lavoro forzato. Ed anche la memoria dei tedeschi che vi abitavano e che, da un giorno all’altro, dovettero abbandonare le loro case ed essere deportati altrove per fare spazio ai nuovi abitanti russi.
Documentato anche con numerose fotografie, il libro offre una chiave di lettura di un pezzo di storia spesso ignorato.
Valentina Parisi è nata nel 1976 a Milano, dove abita. Dopo il dottorato di ricerca in letterature slave, ha vissuto all’estero con varie borse di studio, in Germania e a Budapest.
Attualmente assegnista di ricerca in letteratura russa presso l’Università degli Studi di Pavia, ha tradotto dal russo opere di Alexandra Petrova, Lev Šestov, Pavel Florenskij, Léon Bakst, Pavel Sanaev, Vasilij Grossman, Anton Čechov, Vasilij Golovanov e, dal polacco, testi in prosa di Wisława Szymborska, Adam Zagajewski, Hanna Krall, Stanisław Lem.
Ha pubblicato un libro sull’editoria clandestina nell’Urss (Il lettore eccedente. Edizioni periodiche del samizdat sovietico, 1956-1990, Il Mulino, 2014) e la Guida alla Mosca ribelle (Voland, 2017).
Dal 2007 collabora regolarmente alle pagine culturali de «il manifesto» e di «AliasD». Ha scritto inoltre su «Diario della settimana», «Galatea», «Pagina 99» e «Alfabeta2».
Super attuale! Grazie per questo interessantissimo viaggio letterario.
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Lo avevo comprato all’uscita e poi avevo rimescolate le scalette di lettura…. avevo una draft pronta e così ci ho messo le mani. E’ attuale sì, ma essendo stato scritto qualche anno fa, ha il giusto distacco e oggettività nel raccontare le complessità di una città con un destino particolare.
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Sì, il giusto distacco è importante, come dici tu: ne parlavo qualche tempo fa con Baylee, riflettendo sul rischio che nelle ultime uscite letterarie l’oggettività sia, per ovvi motivi storici, venuta meno.
P.S. Già mi interrogavo su eventuali perle rimaste nei tuoi cassetti (e qui parlo di scrittura creativa), ora mi chiedo anche quali tesori si celino tra le tue bozze su WP…
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Sei troppo generosa.. Si, in effetti ho un po’ di bozze in arretrato che vorrei finire, come I sillabari…. E magari altro… 😉
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