(Margherita) Quando nasciamo siamo sempre figli di, fratelli di, cugini di, nipoti di, ma poi non siamo più nessuno. Ci dimentichiamo, di noi stessi e degli altri, i rapporti si allentano ed è proprio in questo allentarsi che possiamo diventare quello che siamo. O almeno era quello che immaginavo ed è per questo che me ne sono andata.

Non muoiono mai, pag. 153

Non muoiono mai, di Francesco Spiedo, Fandango 2022, pagg. 304

Con una narrazione modulata attraverso quattro voci che si alternano, Francesco Spiedo scrive un romanzo ironico e profondo, che parla di legami familiari spezzati, di lontananze e nostalgie, di segreti custoditi; un carosello di sentimenti che mette in moto una strana convivenza: tre nipoti che non si vedono da anni e una nonna novantenne che sembra meno lucida di quanto in realtà sia. Più una badante moldava che non parla molto ma osserva ciò che accade. Il tutto ambientato in una vecchia casa di campagna, durante un’assolata estate.

I cugini erano un terzetto inseparabile da ragazzini: trascorrevano insieme lunghe estati nella casa dei nonni che una volta era sempre piena di gente, mentre ora le ragnatele e la polvere stanno lì a raccontare la vita di una donna anziana che nessuno si ricorda di andare a trovare.

Sono Enrico, un moderatore di contenuti social in cerca di un posto tranquillo dove lavorare e dove rimettere a posto i cocci di un legame che si è spezzato provocando tanto dolore; Margherita, che si fa chiamare Margot, che ha tagliato quasi tutti i ponti con la famiglia e che, preda della nostalgia e incapace di continuare a stare dove è fuggita, torna dopo dieci anni trascorsi a Parigi; e Pasquale, il più piccolo dei tre, che si è appena laureato in Agraria e vuole prendersi cura del giardino della nonna.

Il primo ad arrivare alla villa è stato Enrico, che ha un rapporto conflittuale con la nonna; da un lato sembra augurarsi che muoia alla svelta per impossessarsi della casa che dovrebbe spettare a sua padre in eredità; dall’altro, man mano che la permanenza si prolunga, sembra riservarle un atteggiamento più aperto. Dopo pochi giorni che si è installato tra i fantasmi delle fantasie di nonna, ecco che si presenta “la francesina”, che Enrico detesta e con la quale deve imparare a condividere il menage familiare. Margherita gode di grande affetto da parte della nonna, che non fa niente per nascondere la sua simpatia per questa nipote che non vede da anni e di cui aspettava con impazienza il ritorno.

(Margherita) Ho dimenticato Margherita quando mamma è morta. Di chi ero prima non c’era più niente. Ho convissuto con centinaia di pensieri inaspettati, quello di ritornare non c’era.

Non muoiono mai, pag. 63

Margherita se ne era scappata di casa alla morte della madre, per fuggire dal padre, un uomo arido e violento a cui lei ascriveva la perdita della mamma, morta per il dolore di un rapporto infelice. Anche Pasquale non ha un buon rapporto con i genitori, ai quali recrimina il fatto di volersi tenere lontano da qualsiasi rapporto familiare che vada oltre le minime formalità. Esattamente lo stesso tipo di fastidio che prova Enrico nei confronti dei propri genitori, evidentemente un “mal di famiglia” covato in seno ad un ambito familiare anaffettivo.

(Enrico) L’unica religione di famiglia è l’indifferenza, ma non è per cattiveria. È che meno sai, più stai tranquillo. Anche se sanno fanno finta di non sapere: una parte di loro, a furia di rimuovere informazioni, è davvero convinta di quel che dice. Come che fossi a Berlino. Sapeva, non sapeva, avevano detto, aveva capito.

Non muoiono mai, pag. 187

Per Pasquale il ritorno alla villa ora che è tornata anche Margherita significa fare i conti con una infatuazione fanciullesca nei confronti della cugina che in questa convivenza se da un lato lo fa sentire forte di una complicità che lo difende dalle continue battute acide di Enrico, dall’altro lo imbarazza nei confronti della cugina, di cui capisce di essere innamorato.

Ciascuno di loro è arrivato alla villa soprattutto per cercare di chiudere col passato, che invece si ripresenta continuamente attraverso i ricordi e i conflitti interiori irrisolti. A spaiare le carte di questa partita logorante c’è la nonna che si esprime con frasi ellittiche e misteriose, e che nei suoi capitoli-racconti torna indietro alla sua giovinezza, alla fine della Seconda guerra mondiale, nella Napoli liberata dagli americani in cui tutto sembrava preda di un destino precario. I ricordi per lei sono legati al suo primo amore, a quel Nicola che le aveva rubato il cuore di ragazzina.

I nipoti sono impegnati in continue scaramucce, che vengono rese attraverso dialoghi brillanti di batti e ribatti, con una decisa inflessione partenopea, in un continuo flusso di liti e tentativi di trovare un equilibrio, laddove l’ago della bilancia è la nonna che scherzosamente Pasquale e Margherita chiamano la Sibilla:

(Pasquale) “Sapete chi mi sembra la nonna?”, soltanto un’occhiata da Margherita. “La Sibilla cumana”, ho detto, “e Ljudmila che le ronza attorno e interpreta i suoi desideri è un’ancella. Uno le fa una domanda e la nonna risponde tutta un’altra cosa, bisogna interpretare le sue parole come quelle di un oracolo.” Ho chiesto se tenevano presente e hanno detto sì, senza entusiasmo.

Non muoiono mai, pag. 47

E mentre i giorni passano uguali tra tentativi più o meno riusciti di convivere e di prendersi cura della nonna, questa commedia familiare mette in scena il passato di ciascuno che a poco a poco si disvela e rende comprensibili le reazioni. E, naturalmente, non può essere che la nonna, col suo segreto vecchio di anni, a fornire la chiave di lettura e la cura del mal di vivere che i nipoti si sono portati appresso finora.

Dunque un bel romanzo che sa intrattenere il lettore attirandolo in una trama ben strutturata che rivela pian piano le singole storie; una narrazione ritmata grazie ai capitoli affidati in modo alternato alle quattro voci, ravvivata da dialoghi brillanti. Un romanzo molto cinematografico – se ne potrebbe davvero fare un bel film – che mette in scena un incastro di destini che celano segreti destinati ad incontrarsi e a sciogliere i nodi che hanno oscurato il passato comune di una grande famiglia.

Qui potete leggere l’incipit.

Francesco Spiedo (1992) nasce a Napoli, da madre ansiosa e padre operaio, sperimentando fin da subito le conseguenze dell’iperattività. Cresciuto a San Giorgio a Cremano, studia per diventare ingegnere anche se non praticherà mai. Precedentemente animatore, cameriere, concierge, addetto alla sicurezza e ad altre attività non riconosciute dal Ministero del Lavoro, inizia a scrivere su commissione e su riviste, sotto falso nome e come ghostwriter. Stiamo abbastanza bene è il suo primo romanzo.