Adesso capisco. Siamo così. Persone che non sanno dove mettere la tristezza. Ci proviamo, tutti, cerchiamo di riporla da qualche parte. Ma la tristezza non si piega come un fazzoletto.
Un lutto insolito, pag. 247
Un lutto insolito, di Yewande Omotoso, 66thand2nd 2022, traduzione dall’inglese di Emilia Benghi, pp. 281
Ho avuto modo di apprezzare Yewande Omotoso con la lettura del suo La signora della porta accanto e questo nuovo romanzo non fa che confermare tutta la mia stima per un’autrice capace di affrontare un tema così ostico e doloroso – il suicidio di una figlia – senza mai scadere nel patetico ma guardando in faccia il dolore e lasciando, come dire, sciogliere le emozioni, gli stati d’animo, i pensieri più reconditi così come si sciolgono dei nodi che a lungo hanno tenuto stretto un corpo martoriato. La sua protagonista ingaggia quasi una lotta con se stessa, armata dalla necessità di grattare le incrostazioni che ricoprono superficialmente il suo dolore, per arrivare al nucleo, al centro di quello struggimento che ha bisogno di definirsi.
La vicenda che si sviluppa tra le pagine è ambientata in Sudafrica, paese d’ adozione della scrittrice, nata alle Barbados, vissuta a lungo in Nigeria per poi approdare nel paese dal passato turbolento. I protagonisti, nigeriani di origine yoruba, appartengono al mondo accademico e, a seguito di un prestigioso incarico del marito, si sono trasferiti a Città del Capo.
Il racconto si apre quando la figlia ventenne di Mojisola e Titus, Yinka, si è tolta la vita e, in uno stato di stress emotivo da trauma, Mojisola si reca nell’appartamento di Yinka a Johannesburg lasciando dietro di sé il marito infedele, Titus, dal quale vorrebbe divorziare. Si trasferisce tra le rovine della vita di sua figlia, facendo amicizia con l’ex padrona di casa di sua figlia, Zelda Peterson. Mojisola scopre che Zelda è una spacciatrice domestica di erba, e che ne aveva venduta alla figlia proprio pochi giorni prima del suicidio. Mojisola decide di affittare l’appartamento occupato ormai solo dalla gatta Inanna per se stessa e di rifugiarsi lì per scavare tra le tracce e capire chi sia diventata Yinka e cosa le è successo in tutto quel lungo periodo in cui hanno avuto solo contatti sporadici.
La ricerca la porta nel profondo di una vita che è del tutto diversa da quella che lei stessa ha vissuto e soprattutto sorprendentemente diversa da tutto ciò che avrebbe potuto pensare di sua figlia. Certo, ne conosceva alcune fragilità, ricordava benissimo quando, da ragazzina, le aveva confessato di essere sempre triste, e, ora, si rende conto di quale errore sia stato il suo non avere dato peso a quelle parole, a certi atteggiamenti, ai silenzi e soprattutto alla necessità di comunicare i propri stati d’animo attraverso il disegno, mezzo attraverso il quale, fin dalla tenera età, Yinka aveva provato ad esprimersi.
Il dolore di Mojisola la spinge ad un viaggio di scoperta della figlia che in realtà è anche un viaggio alla scoperta di se stessa. Attraverso i numeri di telefono che riesce a carpire dal cellulare e i contatti sulle chat di dating on line frequentati dalla figlia, e le rivelazioni che estorce col contagocce a Zelda, Mojisola ripercorre i passi di Yinka, incontra le persone che l’hanno conosciuta, scoprendo anche aspetti dolorosi e difficili da accettare per una madre – particolari delle sue abitudini sessuali, ad esempio. Mettendosi nei panni di Yinka, Mojisola arriva a una migliore comprensione non solo della figlia, ma anche di se stessa, mentre impara a ritagliarsi un posto nel mondo al di là delle etichette di moglie e madre.
La donna ripercorre la sua infanzia e l’educazione da parte di una madre severa e molto religiosa, le visite occasionali di zia Modupe, più aperta e molto affezionata a lei; il suo matrimonio con Titus, con il quale scopriamo presto che ha una relazione difficile; le sue esperienze nella sua vita lavorativa; il trasferimento dalla Nigeria al Sudafrica che ha vissuto male; la malattia con cui ha lottato, la maternità.
Mojisola deve fare i conti col suo passato se vuole provare a capire sua figlia. Deve fare i conti soprattutto col dolore, con la perdita definitiva della figlia, con i sensi di colpa, con le questioni irrisolte del ménage matrimoniale, con il suo senso di inadeguatezza, con le sue inibizioni.
Il vortice della tempesta emotiva scatenata dal suicidio della figlia ruota attorno al rapporto col marito che, col passare del tempo e soprattutto a seguito della grave malattia di Mojisola, è andato sfibrandosi, trasformandosi in un trampolino verso ripetuti e compulsivi adulteri da parte del marito, e un rinchiudersi in se stessa di Mojisola. Una crisi matrimoniale di cui ha fatto le spese Yinka, che, una volta scoperto l’adulterio e resasi conto che la madre ne era a conoscenza e dunque implicitamente complice, non è più riuscita a perdonarli, allontanandosi definitivamente – emotivamente e fisicamente – dalla casa dei genitori.
Alla crisi di Mojisola fa da contrappunto quella di Titus, di cui lei è all’oscuro ma che le si rivela attraverso la lettura di una specie di diario che Titus ha tenuto – su consiglio della sua psicoterapeuta – e che la obbliga a leggere. Per la recalcitrante Mojisola la lettura che tanto ha procrastinato sarà invece una chiave di lettura precisa e spietata, una specie di epifania e di presa di coscienza, che getta luce sugli ultimi giorni di sua figlia. Così Titus vede il suo rapporto con la moglie:
A volte penso che siamo soldati, Moji e io. Tipo soldati dell’amore (gli Amanti capovolti) schierati su un campo di battaglia ampio e invisibile, che si estende alle vite precedenti alla nostra e prosegue nelle vite ancora da vivere. Contro cosa combattiamo? Non solo l’uno contro l’altra, ma contro l’amore stesso, lottando corpo a corpo, cercando di dar forma all’amorfo, di dominare l’acqua o l’aria. E’ una lotta senza opposizione, è una lotta contro noi stessi.
Un lutto insolito, pag. 247
Una delle migliori qualità del romanzo è data dalla capacità di Omotoso di dare spessore ai personaggi; attraverso uno scavo minuzioso, spietato e talvolta disturbante, pian piano, il personaggio assume la sua identità precisa e la rete di relazioni si costruisce fitta e solida, credibile fino all’ultimo dettaglio che, senza pietismo né pruderie, va a definire i caratteri. Mentre Mojisola e Titus si raccontano – essendo le due voci narranti – conosciamo Yinka attraverso le parole di coloro che l’hanno conosciuta e attraverso i disegni che Mojisola trova e descrive. Tracce inequivocabili del suo malessere esistenziale. Nei disegni di Yinka il padre appare senza orecchie e con la bocca enorme. Il padre che non ascolta e giudica. La madre con gli occhi sullo stesso lato della faccia. Che vede solo a metà.
I frammenti di una vita, seppur assemblati, non corrispondono mai alla vita intera. Della vita di Yinka Mojisola conosce solo i pezzi.
Un lutto insolito, pag. 267
Oltre ai personaggi principali, l’incedere della storia fa emergere tutti gli altri con una perfetta messa a fuoco. Ognuno di loro fornisce a Mojisola un punto di vista su Yinka, ma diventa anche parte del suo viaggio per ritrovare se stessa. Molti di loro portano i propri fardelli e combattono le proprie lotte ed è proprio questo a renderli umani, la loro vulnerabilità. La stessa che Mojisola ha scoperto di sua figlia, di se stessa e di Titus.
Il romanzo è scritto in uno stile di flusso di coscienza, che spinge il lettore a fluttuare tra gli eventi che si svolgono nel presente e i ricordi e gli eventi del passato. I ricordi si sovrappongono al presente, i sogni si insinuano nella realtà vigile, memoria e contingenza si alternano con grande armonia, senza mai spiazzare il lettore, grazie alla grande capacità affabulatoria dell’autrice.
Un romanzo che mi ha conquistata e che consiglio a chi non ha paura di guardare in faccia il dolore, a chi sa che nelle pieghe più recondite dell’esistenza, quelle che teniamo ben riposte, si trovano le chiavi di lettura, a chi crede che solo accettando i propri limiti si può fare pace con se stessi, anche dopo un grande dolore.
Qui potete leggere una intervista molto coinvolgente all’autrice.
Mi devo segnare questa autrice (la wishlist è fuori controllo, ma che vuoi farci): la tua recensione de “La signora della porta accanto” aveva già acceso la mia curiosità e questa è un’ulteriore conferma.
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Questo è la conferma di un grande talento. Uno scandaglio profondo su un tema difficile.
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Sembra proprio un romanzo potente, me lo segno!💛
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Si, lo è davvero, buone letture!
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