Naturalmente era da anni che gli abitanti delle Cause Houses profetizzavano la morte di Sportcoat. Ogni primavera, quando le persone che vivevano nel quartiere spuntavano fuori da casa loro come marmotte per passeggiare sul piazzale e assaporare quel po’ di aria buona rimasta nelle Causeway – perlopiù era inquinata dalle esalazioni del vicino impianto di smaltimento dei rifiuti –, qualcuno scorgeva Sportcoat che barcollava sul piazzale dopo una nottata trascorsa a tracannare il torcibudella King Kong a casa di Rufus, o a giocare a Bid Whist al Silky’s Bar su Van Marl Street, e diceva: «È andato».

Il diacono King Kong, pag. 20

Il diacono King Kong, di James McBride, Fazi 2023, traduzione dall’inglese di Silva Castoldi, pp. 456

South Brooklyn fine anni Sessanta, un sobborgo di case popolari, Causeway Houses: è qui che vive il diacono King Kong, soprannominato Sportcoat, al secolo Cuffy Lambkin, un settantenne amante dell’alcol (il primo soprannome, King Kong gli è stato affibbiato in virtù del superalcolico fatto in casa da Rufus, il custode delle Watch Houses, di cui è dipendente), da non molto vedovo, padre del ventiseienne cieco Pudgy Fingers, amico di tutti nel circondario, ex allenatore della squadra di baseball della chiesa battista di Five Ends di cui è diacono. Un bel giorno esce di casa, si trascina attraverso il quartiere e arriva nella piazzetta centrale, punto di ritrovo di anziani e sfaccendati, oltre che di spacciatori e dei loro clienti; tira fuori una calibro 38 dalla tasca e, davanti a tutti, alla luce del sole, spara allo spacciatore più temuto, Deems Clemens, un ragazzino di nemmeno vent’anni, che conosce bene poiché lo aveva allenato nella squadra, ritenendolo un ragazzo dalle grandi potenzialità.
Inizia così questo rutilante romanzo, pulsante di vita vera, denso di volti e storie che rivelano il male e il bene che le persone si portano appresso, a tratti esilarante, a volte cinico ma in modo ironico, apparentemente leggero (lo è nel senso che fa divertire leggendolo), a tratti dickensiano, latore di molte considerazioni ad ampio spettro. L’equivalente letterario dei film di Spike Lee.

L’intenzione dell’autore è di fare risaltare più i lati positivi delle persone, la loro parte migliore, non importa quante cose cattive abbiano fatto; anziché concentrarsi sulla violenza di un quartiere malfamato, che normalmente viene visto con disincanto e rifiuto, imprime alla storia un tono divertente e molto umano di grazia e redenzione.

Nelle Causeway chiunque aveva un motivo per essere un po’ bislacco“, ci avverte McBride. Gli abitanti sono in qualche modo tutti vulnerabili, sono vittime di abusi: “Tutto aveva una spiegazione. Il capo di Neva si era approfittato di lei sul lavoro. Dub Washington voleva una cella calda. Il marito di sorella Bum-Bum l’aveva piantata per un altro uomo. E allora? Tutti nelle Causeway avevano un motivo per essere matti. Quasi sempre, c’era una buona ragione dietro a tutto“. McBride, da parte sua, mostra che questi personaggi hanno la capacità di crescere e superare ciò che la vita gli ha riservato. C’è un senso di giustizia risolutiva, poiché i personaggi che cercano disperatamente il cambiamento tendono a trovarlo.

All’inizio il romanzo sembra un po’ caotico, costellato di nomi, informazioni, particolari che sembrano mischiarsi tutti insieme. Di pagina in pagina, però, la trama di base diventa più chiara così come il tono energico, ritmato e ironico della scrittura; i piccoli dettagli dell’inizio acquisiscono nuova rilevanza, e ci si ritrova catapultati nelle vicende dei bislacchi protagonisti.

Ecco allora Sportcoat che parla col fantasma di Hettie, la moglie morta annegata poco tempo prima; ci parla perché gli manca ma soprattutto perché a mancare è la cassetta con le offerte del club natalizio. Hettie era la depositaria dei soldi raccolti ma gli oboli sono spariti e, data la propensione di Sportcoat a bere e a lavorare poco, tutti lo guardano con sospetto, pensando che sia stato lui a farli sparire. Anche a questo particolare – come ad altri – non viene data una risposta esplicita nel libro. Si sa che Hettie era la tesoriera della parrocchia di Five Ends e che la scatola è scomparsa dopo la sua morte. Ha detto che il denaro è nel “palmo della sua mano (di Dio)”, citando il motto della chiesa. Salteranno fuori? Ma questo è solo uno dei misteri…

C’erano sedici testimoni sul piazzale delle Cause Houses quando Sportcoat firmò la sua sentenza di morte. Uno era un testimone di Geova che passava di lì per caso, tre erano madri con i bambini in carrozzina, una era la signorina Izi dell’Associazione dei portoricani, un altro era un poliziotto sotto copertura, sette erano clienti arrivati per comprare la droga e tre erano fedeli della chiesa di Five Ends venuti a distribuire volantini che annunciavano la funzione annuale per la Giornata della famiglia e degli amici – durante la quale il diacono Sportcoat in persona avrebbe pronunciato il suo primo sermone in assoluto. Nessuno disse una parola alla polizia sullo sparo, nemmeno il poliziotto sotto copertura, Jethro “Jet” Hardman, un detective di ventidue anni del Settantaseiesimo Distretto, nonché il primo detective nero che si fosse mai visto nelle Causeway.

Il diacono King Kong, pag 28

La domanda di fondo, l’artifico che innesca la storia, è perché il mite diacono ha sparato al suo ex pupillo? In realtà, proseguendo nella lettura, più che vere risposte, osserviamo i cambiamenti che conseguono al gesto. Deems, che sopravvive allo sparo che gli ha lesionato soltanto l’orecchio, decide di lasciarsi alle spalle il mondo della droga (era quello che Sportcoat voleva…) e diventa un lanciatore di baseball di successo della lega minore.

Il baseball è una parte importante nella vita della comunità delle Causeway Houses, di tutte le case popolari: è uno spazio di aggregazione, un tentativo di creare un baluardo contro la diffusione della droga tra i giovani, e Sportcoat è coinvolto come arbitro e allenatore. Hot Sausage, il custode delle Cause Houses e miglior amico di Sportcoat, che faceva l’alzabandiera tutte le mattine e distribuiva il caffè gratuito offerto dal centro anziani del quartiere, dice che il diacono aveva sparato a Deems per via della partita di baseball annuale tra la squadra delle Causeway e quella rivale delle Watch Houses, che era stata annullata due anni prima. “Sportcoat é l’unico arbitro accettato da tutte e due le squadre“.
Deems è un giocatore di talento che si allontana dalle sue aspirazioni di giocare a baseball professionalmente per finire coinvolto nel traffico di droga. Il baseball alla fine vince nella vita di Deems, rendendo esplicito da parte dell’autore un maggiore ottimismo nei confronti dei giovani della comunità. Per gli uomini più anziani, come Hot Sausage e Sportcoat, il baseball diventa un simbolo dei loro sentimenti protettivi nei confronti della loro comunità. Sportcoat fa da mentore e guida attivamente a Deems per incoraggiarlo a scegliere il baseball, una decisione che gli avrebbe impedito di cadere in povertà, nella dipendenza e nei rischi che l’attività di spacciatore comporta.

Naturalmente nessuno nelle Causeway faceva gran caso alla marcia delle formiche. In un quartiere popolare dove tremilacinquecento tra neri e ispanici ammassavano i propri sogni, incubi, cani, gatti, tartarughe, porcellini d’India, pulcini di Pasqua, bambini, genitori, e cugini dal doppio mento di Portorico, Birmingham o Barbados in duecentocinquantasei appartamenti minuscoli, tutti sotto il tallone della straordinaria corruzione dell’Istituto case popolari di New York, il quale, per quarantatré dollari al mese d’affitto, se ne fregava altamente se vivevano, morivano, cagavano sangue o andavano in giro a piedi nudi, purché non chiamassero l’ufficio nel centro di Brooklyn per reclamare, le formiche erano una preoccupazione secondaria.

Il diacono King Kong, pag. 74

La marcia delle formiche è un altro formidabile trucco narrativo, anch’esso ammantato di mistero, che la penna di McBride mette in atto per portare il lettore a fare una serie di considerazioni. La marcia delle formiche si concretizzava all’improvviso ogni anno al palazzo 17 delle Causeway Houses, nella sala caldaie, nel seminterrato di Hot Sausage (che è il il custode delle Cause Houses e migliore amico di Sportcoat). Le formiche giravano per tutti gli appartamenti, ma nessuno sembrava farci caso, e la loro comparsa fa il pari col mistero del formaggio. Le formiche simboleggiano il rituale del passare del tempo, ricordi di vecchi tempi (per Deems) quando la vita era più semplice, lo scorrere del tempo nella vita di tutti gli abitanti.
E poi, vogliamo parlare del mistero della comparsa annuale del formaggio? Chi forniva il formaggio? Questa domanda non trova una risposta esplicita nel libro, è una domanda volutamente lasciata in qualche modo aperta al dibattito. Sorella Gee pensa che provenisse da Gesù, e forse questa è un’interpretazione valida perché nessuna delle alternative (Sportcoat? Elefante? Il governo federale?) non ha senso per vari motivi.
Anche gli antagonisti all’interno della storia non sono particolarmente feroci, non la bella sicaria dalla faccia fredda le cui ragioni per fare il doppio gioco con un signore della droga sembrano abbastanza solide, nemmeno i poliziotti corrotti o i mafiosi italiani in lotta per una fetta del nascente mercato della droga a South Brooklyn.
Thomas Elefante (un contrabbandiere) è un altro personaggio tratteggiato in toni tra chiari e scuri; ecco come lo descrive: “Nel corso degli anni aveva fatto alcune cose terribili, ma solo per difendere i propri interessi. Naturalmente aveva fatto anche un po’ di cose buone, ma nessuno gliene aveva riconosciuto il merito. Era così che andava il mondo.”

La chiesa di Five Ends, perno attorno a cui ruota la comunità, viene rappresentata con la stessa dualità, con toni ironici e qualche stoccata, ma di fondo benevoli. Da un lato i suoi scandali e le faide, dall’altro le sue buone azioni e l’aiuto che i suoi membri si offrono l’un l’altro nei momenti di bisogno, i loro funerali sensazionali. Proprio all’inizio, durante il funerale di Hettie, le due migliori cantanti (dette le Cugine) del coro litigano davanti a un microfono: “Di solito le liti in chiesa sono faccende sussurrate, sibilate, cariche di silenziose pugnalate alle spalle, intrighi e pettegolezzi a bassa voce che ruotano intorno a mogli o mariti fedifraghi. Invece quella fu una lite pubblica, e di prima categoria.” ci dice McBride. E nemmeno il reverendo è un modello a senso unico. Ecco cosa leggiamo su di lui: “Il reverendo Gee, ispirato dallo spettacolo degli splendidi seni delle Cugine, che si gonfiavano sotto le vesti mentre le due cantanti ruggivano, fece seguire alla loro esibizione un fragoroso elogio funebre, con lo scopo di fare ammenda per la sua battuta su Hettie, pronunciata quando la donna era già morta, annegata nel porto; e così quella funzione divenne il miglior servizio funebre che la chiesa battista di Five Ends avesse visto da anni.”
La voce narrante del romanzo emana dalla comunità stessa, un mosaico di voci e tradizioni, con le sue radici nella cultura popolare nera della seconda metà del secolo, in storie tramandate fino a diventare tanto mito quanto storia.

Nel bene e nel male. Esattamente come Sportcoat, con il quale la vita non è stata generosa, che comunque tira avanti, come tutti i perdenti, personaggi imperfetti e oppressi di questa comunità trascurata. Consapevole che non avrebbe smesso di bere, fa pace con il fantasma di Hettie, prima di decidere di entrare nell’acqua del porto e porre fine alla sua vita alle sue condizioni. Un finale verso il quale il libro ha sempre sbandato: Sportcoat sconta la sua condanna a morte in modo che tutti intorno a lui possano vivere. E così fanno. Alla celebrazione finale del romanzo, tutti i personaggi si raccolgono attorno a una morte e viene loro offerta la vita in tutta la sua ricchezza.

In questo romanzo pieno di empatia, veloce, profondo, complesso ed esilarante, questa comunità dimenticata e ignorata prende vita ed è piena di calore e personalità. McBride è cresciuto nei progetti abitativi di Red Hook a Brooklyn, quindi conosce bene la vita dei quartieri popolari.
McBride costruisce una storia di quartiere, popolata da tanti volti, tutti dotati di personalità vivide, ripresi nelle loro vite imperfette ma pulsanti. Stilisticamente, la storia è raccontata in modo frenetico e quasi giocoso, attraverso una serie di intermezzi umoristici, con un’atmosfera da commedia che attraversa tutto il romanzo.
Tuttavia, l’umorismo del libro e la narrazione giocosa mascherano una storia molto reale che affronta una serie di argomenti seri. Sportcoat è un uomo anziano, sensibile, addolorato per la morte di sua moglie e per la distruzione di una comunità che ha lavorato così duramente per migliorare. Come ex allenatore di baseball, ha contribuito a far diventare uomini i ragazzi intorno a lui, solo per vederli diventare spacciatori, attirati dalle false promesse di persone ricche e corrotte che vivono lontano dai progetti. E questo nell’indifferenza di una classe dirigente che preferisce mettere in risalto “le mille luci di New York”, le chimere della Grande Mela, il mondo affaristico, piuttosto che cercare di migliorare la qualità di vita dei ceti meno abbienti.

Per anni l’Istituto per l’edilizia sociale di New York – un’enorme massa di burocrazia gonfiata, un focolaio di truffe, corruzione e imbrogli, un covo di buoni a nulla che vivevano di mazzette, padri parassiti, taglieggiatori di bustarelle e politici raccomandati di vecchia data –, che regnava sulle Causeway e su tutti gli altri quarantacinque complessi di case popolari di New York con arrogante inefficienza, aveva inesplicabilmente vomitato sul quartiere un regalo dal valore pazzesco: formaggio gratis. Chi schiacciasse il tasto, chi riempisse i moduli, chi facesse comparire per magia quel formaggio, nessuno lo sapeva – nemmeno Bum-Bum, che da anni aveva trasformato la scoperta della sua origine nella propria cause d’être. Tutti davano per scontato che lo mandasse l’Istituto, ma nessuno era così stupido da svegliare il can che dorme telefonando all’ufficio in centro per chiedere spiegazioni.

Il diacono King Kong, pag. 17

Luccicante e commovente, pulsante come una cosa viva che ha il suo ritmo, pervaso dalla fiducia nell’umanità, Il diacono King Kong è destinato “Al popolo di Dio, tutti quanti”, come dice l’autore in esergo: il plot trascina il lettore fin dalla prima pagina e non lo lascia mai andare e potrebbe benissimo diventare una divertente graphic novel. Uno dei migliori libri dell’anno per Barack Obama e per «The New York Times», ha vinto, tra gli altri premi, anche l’Andrew Carnegie Medal for Excellence in Fiction.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Nato nel 1957 da padre afroamericano e madre ebrea esule dalla Polonia, dopo una formazione da giornalista che lo vede approdare sulle pagine di celebri testate come «The New York Times», «The Washington Post» e «Rolling Stone», James McBride esprimerà il suo poliedrico talento sia come musicista jazz che come sceneggiatore per Spike Lee. Nel 1995 raggiunge il successo letterario con Il colore dell’acqua, vigoroso libro d’esordio autobiografico nel quale rievoca le proprie origini composite attraverso il toccante ritratto della figura materna. La decisiva consacrazione arriverà quasi vent’anni dopo con The Good Lord Bird, vincitore del National Book Award nel 2013 (Fazi Editore, 2021). Il diacono King Kong è il suo ultimo romanzo.