I libri li scrive qualcuno, che non è lui. Li stampa, normalmente, un altro, che non è lui. Li vende un terzo, che non è lui. Di suo, di se stesso, l’editore ci mette l’amore. Questo sentimento accompagna l’editore nella sua giornata, lo guida nella scelta, lo distingue e lo sostiene. Di libro in libro va avanti, sempre illuso e sempre consolato, perché ogni volta l’emozione si ripete.
Valentino Bompiani
Storia confidenziale dell’editoria italiana, di Gian Arturo Ferrari, Marsilio editore 2022, pp. 366

Un libro che racconta la storia dell’editoria italiana moderna, a partire dal Novecento fino ai primi anni del Terzo millennio; un racconto dettagliato e documentato, come è giusto che sia visto l’autorevolezza dell’autore che nell’editoria ha vissuto e lavorato, ma che si legge come un avvincente romanzo, una storia fatta di idee, persone, imprese, successi e insuccessi, una storia che è la storia della cultura italiana. Allo stesso tempo, è una autobiografia dell’autore, che racconta il suo percorso di protagonista nel mondo editoriale, soprattutto in Mondadori. Scritto in modo scorrevole, particolareggiato senza essere pedante, ironico e pieno di aneddoti, diretto e senza peli sulla lingua, questo libro è una lettura che consiglio a tutti coloro che del mondo dei libri si “cibano”, lettori e scrittori. Dunque un libro agile, non accademico né tantomeno pedante, bensì piacevole da leggere e da tenere accanto.

Una storia che inizia alla fine del 1800, e ci racconta le imprese di uomini illuminati che hanno gettato le basi dell’editoria italiana moderna, quella che ha plasmato generazioni intere della nostra società. A partire dai “pionieri”, Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli. Entrambi di umili origini, hanno frequentato solo le scuole elementari; origini che spesso rivendicheranno con l’orgoglio del capitano d’industria che si è fatto da solo. Entrambi hanno iniziato come tipografi e hanno capito fin da subito che si guadagna stampando su commissione, possibilmente saturando l’uso delle macchine, ma che si può anche stampare altro, purché si riesca a trovare cosa stampare e chi è disposto a comprare ciò che si stampa. All’inizio della storia ognuno prende la sua strada: Rizzoli la strada dello stampatore, Mondadori quella dell’editore.
Alle loro spalle c’è un’altra coppia: Emilio Treves e Edoardo Sonzogno, due borghesi agiati, i primi editori dell’Italia unita. Treves è il figlio del rabbino maggiore di Trieste, Sonzogno è l’erede di una famiglia di tipografi-librai-editori. Si formano a Parigi, sono gente di penna che collabora con diverse riviste italiane, e la loro formazione determina la vicinanza tra editoria libraria e editoria quotidiana e periodica. Ma sarà Treves a fare una delle prime mosse verso la “vera ” editoria, trasformandosi da editore di libri in editore di autori. A poco a poco l’editore si rende conto che anche in Italia vi sono autori che interpretano meglio i gusti del pubblico, vendono molto di più e dunque garantiscono all’editore il ritorno economico necessario a mantenere in piedi l’impresa. E’ Treves l’editore che pubblica due grandi best seller dell’epoca: I malavoglia di Verga e Cuore di De Amicis.
Anche Laterza, a Bari, allora ventinovenne, apre la sua casa editrice affiancandola all’attività tipografica e alla libreria di famiglia. La sua impresa ha un’impronta più “seria”, non romanzi ma saggistica, un’impresa votata al sapere. Di matrice più tecnica, invece, la casa editrice fondata a Milano da un libraio svizzero, Ulrico Hoepli che intuisce quale strada prendere: nella Milano capitale industriale c’è molta domanda di libri tecnico-scientifici che sono tutti stranieri, vanno tradotti, e pubblicati. Il mitico Manuale dell’ingegnere di Giuseppe Colombo è il libro più iconico e longevo di questo editore.

Mondadori capisce che la chiave per fare l’editoria in grande sono gli autori, che è a loro che deve mirare per costruire la sua impresa. Ma per farlo ha bisogno di capitale, di soldi; ecco allora l’ingresso di un socio di peso (economico, ma non solo), Senatore Borletti, imprenditore e finanziere, amico personale di D’Annunzio, papà della “Rinascente” (che deve il suo nome proprio a D’Annunzio). Immetterà molti capitali nella Mondadori fino a diventarne l’effettivo proprietario, lasciando a Arnoldo la politica editoriale. Si concretizza il prototipo dell’impresa editoriale che arriverà fino ai nostri giorni: la funzione proprietaria si scinde da quella propriamente editoriale. Ad Arnoldo verrà affiancato un condirettore, un nome che sarà protagonista per decenni nell’editoria italiana, Luigi Rusca, intellettuale, di solida cultura, in grado di dialogare da pari a pari con chiunque, dal mondo accademico, agli intellettuali, agli autori. Di idee antifasciste lascerà, più avanti, a Mondadori il “dialogo” col regime, e si dedicherà soprattutto alla produzione straniera da tradurre e pubblicare, con felici intuizioni e con in testa l’idea di pubblicare in funzione del pubblico. Quando decide di pubblicare romanzi polizieschi prende ispirazione dal colore della prima copertina e crea i “Gialli” Mondadori che tutti conosciamo. Rusca è insomma il vero direttore editoriale.
Rizzoli invece per lungo tempo continua la sua attività tipografica, con grandi guadagni (è lui a stampare i ritratti del Re e del Duce che verranno appesi in tutti gli uffici pubblici italiani). Il primo salto nel mondo dell’editoria lo compie per la stampa dell’Enciclopedia, insieme a Giovanni Treccani, industriale tessile e fondatore dell’enciclopedia, Ettore Bocconi, industriale la cui famiglia ha fondato l’omonima università e Senatore Borletti che pur da direttore della Mondadori si lancia in questa impresa. Ma la vera intuizione di Rizzoli è quella di buttarsi nella editoria di periodici, a partire da Novella, e poi Omnibus, settimanale innovativo diretto da Leo Longanesi che poi saraà costretto a chiudere per le pressioni politiche del fascismo, fino a Oggi, che nel dopoguerra diverrà il settimanale più letto dalla borghesia, diretto da Edilio Rusconi.
Sul fronte dei libri, Rizzoli si porta a casa il buon Rusca (che ha rotto con Mondadori) che gli suggerisce la più grande idea di quel preciso momento storico: una collana che spazi nella letteratura di qualità di ogni tempo e di ogni paese ma ad un prezzo accessibile a tutti: nasce, nel 1949, la mitica BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, che riscuoterà un successo travolgente e duraturo, diventando una macchina per fare soldi da reinvestire nella casa editrice.

Negli anni Cinquanta non è solo Rizzoli a pensare ad allargare il mercato rivolgendosi ad un più vasto pubblico; lo farà anche Giangiacomo Feltrinelli, un capitalista comunista, che ha ereditato negli anni Trenta forse la maggior fortuna d’Italia, forse superiore a quella degli Agnelli e dei Pirelli, che nel 1955 fonda a Milano la sua casa editrice. La sua grande intuizione sono le librerie: non quelle paludate che mettono in soggezione, dove la gente normale non mette piede per timore reverenziale; piuttosto dei luoghi più semplici e moderni, essenziali, ma diffusi capillarmente sul territorio. A Feltrinelli è legato uno degli scoop più famosi nel mondo dell’editoria: la rocambolesca pubblicazione de Il dottor Zivago di Boris Pasternak (ve ne ho parlato qui). E’ sempre lui a pubblicare, su consiglio di Giorgio Bassani, un romanzo rifiutato da altri editori (tra cui Einaudi e Mondadori): Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa.
La fortuna di Mondadori cresce nel dopoguerra (la Prima); un primo passo si attua quando il generale Giorgio Bompiani gli affida il figlio Valentino che non vuole seguire la carriera militare e che ama la letteratura. Ma nel 1928 Bompiani si mette in proprio, accanto a lui Umberto Mauri che ha sposato una sua sorella. Saranno gli anni di grandi pubblicazioni, di Uomini e topi di John Steinbeck che fa tradurre a Cesare Pavese, de La battaglia, sempre di Steinbeck che fa tradurre a Eugenio Montale, della collana Americana affidata a Elio Vittorini.
La fortuna economica per Mondadori nell’editoria libraria arriverà invece con gli Oscar, nati a metà anni Sessanta: il 27 aprile del 1965 viene pubblicato il primo Oscar, Addio alle armi di Ernest Hemingway. La fortuna di questa collana deriva dal fatto che è venduta nelle edicole principalmente, oltre che nelle librerie, dal prezzo accessibile e dalla vasta offerta di titoli.
Un altro attore dal buon fiuto sulla scena dell’editoria italiana è Garzanti che, al contrario di altri suoi colleghi, decide (su consiglio di Attilio Bertolucci) di pubblicare il romanzo scandaloso Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini. Non solo; dopo una lunga operazione di convincimento, ottiene da Carlo Emilio Gadda di potere pubblicare Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, e porterà alle stampe anche un altro libro che genera scandalo, Il prete bello di Goffredo Parise, e poi, nel 1962, Memoriale di Paolo Volponi, che inaugura la narrativa di fabbrica.

Il simbolo è lo struzzo accompagnato dal motto Spiritus durissima coquit, che significa “lo spirito digerisce le cose più dure”. Era il logo della rivista fiorentina La Cultura, rilevata da un giovanissimo Giulio Einaudi e affidata alla direzione di Leone Ginzburg. Nel 1935 la rivista fu chiusa dal regime fascista ma il logo fu ereditato dalla casa editrice fondata da Einaudi due anni prima e titolata a suo nome. La collana Einaudi Tascabili ha come logo uno struzzo che corre, senza il motto: si tratta di un disegno che Picasso regalò a Giulio Einaudi quando, nel 1951, gli fece visita nella sua residenza a Antibes, in Francia.
E’ a Torino che nasce la più intellettuale delle case editrici, nasce da un gruppo di compagni di scuola: Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi, tutti allievi al liceo del professor Augusto Monti. Nel 1933, a ventun anni, Giulio Einaudi apre la sua casa editrice, grazie ai finanziamenti di alcuni rappresentanti dell’intellighenzia torinese, plasmata dall’antifascismo liberale, dall’alto status accademico e dall’eccellenza universitaria. L’emblema cinquecentesco dello struzzo col suo motto “spiritus durissima coquit” viene ripreso dalla rivista Cultura repressa dal regime fascista nel 1936.
La narrativa contemporanea Einaudi vedrà la luce nel 1941 con la pubblicazione di Paesi tuoi di Cesare Pavese.
Einaudi è la casa editrice che esce dalla Seconda guerra mondiale e dal regime in modo impeccabile. L’unica a rimanere fermamente antifascista, con i suoi “caduti”, Giaime Pintor e Leone Ginzburg. Torinese nello spirito, permeata di disciplina, studi severi, dirittura morale e impegno politico (nel 1948 il professor Luigi, padre di Giulio, diventa il primo presidente eletto dal parlamento). Figlia di una aristocrazia culturale e dello spirito, orgogliosamente appartata.
Negli anni Settanta i due attori principali sulla scena sono Bompiani, grazie a Ginevra Bompiani e all’ingresso di Umberto Eco, “il più riuscito connubio tra cultura accademica, mezzi di comunicazione di massa (è stato a lungo funzionario Rai) ed editoria.”. E Feltrinelli, capace di trovare l’autore e il libro che più impersonano la malinconia del tempo: si tratta di Gabriel Garcia Marquez con Cent’anni di solitudine.
Sulla scena editoriale c’è anche Carlo Caracciolo, con un ruolo di primo piano per quanto riguarda l’editoria ma soprattutto i quotidiani e i periodici (La Repubblica e Espresso); è grazie a lui che per la prima volta fa la sua comparsa il concetto di concentrazione editoriale. Si tratta di raggruppare buone case editrici, dare loro quel respiro finanziario che non hanno, suddividere i costi di gestione. Ma questa operazione (soprattutto quelle che vedremo nel secolo successivo…) genera il sospetto che dietro ci sia un progetto per uniformare, irregimentare la pluralità e la libertà delle voci.
Gian Arturo Ferrari, uomo di mestiere editoriale, accompagna il lettore lungo un secolo di storia della nostra editoria che è anche la storia della nostra cultura, con un racconto che coinvolge il lettore; soprattutto chi ama la letteratura si ritrova risucchiato dal potere di queste pagine, dai riferimenti che saltano fuori continuamente, dai retroscena, dalle vicende di editori e autori, nonché di finanziatori che, ciascuno nel suo ruolo, hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del motore culturale del nostro paese. E in parallelo si scoprono i passi della lunga carriera dell’autore, dal primo rifiuto della Mondadori ad assumerlo (appena passato l’esame di maturità), quella Mondadori di cui diventerà direttore generale dei libri, passando per Boringhieri e Rizzoli. Editor della saggistica Mondadori nel 1984 e direttore dei Libri Rizzoli nel 1986. Rientrato a Segrate nel 1988, l’anno successivo ha scelto l’editoria libraria come unica strada, dimettendosi dall’università; direttore dei Libri Mondadori nei primi Novanta, dal 1997 al 2009 Ferrari è stato direttore generale della divisione Libri Mondadori.
Al fondo della vocazione minore c’è l’intima certezza che tutto passa dai libri, il bene e il male, l’effimero e l’eterno. Una specie di immensa radiografia dell’umanità. Ma non statica, in continuo movimento, più un filmato che un’immagine fissa. Il pullulare del nuovo (..) da un lato la curiosità, indiscriminata e vorace, e dall’altro la volontà ostetrica, minuta e paziente, il desiderio di portare alla luce, di far crescere. (pag. 106)
Non c’è solo l’Italia: alcune pagine sono dedicate agli incontri con gli editori d’oltreoceano. E poi Longanesi, Marsilio, Boringhieri, i Mauri, Mario Spagnol, Sellerio, Minimum Fax, Cairo, Franco Angeli, Baldini e Castoldi, Fanucci, Hoepli, Castelvecchi, Ancora, Neri Pozza, Fazi, Newton Compton, Marcos y Marcos, Donzelli, Il Saggiatore, il Mulino, Raffaello Cortina Editore, Iperborea, Nottetempo, Quodlibet…. una giostra che continua a rinnovarsi e a popolarsi di nuove realtà.
Naturalmente ci sono interi capitoli dedicati alle cordate di acquisizione, alle operazioni spericolate, alle scalate ed infine agli accorpamenti, fino ad arrivare a quello che oggi conosciamo essere l’assetto editoriale italiano.
Vi si parla anche della Utet e della sua miseranda fine?
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No, arriva fino ai primi anni Duemila. La Utet è fallita a seguito del covid, credo 2020.
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La Utet è finita dopo la morte del presidente Gianni Merlini, quando gli eredi hanno ceduto la proprietà a Boroli (De Agostini) e altri, vent’anni fa. Il disastro è stato provocato da un insieme di cause concomitanti, non ultima il disinteresse e l’incompetenza dei nuovi proprietari, nonché Internet, che ha reso obsolete le opere di consultazione (dizionari, enciclopedie) che costituivano il nucleo dell’attività della casa editrice e la sua principale fonte di introiti. Conosco bene la storia perché sono stato redattore in Utet dal 1979 al 2011.
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Grazie per questo approfondimento che fa luce sulla vicenda.
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Grazie a te, buona giornata.
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Non sapevo che la UTET fosse fallita. Gran peccato.
(Avevo già adocchiato il libro… mi hai convinto a comprarlo!)
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E’ interessante perché raccontato da uno che ha vissuto dentro l’editoria e ne ha seguito l’evoluzione.
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La tua recensione permette di “farsi una cultura” e stuzzica la curiosità dei lettori. Sarebbe interessante un ulteriore capitolo dedicato a questi ultimi anni.
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Non volevo svelare troppo; ho riassunto un po’ la prima parte, lasciando a chi vuole avventurarsi nella lettura di percorrere gli anni più recenti con tutto gli scossoni che si sono verificati (a partire dall’affaire loggia P2 che di fatto ha travolto la Rizzoli, a Berlusconi ecc). E’ un libro che si legge “a puntate”, nel senso che si può intervallare con altre letture.
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Davvero un bel libro. Lo sto leggendo.
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È scritto in modo scorrevole, si legge con soddisfazione.
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Molto interessante, me lo segno: tra la selva di libri che arrivano ogni settimana in libreria è facile dimenticarsi che anche le CE hanno la loro storia e non sono attrici neutre nel nostro panorama culturale.
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No, anzi, esse influenzano molto il clima culturale di un paese. Poterle controllare, poi – ne abbiamo qualche esempio … – è una mira di molti personaggi al potere…. proprio per questo.
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