– Ma tu davvero ci credi? – chiese, seria.
La Malnata, pag. 86
– A che cosa?
– A quello che hai detto sul palco. Alle cose sulla patria e sulle femmine.
Mi succhiai un labbro, esitai: – Non lo so. Non ci avevo pensato.
– E’ una cosa pericolosa.
– Che cosa?
– Le parole, – rispose. – Le parole sono pericolose se le dici senza pensarci.
– Sono solo parole, – cercai di ridere perché la sua faccia cominciava a farmi paura e non volevo litigare.
Ma lei mi fissava: – Non lo sono mai.
La Malnata, di Beatrice Salvioni, Einaudi 2023, pp. 243
Ero molto curiosa di leggere questo romanzo appena uscito di cui si parla molto, lo si presenta come un esordio fulminante, in corso di traduzione in trentadue lingue, già progetto per una serie televisiva; insomma, un lancio in grande stile, la solita operazione di marketing per creare un bestseller da classifica con cui rimpinguare le casse e – almeno, si spera – finanziare la pubblicazione di opere di minore richiamo ma di più sicuro valore. Un po’ come è successo con L’amica geniale…
Intendiamoci, il romanzo è un bel lavoro dal punto di vista della scrittura; l’autrice si è formata alla rinomata scuola Holden, fucina di talenti a cui attende un luminoso percorso di carriera. Però… però c’è troppa scuola dietro questo romanzo, troppo compitino perfetto, si vedono, in tralice, le linee guida del manuale di scrittura del perfetto autore, troppo manierismo. Probabilmente la storia “se la sentiva” dentro l’autrice, ma ha dato troppo retta al manuale, c’è poca originalità, non c’è la voce dell’autore.
Ecco la sinossi:
Monza, marzo 1936: sulla riva del Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un uomo che ha appuntata sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore. Sono sconvolte e semisvestite. È Francesca a raccontare in prima persona la storia che le ha condotte fino a lí. Dodicenne perbene di famiglia borghese, ogni giorno spia dal ponte una ragazza che gioca assieme ai maschi nel fiume, con i piedi nudi e la gonna sollevata, le gambe graffiate e sporche di fango. Sogna di diventare sua amica, nonostante tutti in città la considerino una che scaglia maledizioni, e la disprezzino chiamandola Malnata. Ma quella sua aria decisa, l’aria di una che non ha paura di niente, la affascina. Sarà il furto delle ciliegie, la sua prima bugia, a farle diventare amiche. Sullo sfondo della guerra di Abissinia, del dolore per la perdita e degli scompigli dell’adolescenza, Francesca impara con lei a denunciare la sopraffazione e l’abuso di potere, soprattutto quello maschile, nonostante la riprovazione della comunità.
Veniamo ai manierismi di cui sopra:
L’amicizia tra due bambine che provengono da mondi così opposti: un intreccio pericoloso, già visto in tante opere, che per risultare originale avrebbe dovuto essere sostenuto da una costruzione più attenta, con un approfondimento psicologico vero.
La dicotomia tra il mondo borghese, cattivo e violento, tutti fascisti per convinzione o (come per il padre di Francesca) per opportunismo, e il mondo proletario, popolare, tutti antifascisti, buoni, amorevoli e sempre dalla parte del giusto. A me non convince, mi sa tanto di cinema americano, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Nella vita reale non funziona così.
Il personaggio di Francesca dovrebbe rappresentare il punto di rottura e, allo stesso tempo, di collegamento tra i due mondi. Ma avrebbe avuto bisogno di una maggiore cura nella costruzione psicologica, così è solo un piatto riflesso di ciò che avrebbe potuto essere. Idem per Maddalena, la Malnata.
La caratterizzazione dell’epoca, farcita di tanti riferimenti a prodotti, a brani musicali… insomma, come ogni manuale di scrittura e relativa scuola insegnano. Si ma la sostanza, dov’è? Provate a leggere Villa del seminario, di Sacha Naspini, e poi capirete la differenza.
La scena cruciale posta all’inizio e ripresa nello scontato epilogo: visto e rivisto. E lasciatemi dire, ingenuo.
Insomma, stavolta faccio la voce fuori dal coro: per me non è più di un buon prodotto di marketing, e mi dispiace per l’autrice che sicuramente di talento ne ha, ma forse dovrebbe proteggerlo di più, non farsi irretire da certe lusinghe. Ma probabilmente, visto il successo planetario, ha fatto bene a seguire questo percorso, tanto è un esordio, e avrà tutto il tempo di affermare la propria voce, una volta che tutti conosceranno il suo nome. Glielo auguro di cuore.
Quando sento parlare di “esordio fulminante”, sento subito puzza di bruciato, ma credo che tu lo sappia già… La strategia paga, come dici tu, ma. secondo me, se accetti una volta di stare a queste regole, poi non torni più indietro (lo dico sperando di venire smentita in futuro dai fatti).
Posso solo dirti grazie per la tua onestà intellettuale (e per una volta non sono io la voce fuori dal coro, evviva 🤣).
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Di solito non mi avventuro molto in questo genere di operazioni editoriali, ma stavolta ero curiosa. La trama, così come tratteggiata nei lanci, poteva dare vita ad una storia interessante, ma purtroppo, come ho detto, è stat gestita solo in ottica commerciale. Spero che l’autrice riesca ad affermarsi perché secondo me c’è del talento, e sarebbe un peccato sprecarlo, Deve, però, affermare la propria voce, sganciarsi dalle logiche commerciali. Non sarà facile… hai ragione.
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meglio un compito della scuola Holden che un libro della CE albatros…
parlo per esperienza della seconda :O
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su questo non ho dubbi, ma proprio perché parliamo di una delle maggiori CE italiane mi aspetto un livello molto alto… però a volte si sente molto il marketing….
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Einaudi è sicuramente una grande casa editrice e tuttavia ho una leggera sensazione che, poco alla volta, rischi di assestarsi sulla media; e che la media si stia abbassando. Dev’essere quella cosa dei vasi comunicanti…e del marketing.
Auguri all’esordiente. Non è la regola che si parta col botto. Alla prossima.
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A volte si rischia di bruciarsi, speriamo non sia il suo caso. Le auguro tanta fortuna letteraria.
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