INCIPIT
Nel momento stesso in cui smontò dal pullman, Janey ebbe il sospetto di aver fatto un errore. Fino ad allora (durante le lunghe ore di viaggio, attraverso le città che si susseguivano, con la luce che calava, il sospiro della porta che si apriva e si chiudeva, il crepuscolo e poi il buio, la testa che ciondolava avanti e indietro nel dormiveglia, la discesa per la coincidenza a Chicago, l’attesa col borsone sull’asfalto, la ripartenza nella notte, e poi l’alba, i riquadri di luce che le scivolavano addosso, il suo riflesso sul finestrino contro i segnali autostradali e i centri commerciali) si era sentita come al principio di un grande viaggio. Si era spogliata della sua identità precedente, si era lasciata la vecchia Janey alle spalle.
Le pareva quasi di vederla, quella Janey che si trascinava come un fantasma lungo la solita strada, a New York, in direzione della scuola. Erano come due gemelle siamesi separate a forza, una destinata a vivere e l’altra a morire senza che i medici sapessero quale, e intanto il mondo restava a guardare, in attesa. La nuova Janey fremeva di impazienza (gli stati che si allargavano, le terre che si appiattivano, i campi che si trasformavano in campi e non più grovigli di alberi e arbusti, la parola di Dio che sfilava sui tabelloni ai lati delle strade). Era uscita dai ranghi dei suoi compagni di classe e se n’era andata, e ora chissà cosa sarebbe successo.
Deb Olin Unferth