INCIPIT
Quando penso al genere umano, non me lo immagino a forma di albero genealogico con i rami. Il genere umano è un bosco, si distingue bene anche da distante e ha la forma di una catena d’alberi-uomini che si tengono per mano. Chissà perché. Là, nella nebbia dei tempi e dei secoli, si ergono le generazioni passate, alberi a più braccia in cui ogni avo è legato per i rami ai genitori da un lato e ai figli dall’altro. E ogni uomo è allo stesso tempo padre, figlio e individuo unico al mondo. E ogni donna è figlia di sua madre e madre di sua figlia o di suo figlio, e al contempo è creatura a sé, che a nessuno somiglia. E ciascuno è uno e trino: figlio, genitore e persona. Finché colui che è al centro ne ha le forze, sostiene entrambi i lati, sia chi gli sta alle spalle, sia chi è venuto dopo. Nel corso dei secoli, però, il centro si sposta. L’uomo si indebolisce, la forza passa alla generazione successiva. Il cervello, il sapere se ne vanno con lui, non si trasmettono; solo alcune qualità possono essere tramandate ai discendenti: la tenacia, la pervicacia ferina anche a proprio detrimento; la forza d’animo; la convinzione che il cibo debba essere spartano e l’acqua per le abluzioni fredda; l’ingordigia nei giorni di festa; la dissidenza con il potere; la fedeltà alle proprie idee a danno di sé e dei propri cari; il sentimentalismo e l’amore per la musica e la poesia, e il litigare per ogni sciocchezza; l’onestà feroce e la totale incapacità di arrivare in orario; la trasparenza delle intenzioni, la propensione ad aiutare il prossimo e l’odio per i vicini di casa; l’amore per la quiete e il rumore assordante delle grida quotidiane; la capacità di vivere senza soldi e le spese folli per i regali; il disordine totale in casa e la severità nel chiedere agli altri di tenere pulito, e l’infinito amore per i piccoli, soprattutto quando dormono in tutto il loro splendore.
Ljudmila Petruševskaja