INCIPIT
Intermittenti: una domenica sì e l’altra no, così sono cominciati i miei morti, senza alcuna disciplina, un fine settimana niente e poi due di seguito, me li trovavo sempre nei posti più strani: sdraiati per terra alla fermata dell’autobus, sul ciglio della strada, nei parchi, appesi ai ponti e ai semafori, portati a valle dalla corrente del Mapocho, in ogni angolo di Santiago comparivano i corpi domenicali, cadaveri settimanali o quindicinali che io sommavo metodico e ordinato, e la cifra cresceva come cresce la spuma, la rabbia, la lava, saliva e saliva anche se appunto il problema era sommare, perchè che senso aveva salire se lo sanno tutti che i morti cadono, ci incolpano, ci tirano giù, come questo morto che ho trovato proprio oggi buttato sul marciapiede, un morto solitario che aspettava bello tranquillo che arrivassi io, e solo per caso stavo passando per avenida Bustamante, in cerca di un baretto dove bermi qualche birra per sfangarla in questo caldo, un caldo appiccicoso che squaglia anche i calcoli più freddi, sono lì, a cercare disperato una bettola in cui dissetarmi, quando vedo all’angolo con calle Rancagua uno dei miei morti ribelli, ancora solo e caldo, ancora indeciso tra restare da questa parte o lanciarsi dall’altra, era lì che mi aspettava con i vestiti sbagliati, tutto ben coperto con il berretto e il maglione di lana, come se la morte abitasse l’inverno e lui dovesse arrivarci preparato, in un angolo giaceva il mio morto con la testa riversa in avanti, e io mi avvicino in fretta per guardargli bene gli occhi, mi chino e gli prendo la faccia tra le mani per sorprenderlo, perquisirlo, per possederlo, e allora vedo che in faccia non ha occhi, no, solo delle palpebre spesse che lo nascondono, delle palpebre che sembrano muraglie, cappucci, filo spinato, e io mi innervosisco ma faccio un respiro profondo e mi contengo, espiro, mi accovaccio e mi bagno il pollice con la lingua, me lo succhio ben bene e lo avvicino con cautela alla sua faccia, e con calma sollevo la palpebra indurita, alzo piano il sipario per spiarlo, per assalirlo, per sottrarlo, già, ma una paura orribile mi batte nel petto, un terrore che mi paralizza, perché l’occhio si riempie di un liquido che non è azzurro, né verde, né castano, è un occhio nero quello che mi osserva, un occhio dalle acque stagnanti, una pupilla offuscata dalla notte, e io cado dentro le sue orbite e mi vedo con chiarezza nell’iride buia di quell’uomo: affogato, sconfitto, spezzato in quelle fosse che almeno mi aiutano a capire l’urgenza, perché questo morto è un annuncio, è un indizio, è una spinta, vedo la mia faccia sepolta nella sua faccia….. (continua)
Alia Trabucco Zerán