INCIPIT
Mi spaventò all’alba di ogni giorno, nell’estate che trascorsi con lei. Si sedeva sul bordo del letto, i lunghi capelli sciolti, sciolti fino a terra e ondeggianti mentre li spazzolava senza posa, e nella stanza si ritiravano le ombre e dalle due finestre fluiva la prima luce. I capelli erano lunghi come la sua storia e non avrebbe potuto camminare se non li avesse raccolti in folte trecce e fissati attorno e in cima alla testa con degli spilloni. Altrimenti avrebbero spazzato il pavimento come lo strascico di una veste medievale, e le sarebbe toccato radunarli in un fascio e avvolgerli più volte al braccio per non inciampare. Era nata contadina, poi aveva lavorato per mezzo secolo come cameriera, dunque non avrebbe potuto dormire dopo l’alba nemmeno per scommessa, e ogni mattina che passai con lei alla prima luce si metteva a sedere e spazzolava i suoi lunghi capelli da strega, li spazzolava a ciocche, più e più volte, lisciando quei capelli che da decenni non vedevano un paio di forbici, e da cui non si sarebbe separata nonostante l’assurdità di tempo che ogni giorno le serviva per tenerli in ordine. Erano perlopiù bianchi e macchiati di grigio, i colori di un giornale rimasto sotto la pioggia finché i titoli non si sciolgono sulla pagina. Per tutta l’estate dei miei dodici anni mi svegliò ogni giorno spaventandomi, e nel destarmi la vedevo lì, con l’alba alle spalle, mentre le molle del letto cigolavano piano e una spazzola d’osso scivolava su quei capelli che parevano usciti da una fiaba, e forse non di quelle allegre. Si chiamava Alma, non le andava di essere chiamata nonna ed era capace di rifilarti una sberla se le davi della nonnina. Era sola, vecchia e fiera, e mio padre mi aveva mandato lì, dalla città sul fiume vicino a St. Louis dove vivevamo, in segno di riconciliazione.
Daniel Woodrell