Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Una famiglia moderna

INCIPIT

LIV

Le vette delle Alpi sembrano denti di squalo, spuntano dalla compatta coltre di nubi stesa sull’Europa centrale come un morso perenne. Piegano il vento in diverse direzioni, cosicché l’aereo viene strattonato da ogni lato, e noi siamo seduti qui dentro, piccolissimi, le nuche davanti a me si scuotono a ritmo. Quando mi viene in mente che, nel paese sotto di noi, più di metà della popolazione trova normalissimo picchiare i bambini, cerco rapidamente con lo sguardo i miei figli, che però sono nascosti dagli schienali, quattro file davanti a me. Al loro fianco, Olaf tiene la testa posata fra la parete e il sedile. Davanti a lui spunta il cocuzzolo biondo di Ellen, e fra uno schienale e l’altro vedo che la mamma dorme appoggiata alla sua spalla. Papà cammina nel corridoio centrale, con le nuove cuffie Bose al collo; non se le sarà portate al gabinetto? Gli sorrido, in un impeto di tenerezza, ma lui non mi vede. Si siede di fianco a Håkon, scorgo solo parzialmente il suo viso, gli zigomi pronunciati e la punta del naso, leggermente azzurrina alla luce del pc che ha davanti a sé. Potrebbero essere chiunque. Potremmo essere chiunque.


A Roma piove. Siamo tutti preparati, è da tre settimane che controlliamo quotidianamente il meteo, ne parliamo per telefono, via SMS e nel gruppo di Facebook, dicendoci che in fondo non occorre, siamo in aprile e il tempo è imprevedibile, tanto di sicuro farà più caldo che in Norvegia, e comunque non è per il clima che andiamo laggiù; fatto sta che a Gardermoen c’erano quasi venti gradi e un bel sole di primavera, decisamente meglio dei tredici gradi e della pioggia di Fiumicino. Sarà forse per la delusione anticipata, se l’eccitazione con cui ci siamo accolti a vicenda a Gardermoen si è affievolita durante il volo e se già alla prima tappa tutti avevano le spalle un pochino cadenti.
Mi dà un senso d’invadenza, avere gli altri perfino qui, sull’aereo, e provo a catturare lo sguardo di Olaf per verificare che abbia la stessa impressione; Roma, compresi i dintorni e tutto ciò che a essa si accompagna, è nostra. Stavolta attraversare la sala degli arrivi è diverso, non tiro lo stesso sospiro di sollievo di quando io e Olaf siamo soli, non ho lo stesso formicolio entusiasta. Ma Olaf è impegnato a prendere i biglietti ferroviari per tutti, e io mi sento in colpa per la mia ingratitudine, per il mio egoismo. Per rimediare, prendo in braccio Hedda, le do un bacino sul naso e le chiedo se le turbolenze l’hanno spaventata. Lei si divincola, forse ha un eccesso di zuccheri per via dei biscotti e del cioccolato che Olaf aveva portato, in caso d’emergenza. Resteremo a Roma per due giorni, poi andremo nella casa che ci siamo fatti prestare dal fratello di Olaf, in un paesello sulla costa. Due giorni sono troppo pochi, e al tempo stesso troppi, penso ora, mentre osservo le mie due famigliole – quella che ho creato insieme a Olaf e quella dalla quale provengo – con uno sguardo diverso.

Papà compirà settant’anni fra quattro giorni. L’anno scorso, durante la festa, ha battuto il bicchiere sul tavolo e annunciato che al compleanno successivo avrebbe fatto un regalo a se stesso e a tutta la famiglia: un viaggio per tutti, crepasse l’avarizia. «Dove pare a voi», ha aggiunto ad alta voce. Poi si è voltato verso Hedda, che aveva quattro anni, e le ha detto: «Magari addirittura in Africa, eh?».

Helga Flatland

Recensione

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: